di Piero Maestri
La sinistra – che si voglia o autorappresenti come radicale o meno – ha un riflesso pavloviano che la contraddistingue. Ogni volta che si presenta un fatto importante sul piano sociale, prima ancora che politico, in esso trova la dimostrazione delle sue tesi (precedenti) e la “necessità di ripartire” dal soggetto che identifica come protagonista di quell'evento. La vittoria del NO nel referendum costituzionale dello scorso 4 dicembre non sfugge a questa parabola. E così sono già cominciate (in realtà erano già annunciate in precedenza...) le varie e differenti manovre di “ricomposizione” della sinistra per rispondere al soggetto che avrebbe rappresentato il NO di sinistra in quel referendum.
Così nelle prossime settimane avremo un “ricominciamo da NO(i)”, un “costruiamo l'alternativa”, così come il rilancio della “sinistra italiana” o l'Opa di Giuliano Pisapia che vorrebbe rimettere insieme parte della sinistra del Si e del No per avere maggiore peso nell'accordo prossimo con il PD.
Mi scuso in partenza con i diversi promotori di queste iniziative: so bene che non sono identiche, non propongono la stessa cosa, non hanno referenti comuni – anche se in gran parte si sovrappongono. Non ho alcun dubbio che chiunque proponga di arrivare ad un accordo, presto o tardi, con il Pd (qualsiasi Pd, non solo il “Pd renziano”) sia molto lontano da una prospettiva di sinistra. Ma il ragionamento può valere per tutte queste iniziative.
Quello che hanno in comune infatti è il riflesso pavloviano di cui sopra e l'idea che il soggetto che ritengono sia stato protagonista del referendum non aspetti altro che la loro proposta, l'idea geniale che ri-costruisca una “sinistra vera”, un soggetto politico (elettorale) capace finalmente di rappresentare l'alternativa politica di fronte ai populismi-neoliberismi-consociativismi (ognuno ci metta il suo incubo personale) e così via.
In comune hanno anche la continua riproposizione dello stesso ceto politico sconfitto, osboleto, incapace di ripensare un ruolo differente per sé e per le proprie organizzazioni decotte. E quindi la riproposizione delle stesse strade fallimentari che abbiamo (certo, mica ne siamo esenti nemmeno noi...) perseguito troppe volte.
Di fronte a queste iniziative la risposta che mi viene spontanea è “anche No, grazie”.
Più che ripartire da un NOI che è sempre lo stesso, credo si debba modestamente e sinceramente cominciare a ricercare quel NOI.
Il 4 dicembre l'80% dei giovani sotto il 35 anni hanno detto che non volevano le riforme proposte dal rottamatore Renzi; una risposta che hanno condiviso con i redditi più bassi e i settori più scolarizzati.
Ma non è forse questa la generazione della “fine della grande illusione” (come scrivevano Bertorello e Corradi qualche anno fa)? E non ci sono profonde fratture sociali prima ancora che politiche nelle ragioni di questo No? E non ci accorgiamo che questi (plurali) soggetti non aspettano l'illuminazione di una proposta politicista o peggio elettoralista – avendo tra l'altro già a disposizione strumenti per loro provvisoriamente utili (come il M5S che nel 2013 aveva raccolto il 50% dei voti dei 18/25enni)?
Sinceramente non credo che i vari raggruppamenti di una sinistra che dovrebbe semplicemente raccogliere le macerie che ha contribuito a produrre possano rappresentare un'alternativa sociale prima ancora che politica.
E purtroppo non ci sono nemmeno organizzazioni di tipo sindacale o movimenti che oggi possano dare uno spazio comune di incontro alla frammentata soggettività sociale
(Sia detto tra parentesi: oggi il solo movimento in buona salute e che può sperare di crescere è quello femminista e di genere, quello che si è visto nel suo inizio il 26N: per fortuna non mi pare ci sia alcuna possibilità da parte di nessun soggetto politico di provare a “rappresentare” questo movimento o dargli una “sponda politica”. Così come non mi pare che questo movimento aspiri minimamente a tale “rappresentanza”. Proprio questo rende possibile una forte crescita del movimento stesso.).
Da questo punto di vista mi pare una strada senza uscita anche l'idea di un'autorappresentazione politica di un “no sociale” che sarebbe stato il principale protagonista e vincitore del referendum. Per quanto la società sia attraversata da conflitti, ribellioni, rabbia per le condizioni di vita, non mi pare ci sia seriamente una possibilità di dare “rappresentanza politica” a questa presunta insubordinazione. E nemmeno si possono riproporre “coalizioni sociali” con ambizioni illusorie.
Quindi aspettiamo tempi migliori? Se qualcuno pensa che la sola o principale strada per l'alternativa sia quella elettorale, allora credo si debbano creare tempi migliori (ovviamente faccio gli auguri a chi ancora voglia riproporsi come il nuovo che avanza...).
Ma la strada elettorale o della “ri-aggregazione” delle sinistre sparse mi pare sia una scorciatoia inefficace e disastrosa, perché creerebbe nuove illusioni e andrebbe incontro a nuove sconfitte.
Quello che mi pare oggi possa davvero servire - più modestamente e in maniera certo più complicata e meno visibile - è ricostruire pratica sociale sul territorio, contendere quartiere per quartiere l'egemonia ai soggetti razzisti e populisti; costruire reti di iniziative sociali fuori dalle istituzioni e che alludano e promuovano economia sociale e alternativa; costruire esperienze di resistenza e nuova sindacalizzazione dei soggetti precari e sfruttati.
In pratica ricercare e costruire quel NOI sociale (prima ancora che politico) che non è dato, che deve ancora formarsi nella resistenza e nel conflitto.
Il resto è noia.
Fonte: communianet.org
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