di Gian Carlo Ferretti
Intervista a Pier Paolo Pasolini (Torino 1961), a cura di Angelo Gaccione e Giorgio Colombo (Orizzonti Meridionali, pp. 64, euro 5,00), è un libretto che nasce da una bella iniziativa: dal recupero cioè di una registrazione fatta a Torino nel 1961, in occasione della presentazione di Accattone da parte di Pasolini, accompagnata da un articolo di Carlo Levi. Una edizione che è anzitutto la conferma della inesauribile miniera pasoliniana.
COME È BEN NOTO da anni continuano a uscire in Italia e all’estero le pubblicazioni di inediti spesso preziosi. Lo si può spiegare con la straordinaria complessità delle esperienze intellettuali di Pasolini, e con la molteplicità dei suoi interventi, presentazioni, dibattiti, partecipazioni pubbliche.
Questa sua intervista è caratterizzata (come tante altre) da un tono vivace, discorsivo, diretto, e al tempo stesso da una varietà e ricchezza di problemi. Vi si parla molto di cinema naturalmente, per l’occasione da cui nasce. Interessanti per esempio le riflessioni sulle analogie e differenze tra romanzo e film, tra scrivere e girare, che ci fanno entrare nel suo laboratorio creativo. Ma nell’intervista vengono affrontati importanti temi generali, tra fasi superate e anticipazioni di fasi future.
C’È UN’EVOCAZIONE del suo Friuli contadino e della poesia dialettale degli anni quaranta, che vedono nascere l’eresia del peccato innocente. C’è la contrastata tensione razionale, che sottintende il motivo centrale delle Ceneri di Gramsci (1957), con la celebre terzina rivolta alla tomba di Gramsci appunto: «lo scandalo del contraddirmi, dell’essere / con te e contro te; con te nel cuore, / in luce, contro te nelle buie viscere». E c’è un motivo insistente, quasi ossessivo, sollecitato anche dai suoi giovani interlocutori, e cioè la ricerca di una formulazione nuova della categoria di «avanguardia», che anzitutto esclude l’«avanguardia sperimentalistica» anticipando così la sua condanna del Gruppo 63.
Pasolini cerca di ipotizzare, di definire e di far propria l’idea di un’avanguardia impegnata, civile, democratica, con uno sforzo che si rivela poco producente, per la carenza teorico-critica del suo discorso e per un’oggettiva difficoltà: la natura intrinsecamente elitaria di ogni avanguardia rispetto alle istanze popolari.
LA SUA RICERCA (paradossalmente e sorprendentemente) lo porta a sottovalutare la dirompente carica innovativa di Ragazzi di vita (1955), e a sopravalutare la struttura tradizionale e la programmaticità ideologica di Una vita violenta (1959).
Molto più significativa la lucida analisi della contraddizione interna alla crescente diffusione della cultura in Italia, negli anni del boom economico. Diffusione che, dice Pasolini, reca in sé due fenomeni opposti: la democratizzazione ed emancipazione delle masse con un ruolo attivo dell’intellettuale di opposizione, e il consumismo del mercato neocapitalistico con una sostanziale integrazione della sua produzione.
QUESTA CONTRADDIZIONE Pasolini si trova a viverla fino alla morte, nella sua stessa personale e complessiva esperienza intellettuale, che lo vede muoversi sempre più tra persecuzione e successo, tra ritornanti attacchi, censure, processi giudiziari, aggressioni contro di lui, e una contemporanea affermazione e fortuna delle sue opere e del suo personaggio pubblico nei mass media, nella società e sul mercato. In questo senso il suo scandalo è al tempo stesso provocazione, contestazione, trasgressione, e accettazione (se non ricerca) di una attenzione, enfatizzazione, successo da parte del mondo dell’informazione, del pubblico e della critica.
Fonte: Il manifesto
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