di Maria Grazia Breda e Francesco Pallante
A livello culturale e giuridico è diventato urgente riaffermare il diritto alle cure sanitarie e socio-sanitarie di lunga durata, costituzionalmente garantito, che riguarda gli anziani malati non autosufficienti e/o con demenze e le persone con gravi disabilità invalidanti dipendenti in tutto dall’aiuto di altri, di qualunque età e, quindi, anche minori. Si tratta di circa un milione di cittadini italiani. Sono malati gravi ai quali è indispensabile assicurare la continuità terapeutica e che perciò non possono essere collocati in liste d’attesa; in questo caso infatti viene messa a rischio, per mancanza di cure, la loro stessa sopravvivenza (*1 ).
Per garantire il loro diritto alla cura anche nelle fasi di lunga durata, il nostro sistema sanitario nazionale ha definito le prestazioni rientranti nei Lea, livelli essenziali di assistenza socio-sanitaria (*2). Tuttavia, questo diritto, che è costituzionalmente garantito (*3), viene in moltissimi casi negato. La conseguenza è uno strisciante abbandono terapeutico per carenza di cure, di prestazioni domiciliari, di ricoveri in strutture socio-sanitarie idonee.
Da un lato la crisi economica è diventata un pretesto per inserire a tutti i livelli vincoli di bilancio e tetti di spesa (*4). Dall’altro si punta a negare la condizione di malati, per ricondurre le esigenze di cura a semplice bisogno di “assistenza/badanza” (*5). Di fatto si lascia alla giurisprudenza amministrativa il ruolo, che spetta alla politica, di garantire i diritti e di individuare le priorità a cui destinare le risorse disponibili (*6).
Le conseguenze sono gravissime per i malati e i loro familiari, costretti a sostenere oneri gravosi sia sotto il profilo umano che economico. Il trasferimento di questi malati gravissimi dal settore della sanità a quello dell’assistenza sociale, con la conseguente perdita del loro diritto soggettivo alle cure, rientra in quella cultura dello “scarto” che è stata denunciata da Papa Francesco. E ciò non è semplicemente riconducibile alla crisi economica, ma molto di più è la conseguenza di uno scadimento morale sempre più diffuso e di una privatizzazione dei bisogni e delle risposte ai bisogni, conseguente all’oblio del principio di solidarietà.
Nella sua lectio magistralis in apertura dell’edizione 2015 della manifestazione Biennale democrazia, il costituzionalista e presidente emerito della Corte costituzionale Gustavo Zagrebelsky ha fatto più volte riferimento all’eugenetica e alle pratiche del nazismo affermando (nostra trascrizione delle parole pronunciate): «Nelle società gravate dalla penuria di risorse vitali – cioè, in pratica, tutte, salvo quelle delle isole di utopia – gli individui nati o divenuti inutili erano soppressi fin dall’inizio o abbandonati a se stessi. Erano i non-produttivi, i deboli, gli affetti da malformazioni e malattie, i “malriusciti” (secondo la terminologia eugenetica del nazismo)
o coloro che rappresentavano solo un peso per gli altri, come i vecchi irrecuperabili a una vita attiva. Le modalità, talora ritualizzate, erano le più diverse. Alcune tribù dell’America precoloniale usavano denudare il corpo degli infelici ancora viventi, cospargerlo di miele e lasciarlo in pasto alle termiti. Altri, di cui Erodoto dà testimonianza, se lo mangiavano. Altri ancora si affidarono alle cliniche e a dottori in camice bianco (…). Richard Matheson, nel racconto L’esame racconta di un test psico-fisico di produttività cui regolarmente gli anziani sono sottoposti, che ricorda le “selezioni” nei campi di sterminio nazisti propedeutiche alle camere a gas e fa pensare a una sorta di “abilitazione all’esistenza”, gestita burocraticamente (come l’esame per la patente di guida)».
Lo stesso professor Zagrebelsky era già intervenuto pubblicamente per ribadire come il diritto alla salute non possa essere subordinato agli equilibri di bilancio: «Nell’articolo 2 [della Costituzione] si parla di “doveri inderogabili di solidarietà sociale”. E se c’è solidarietà sociale non si può immaginare di abbandonare a sé stessi i soggetti più deboli. Una società solidale non ammette l’emarginazione e nei doveri di solidarietà ci sono i bisogni di salute, di assistenza» (La Repubblica del 20 ottobre 2014).
Infine il giurista e accademico Stefano Rodotà in un articolo dal significativo titolo “Perché i diritti non sono un lusso in tempo di crisi” pubblicato nella sezione Cultura de la Repubblica del 20 ottobre 2014 afferma «(…) Nel tempo che stiamo vivendo, i diritti sono indicati come un lusso incompatibile con la crisi economica, con la diminuzione delle risorse finanziarie. Ma, nel momento in cui la promessa dei diritti non viene adempiuta, o è rimossa, da che cosa stiamo prendendo congedo? Quando si restringono i diritti riguardanti lavoro, salute e istruzione, si incide sulle precondizioni di una democrazia non riducibile ad un insieme di procedure. Non sono i diritti ad essere insaziabili, lo è la pretesa dell’economia di stabilire quali siano i diritti compatibili con essa. Quando si ritiene che i diritti sono un lusso, in realtà si dice che sono lussi la politica e la democrazia. Non si ripete forse che i mercati “decidono”, annettendo alla sfera dell’economico le prerogative proprie della politica e dell’organizzazione democratica della società?» . E ancora: «I diritti non invadono la democrazia, ma impongono di riflettere su come debba essere esercitata la discrezionalità politica: proprio in tempi di risorse scarse, i criteri per la loro distribuzione debbono essere fondati sull’obbligo di renderne possibile l’attuazione».
Per queste ragioni i sottoscritti si appellano al Parlamento, al Governo, alle Regioni e agli Enti locali affinché siano approvati provvedimenti per la piena attuazione e garanzia del diritto alle cure sanitarie e alle prestazioni comprese nei Livelli essenziali di assistenza socio-sanitaria nel rispetto dei seguenti principi di riferimento:
i malati inguaribili sono sempre curabili e hanno diritto a un fine vita dignitoso;
le risorse devono essere distribuite con criteri di priorità, che spetta alla politica indicare nel rispetto delle disposizioni costituzionali;
garantire i livelli essenziali sanitari e socio-sanitari rientra tra le priorità che uno Stato democratico deve assicurare a tutti i malati, a maggior ragione se incapaci di difendersi autonomamente e dipendenti in tutto e per tutto dagli altri;
l’equilibrio di bilancio non può in ogni caso non garantire i Livelli essenziali delle prestazioni individuati con leggi approvate dal Parlamento;
il nucleo irriducibile del diritto alla salute, costituzionalmente garantito, non può essere compromesso da nessuna efficienza finanziaria;
vi è l’imperativo etico di individuare sacche di privilegi, sprechi, mancati introiti, percorsi di ottimizzazione delle risorse, anche sanitarie, dalle quali ricavare le risorse indispensabili per assicurare garanzie a cui non si può rinunciare;
l’azione dei politici e degli amministratori deve essere orientata a tutti i livelli da un’istanza etica, che imponga una particolare attenzione alle persone in situazione di grave bisogno, come sono i malati cronici non autosufficienti, tanto più se la loro tutela è già prevista dalle leggi vigenti;
le cure domiciliari sono un bene per i malati ed estremamente vantaggiose per le istituzioni. Non vi sono obblighi che impongano la cura di congiunti malati non autosufficienti ai loro familiari (*7), ma occorre prioritariamente investire perché la famiglia sia sostenuta, anche economicamente, quando è disponibile a farsi carico di un suo parente malato cronico e non autosufficiente.
Fondazione promozione sociale onlus
Presidente Maria Grazia Breda, 1^ firmataria Petizione per il diritto prioritario alle cure domiciliari
Circolo di Torino dell’Associazione Libertà e Giustizia
Coordinatore Francesco Pallante, Ricercatore di diritto costituzionale Università di Torino
Primi firmatari dell’appello:
Gustavo Zagrebelsky
Presidente emerito della Corte costituzionale, Professore emerito di Diritto costituzionale presso
l’Università di Torino, Presidente onorario dell’Associazione Libertà e Giustizia.
Alberto Vannucci
Professore di Scienza Politica – Università di Pisa
Presidente dell’Associazione Libertà e Giustizia
Sandra Bonsanti
Giornalista
Presidente emerito dell’Associazione Libertà e Giustizia
NOTE
(*1) Si tratta di persone spesso colpite da una pluralità di patologie, che dipendono totalmente dagli altri per l’espletamento delle funzioni vitali. Questa loro condizione esige una continua attenzione alla condizione di salute sotto il profilo preventivo, diagnostico e terapeutico. In particolare se affetti da demenza e/o malattia di Alzheimer sono quasi sempre incapaci di fornire informazioni circa la fenomenologia, l’intensità, la localizzazione del dolore di cui soffrono. Sovente non sono in grado di assumere i medicinali, di mangiare, bere, vestirsi autonomamente, quasi sempre sono doppiamente incontinenti e necessitano di una attenta igiene al fine di evitare il formarsi di piaghe da decubito.
(*2) Oltre alle norme della legge 833/1978, si veda l’Allegato 1C del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 novembre 2001, reso legge dall’articolo 54 della legge 289/2002, nel quale sono stati definiti i Livelli essenziali di assistenza socio-sanitaria ovvero le prestazioni domiciliari, semiresidenziali e residenziali per i malati non autosufficienti e le persone con grave disabilità e non autosufficienza, nonché le strutture residenziali a bassa intensità per i malati psichiatrici.
(*3) Nella sentenza 36/2013 la Corte costituzionale ha precisato che “l’attività sanitaria e socio-sanitaria a favore degli anziani malati cronici non autosufficienti è elencata tra i livelli essenziali di assistenza sanitaria del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 novembre 2001” ed ha definito non autosufficienti “le persone anziane o disabili che non possono provvedere alla cura della propria persona e mantenere una normale vita di relazione senza l’aiuto determinante di altri”.
(*4) Ad esempio il Governo e le Regioni hanno approvato il 10 luglio 2014 il Patto per la salute 2014-2016 che riguarda le prestazioni di competenza del Servizio sanitario nazionale. All’articolo 6 del documento. “Assistenza sociosanitaria”, viene stabilito che le relative prestazioni “sono effettuate nei limiti delle risorse previste”.
(*5) Si veda ad esempio la Deliberazione della Giunta regionale del Piemonte n. 26/2013, che ha trasferito dalla competenza del settore sanitario a quello dell’assistenza dei Comuni le prestazioni di assistenza tutelare alla persona e di aiuto infermieristico erogata da un familiare o da una assistente privata al domicilio, definendole arbitrariamente extra-Lea. Con la sentenza 156/2015, depositata il 29 gennaio 2015, il Tribunale amministrativo del Piemonte ha accolto invece il ricorso delle associazioni di volontariato e confermato che le prestazioni socio-sanitarie domiciliari fornite da badanti e volontariamente da familiari delle persone non autosufficienti sono Livelli essenziali delle prestazioni socio-sanitarie (Lea). Si tratta di diritti che non possono essere negati, nemmeno col pretesto delle ristrettezze di bilancio o del risanamento del debito sanitario. Un altro esempio è la legge 32/2014 della Regione Marche, che attribuisce al settore dell’assistenza in capo ai Comuni competenze per gli interventi che riguardano gli anziani malati non autosufficienti, chiaramente di pertinenza sanitaria.
(*6) Si vedano al riguardo la sentenza del Consiglio di Stato 339/2015 sul ricorso di un amministratore di sostegno che riconosce il diritto alla quota sanitaria Lea per il ricovero di un congiunto con grave disabilità e non autosufficienza e
la sentenza 604/2015, sempre del Consiglio di Stato, che legittima invece le liste d’attesa per i ricoveri in strutture residenziali dei malati anziani non autosufficienti.
(*7) L’articolo 23 della Costituzione stabilisce che «nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge». Spetta infatti alle Asl fornire le occorrenti prestazioni sanitarie e socio-sanitarie alle persone colpite da patologie invalidanti e da non autosufficienza.
Fonte: Libertà e Giustizia
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