di Dodo Nicolai
Dal voto sul referendum costituzionale emerge un dato con particolare forza. I giovani hanno votato contro la riforma Renzi-Boschi con percentuali bulgare. Si parla addirittura dell’81%. Una fascia d’età, quella tra i 18 e i 34 anni, che elettoralmente tende a rivolgersi verso quello che viene percepito come il principale rappresentante del rinnovamento istituzionale. E che invece domenica ha bocciato chi aveva cercato di incarnare quanto più possibile questa richiesta di rinnovamento.
Quella proposta da Renzi era una vera e propria rivoluzione della macchina istituzionale (senza giudicare il merito della riforma). Associata oltretutto ad una narrativa che ruotava intorno ad un vocabolario incentrato su speranza e futuro.
Quella proposta da Renzi era una vera e propria rivoluzione della macchina istituzionale (senza giudicare il merito della riforma). Associata oltretutto ad una narrativa che ruotava intorno ad un vocabolario incentrato su speranza e futuro.
Ci troviamo quindi – verrebbe da dire – di fronte a dei giovani schizofrenici. O forse no. Più probabilmente, il cambiamento che i giovani richiedono non può che passare da un radicale sradicamento dell’attuale assetto di potere. Del cosiddetto establishment, usando termini particolarmente in voga. Eppure lo stesso elettorato giovanile aveva visto in Renzi il principale riferimento alle Europee 2014, quando quasi il 35% di loro votò Pd. Sono bastati solo due anni per diventare da rottamatore del sistema a sistema da rottamare?
Da quell’81% e dai dati elettorali precedenti si possono ricavare comunque due considerazioni: che il No ha raccolto una forza maggiore alla somma di tutte le compagini schierate su quel fronte; che il voto si fa sempre più volatile (principalmente tra le due forze maggiori). La capacità espansiva del fronte del No in questa fascia d’età testimonia la contrarietà a Renzi da parte di coloro che non vedono delle alternative politiche. E se uniamo a questo un voto particolarmente mobile, la situazione inizia a profilarsi più chiara.
A molti giovani manca una collettività, un gruppo in cui riconoscersi. Manca un linguaggio. Delle forme di coinvolgimento nuove. Manca una prospettiva a loro affine. E manca una lettura del presente in cui realmente riflettersi.
Un presente in cui si viene istigati a fare da sè, ma poi aprire partita IVA ha costi proibitivi. Un presente in cui per raggiungere l’autonomia economica bisogna passare per anni di stage e tirocini non retribuiti. Un presente in cui anni di studi spesso non hanno un reale valore.
Bisogna ricostruire un popolo. E i giovani sono imprescindibili in questo processo. Perché domani, mentre nuovi giovani arriveranno con nuove richieste, saranno quelli di oggi a sorreggere lo Stato.
Fonte: senso-comune.it
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