L’azienda chiude? La prendono i lavoratori. I beni comuni vengono svenduti? Li tutela la comunità. I beni vengono confiscati alla criminalità organizzata? Li gestiscono soggetti sociali. Sono le nuove sfide della cooperazione, che negli ultimi anni non solo sono cresciute in numero e portata, ma che hanno anche subìto una forte spinta innovativa. A renderne conto è l’Euricse, l’Istituto europeo di ricerca sull’impresa cooperativa e sociale, che ha pubblicato il terzo rapporto “Economia cooperativa. Rilevanza, evoluzione e nuove frontiere della cooperazione italiana”.
In Italia nel complesso sono 67.062 le cooperative attive, che hanno generato un valore di produzione di 90,7 miliardi di euro e che hanno dato lavoro a oltre un milione di persone. In 10 anni – dal 2001 al 2011, quindi anche in piena crisi – sono aumentate del 15%. Tra queste, le cooperative sociali sono 11.264, con una crescita dell’88,5 per cento in 10 anni. Ma la vera portata innovativa sta tutta qui, nelle nuove forme cooperative che negli ultimi anni hanno preso sempre più piede in Italia. “Nuovi tipi di cooperative caratterizzate da un orientamento sociale più marcato di quelle tradizionali, orientate cioè a perseguire interessi di carattere generale, più che a risolvere un problema economico di un particolare gruppo sociale” evidenzia Euricse. E questo avviene in almeno tre ambiti: le cooperative costituite tra lavoratori per scongiurare la fine di un’azienda, quelle nate per gestire beni a favore di intere comunità di cittadini e quelle impegnate nella gestione di beni confiscati alla criminalità organizzata.
Le cooperative tra dipendenti, worker buyout. In Italia, le prime esperienze risalgono agli anni ’80, in una fase critica per l’economia. Con la ripresa degli anni ’90 il fenomeno sembrava ridimensionato, finchè non è scoppiata la crisi. Nel complesso, le imprese recuperate dai lavoratori costituiti in cooperative sono state 252: il settore di attività prevalente è quello manifatturiero (con più del 60% dei casi). Si tratta di imprese di piccola o media dimensione, ma altamente specializzate. Delle cooperative nate a cavallo degli anni ’80 e ’90, il 36% è ancora attivo. “Dati questi che vanno valutati tenendo conto che si trattava in tutti i casi di salvare imprese in gravi difficoltà al momento della loro conversione – sottolinea Eurisce -. Questi risultati suggeriscono che, quando adottata, questa forma cooperativa è effettivamente in grado di superare situazioni di crisi e di stabilizzare e sviluppare l’attività produttiva a beneficio non solo dei soci lavoratori, ma anche del contesto socio-economico di riferimento”.
La cooperativa di comunità. Questaseconda forma di cooperativa – di cui nel rapporto Euricse non fornisce dati – è finalizzata a gestire beni o a realizzare servizi a favore dei cittadini di una determinata comunità. Ha iniziato a diffondersi negli ultimi anni ma alcune regioni hanno già approvato leggi per il loro riconoscimento e sostegno. Soprattutto perché “si è iniziato a collegare queste cooperative con la tematica dei beni comuni – anch’essa divenuta di attualità soprattutto dopo il referendum sulla privatizzazione dell’acqua – di cui potrebbero diventare un soggetto gestore” si precisa nel rapporto.
Le cooperative che gestiscono beni confiscati alla criminalità organizzata. Sono oltre 11 mila gli immobili – per un valore di 362 milioni di euro – e 1.700 le imprese confiscate. L’81% dei beni si trova nelle quattro regioni del Sud. Sono 448 le organizzazioni che hanno in gestione questi beni e 123 sono cooperative sociali. Di queste, il 66% opera nelle regioni meridionali. Di 75 è stato possibile ricostruire i dati economico-patrimoniali e di 85 quelli occupazionali. Il valore della produzione ne 2013 era di 130 milioni – contro i 118 del 2011 – e il capitale investito ammontava a 118 milioni. Sempre nel 2013, occupavano 4.281 lavoratori di cui il 2% con difficoltà gravi di accesso al lavoro, con una netta prevalenza di contratti a tempo indeterminato.
Cresce il numero di cooperative, crescono i lavoratori e cresce il valore aggiunto, nonostante la crisi. È la fotografia di una realtà dinamica e decisamente anticiclica quella scattata da Euricse nel terzo rapporto “Economia cooperativa. Rilevanza, evoluzione e nuove frontiere della cooperazione italiana” presentato oggi a Roma. In Italia a fine 2013 si contavano 67.062 cooperative (di cui 44 mila con valore della produzione maggiore di zero)che hanno generato, nel 2013 un valore di produzione di 90,7 miliardi di euro. 376 le banche di credito cooperativo e 1.904 e i consorzi (di cui 1.507 con valore della produzione maggiore di zero) per un valore di 17,6 miliardi di euro.
“Dati comunque sottostimati – si spiega nel rapporto -, perché non includono il valore creato dalle banche di credito cooperativo e non considerano quelle realtà per cui non era ancora disponibile il bilancio”. Secondo le stime nel 2013 il fatturato è di circa 136,5 miliardi. “Un valore superiore a quello di qualsiasi impresa italiana, pubblica o privata, e pari a quasi tre volte quello della più grande azienda privata italiana, la Fiat”.
Secondo il censimento dell’istat, tra il 2001 e il 2011 le cooperative attive sono cresciute del 15 per cento, contro un aumento del totale delle imprese dell’8,5 per cento. Ancora più netto il distacco per quanto riguarda gli occupati +22,7 per cento contro il +4,3 per cento del totale delle imprese. Ciò significa che dei 750.849 occupati in più registrati nelle imprese private tra il 2001 e il 2011, quasi un terzo (222.367) avevano trovato lavoro in una cooperativa.
Tra il 2008 e il 2012 le 18.695 cooperative che facevano riferimento all’Alleanza delle Cooperative Italiane e di cui a gennaio 2014 era disponibile il bilancio – con l’esclusione dei settori del credito e delle assicurazioni – hanno incrementato il valore della produzione da 90.617 milioni a 99.234 e i redditi da lavoro dipendente sono aumentati del 21 per cento. Secondo i dati INPS il numero di posizioni lavorative nelle cooperative alla fine di dicembre di ogni anno è aumentato, tra il 2008 e il 2013, di 80.575 unità, pari al 6,8 per cento. Erano occupati, a fine 2013, 1.257.213 lavoratori, perlopiù con contratto a tempo indeterminato(68,1 per cento).
Il fisco fa il pieno con le coop. Dall’analisi complessiva sulle diverse forme di impresa, calcolata in rapporto al valore della produzione, emerge che nel 2013 la pressione fiscale è stata superiore per le cooperative rispetto alle società per azioni (7,7% per le prime contro il 6,8% per le seconde) soprattutto a seguito del maggior peso degli oneri sociali e delle imposte sui redditi da lavoro.
Tra i settori economici, la cooperazione attiva il 41,7 per cento del prodotto lordo totale del settore agricolo, il 10,7 per cento del settore delle costruzioni e attività immobiliari, il 9,5 per cento dei servizi. Nel settore agroalimentare Il valore aggiunto complessivo delle cooperative nel 2012 è stato di 12.557 miliardi di euro. Nel settore creditizio, le banche di credito cooperativo rappresentano il 56,6 per cento degli intermediari in Italia con un 1,2 milioni di soci e oltre sei milioni di clienti. Tra i tre settori dei servizi spicca quello della sanità e dell’assistenza sociale, dove operano prevalentemente cooperative sociali (vedi lancio successivo) le cooperative occupano quasi la metà dei lavoratori dipendenti da imprese private. Seguono il settore dei trasporti dove il peso della cooperazione sfiora il 20 per cento e quello degli altri servizi l’11,5 per cento.
Fonte: Redattore sociale
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