di Alfonso Gianni
Il voto sul referendum costituzionale merita analisi approfondite e articolate. Contiene troppi significati per essere contenuti in commenti "a caldo". Tuttavia gli stessi dati numerici possono già metterci sulla buona strada. Da un lato l'elevata partecipazione al voto, benché non fosse necessario il raggiungimento del quorum - il 65,5% -, superiore a quella già sorprendente - il 52,46% - che si verificò nel referendum sulla revisione costituzionale di marca berlusconiana del giugno del 2006.
Dall'altro lato la nettissima affermazione del No, con il 59,1% (un esito, lo annoto per curiosità, quasi identico in termini di percentuali e di voti reali a quello registrato del referendum abrogativo sul divorzio del maggio del 1974). Questi due elementi indicano che siamo di fronte a una vittoria popolare. Che è cosa ben diversa dal considerarla una manifestazione di populismo, termine quanto mai abusato in ogni circostanza al punto da essere ormai privato di significato.
Con esso si accomunano in un unico fascio - nel senso dell'erba - situazioni, condizioni, prospettive politiche ben diverse. Più o meno con l'irresponsabile leggerezza con cui negli anni settanta in Italia i governi e i mass-media ci parlavano ossessivamente degli "opposti estremismi".
La stessa macroscopica differenza quantitativa dell'esito del voto rispetto alle previsioni e ai sondaggi anche della immediata vigilia, mostra che esso non può essere interpretato come un riflesso dello schieramento delle varie forze politiche, ma le trascende. È vero che in queste ore assistiamo al triste e patetico spettacolo di vari capi di partito o di movimento che cercano di attribuirsi la palma della vittoria.
Ma non è cosa loro. Essa appartiene solo ai cittadini, a un movimento articolato che è venuto crescendo nel paese attorno alla difesa della Costituzione. Non vi è dubbio che questa vittoria popolare è stata alimentata anche dalle tensioni sociali che la stessa politica del governo Renzi ha contribuito ad ingigantire - o ha ereditato senza modificarle e peggiorandole - con leggi come quelle sul lavoro, il Jobs act e i Voucher, la cosiddetta "buona scuola", le conseguenze della legge Fornero sulle pensioni, per fare solo alcuni esempi.
Il tentativo di placare la rabbia sociale con la politica dei bonus non ha retto a fronte di a una legge di bilancio che più che altro andava in soccorso alle imprese, all'evasione fiscale, al rientro senza pagare pegno dei capitali fuggiti all'estero. Infatti non è un caso che la parte più esposta della popolazione - come ci racconta anche il cinquantesimo rapporto Censis -, cioè quella giovanile, sia stata la più determinata nella difesa del testo costituzionale.
Perché moltissimi giovani hanno visto nella Costituzione non una icona da infilare in una bacheca, ma come il quadro migliore di principi, norme e regole fondamentali, per condurre una lotta per cambiare l'assetto reale della società, così come si è venuto configurando nel quadro della crisi e per responsabilità delle politiche neoliberiste e di austerità fin qui praticate nel nostro paese e in Europa.
Sono emerse e esistono varie motivazioni che hanno mosso quasi 19 milioni e mezzo di cittadini a votare No. Ma quelle che contengono un futuro ("il futuro ha un cuore antico" scriveva Carlo Levi) sono proprio quelle che si propongono di applicare in modo integrale ed estensivo - per questo l'hanno difesa - la nostra Costituzione, particolarmente per quanto riguarda i suoi contenuti sociali. Il che non può essere fatto senza scontrarsi contro le politiche oggi dominanti.
Per questo sarebbe utile che la rete dei comitati unitari per il No non chiudessero i battenti, anzi li spalancassero a tutela della democrazia e come tessuto per la ricostruzione di una politica dotata di strumenti e forza necessaria per condurre il paese fuori dalla crisi senza un massacro sociale. Se la rinascita di una nuova forza di sinistra è possibile, lo è in questo quadro.
Sul piano politico non vi è ora che prendere atto delle dimissioni di Renzi - inevitabili dal momento che il plebiscito che cercava si è rivelato un pesante boomerang -, augurarsi che le decisioni che competono al capo dello Stato siano prese con saggezza, pretendere che la Corte costituzionale si convochi al più presto sul giudizio nei confronti dell'Italicum e che la nuova legge elettorale risponda ai criteri indicati da quest'ultima, ristabilendo quindi criteri di sostanziale proporzionalità nella definizione della rappresentanza politica.
E i mercati finanziari? Anche su ciò il Sì è stato smentito. Dopo le solite fibrillazioni delle prime ore, malgrado le dimissioni di Renzi annunciate poco dopo mezzanotte, le borse virano sul positivo. Tanto rumore per nulla.
Fonte: Huffington Post - blog dell'Autore
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