di Saverio Ferrari
Con la vicenda della morte di Armando Calzolari si apriva, 46 anni fa, il libro «La strage di Stato», la controinchiesta sulla bomba di piazza Fontana del 12 dicembre 1969 e la «strategia della tensione». Non molta attenzione ebbero i successivi sviluppi giudiziari, che pur attestarono come Calzolari fosse stato assassinato per ragioni che rimandavano alla strage.
«AFFOGALASINO» Armando Calzolari, 43 anni, nato a Genova, per gli amici «Dino», era un ex ufficiale di coperta della Marina mercantile, poi traferitosi a Roma qualche anno prima. Divenuto uomo di fiducia di Junio Valerio Borghese (anche per i suoi trascorsi da giovanissimo nella X Mas) e assunto presso il Fronte nazionale, l’organizzazione creata dal «principe nero», scomparve la mattina di Natale, il 25 dicembre 1969, dopo essere uscito alle 8 del mattino per una passeggiata dalla sua abitazione, in via Dei Baglioni, al quartiere Bravetta, nella zona ovest di Roma, a bordo di una 500 bianca, con il suo cane Paulette, un setter a pelo lungo, avvertendo la moglie e la madre che sarebbe presto tornato per portarle a messa.
Le ricerche per rintracciarlo iniziarono subito nel pomeriggio e si protrassero inutilmente per quattro giorni. La zona, in particolare il 29 dicembre, fu meticolosamente battuta, palmo a palmo, con cani poliziotto che frugarono in ogni cespuglio, buca o anfratto. Fatto strano fu che solo il giorno prima, il 28, la 500 era riapparsa a 200 metri da casa, posteggiata proprio in via Dei Baglioni, visibilissima.
Impossibile che l’auto fosse lì nei giorni precedenti; tamponata di recente, aveva per altro tutta la parte posteriore ammaccata. Oltretutto era piovuto solo dopo il 25 dicembre, ma il terreno sottostante era bagnato come d’intorno. Qualcuno l’aveva portata di proposito lì e da poco.
Il cadavere di Calzolari, insieme al cane, furono casualmente rinvenuti in avanzato stato di putrefazione ben 35 giorni dopo, in un pozzo, la mattina del 28 gennaio, da un operaio che stava lavorando con una ruspa. Nel pozzo, profondo due metri e 85, c’era poca acqua, il livello raggiungeva un metro e 40, ma 35 giorni prima era sicuramente più basso. Eppure un suo amico, Dante Baldari, che compì il riconoscimento ufficiale di Calzolari, testimoniò di aver ispezionato quel pozzo e che dentro non c’era nessuno.
Il perito stabilì che la morte risaliva a 20-30 giorni prima, dunque tra il 31 dicembre e il 9 gennaio. Come minimo sei giorni dopo la scomparsa. La località del pozzo era chiamata «Affogalasino».
«SIETE DEGLI ASSASSINI!» Armando Calzolari, «fascista convinto», militava, come detto, nel Fronte nazionale fondato nel 1968 da Junio Valerio Borghese, un’organizzazione costruita in funzione del colpo di Stato. Strutturata su due livelli, uno pubblico (il gruppo «A») e uno clandestino con nuclei armati (il gruppo «B»), di fatto appaltato ad Avanguardia nazionale di Stefano Delle Chiaie. Due testimoni, Giampaolo Bultrini ed Evelino Loi, rilasciarono separatamente due deposizioni importanti che finirono agli atti dell’inchiesta.
Il primo raccontò di «aver udito non visto», il 16 dicembre 1969, dopo la strage di piazza Fontana, «un’accesissima discussione fra il Calzolari e gli altri nella sede del Fronte».
Il secondo dichiarò che «la sparizione non poteva essere dovuta se non ad un’azione dei suoi stessi camerati del Fronte Nazionale in quanto io avevo assistito al litigio fra Calzolari e gli altri del Fronte circa la strage di Milano del 12 dicembre 1969. In questa occasione Calzolari rinfacciava ai suoi amici di essere “degli assassini”. Ci fu anche, un accenno di rissa. Ricordo che il comandante Borghese e il comandante Bianchini gli intimavano di stare zitto e al suo posto. Ero convinto, sin da un mese prima del ritrovamento del corpo, che il Calzolari fosse stato ucciso da quelli del Fronte in seguito alla minaccia da lui formulata in occasione del litigio di rendere pubblica la verità sulla strage attraverso giornali».
Da quel giorno cadde in «uno stato nervoso, disastroso e depresso», manifestando «una tristezza infinita», anche a seguito di ripetute minacce ricevute telefonicamente: così testimoniò la madre.
IL POZZO Solo nel febbraio 1976 il sostituto procuratore della Repubblica Enrico Di Nicola, dopo un lunghissimo iter, sentenziò che Calzolari fu «ucciso e poi gettato nel pozzo». Fu infatti visto ancora in vita da due persone con il suo cane la mattina di Natale a Villa Doria Pamphili. Non poteva finire in quel pozzo venendo da casa o da dove la sua auto era stata ritrovata, dato che un fittissimo canneto profondo in larghezza una decina di metri, una sorta di muraglia fatta anche di arbusti fittissimi e pungenti, ne sbarrava il passo. Non poteva di certo neanche morirvi annegato date le sue «eccezionali capacità natatorie». Il suo cadavere, per altro, non indossava più il giubbotto con cui era uscito da casa.
Fu probabilmente costretto all’uscita di Villa Pamphili a seguire qualcuno che lo uccise dopo il 25 dicembre. Le battute con i cani e le ricerche avvennero quando nel pozzo non c’era ancora nessuno. La sua 500 fu riportata vicino a casa per inscenare una disgrazia.
DUE DI OSTIA Nel processo per il golpe del dicembre 1970, inscenato da Junio Valerio Borghese, un teste (tale Pirina) riferì che un dirigente del Fronte gli rivelò che «lui ed altri avevano “sistemato” una persona che parlava troppo», alludendo a Calzolari.
Molti anni dopo, nel marzo 1995, il giudice istruttore Guido Salvini del Tribunale di Milano, nella sua ordinanza di rinvio a giudizio per la strage di piazza Fontana, riportò la testimonianza di Angelo Izzo in cui si accusavano due militanti del Fronte di Ostia (Roberto Zerbi e Franco Balzerani) di aver ucciso Armando Calzolari. Izzo sostenne di aver ricevuto da loro la confidenza che «il Calzolari, uno dei cassieri del Fronte, era in crisi ed era un personaggio debole e poteva quindi diventare pericoloso».
Lo sorpresero «mentre portava a spasso il cane» e lo annegarono «tenendogli la testa sott’acqua, in un giardino, un luogo poco distante dal pozzo in cui poi lo avevano abbandonato». Nessun riscontro fu fornito da Angelo Izzo. Gli assassini rimasero ignoti.
Fonte: Il manifesto
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