di Roberto Ciccarelli
L’assemblea «Fuori dall’emergenza, costruiamo insieme una via d’uscita dalla crisi dell’università», organizzata dalla Flc-Cgil oggi e domani al dipartimento di Architettura di Roma Tre a Roma (Largo Giovanni Battista Marzi 10) apre la stagione politica dell’università. Quella che dovrebbe portare all’approvazione, via decreto, della molto vociferata — ma al momento priva di contenuti — «Buona Università» annunciata da Renzi: la «riforma» che estenderà il «Jobs Act» anche ai precari della ricerca e porterà un attacco alle garanzie costituzionali della docenza universitaria escludendola dalla pubblica amministrazione.
Progetti roboanti ma di cui, ancora, non c’è traccia. Il governo ha infatti spento i riflettori dopo la mobilitazione contro la riforma della scuola e dopo una serie di uscite non proprio smaglianti. Memorabile è stata la «giornata d’ascolto» organizzata dal Pd a febbraio, quando Francesca Puglisi — la responsabile scuola-università del partito — presentò agli invitati una bozza di discussione sulla riforma che in realtà era stata decisa un mese e mezzo prima. Seguirono infuocate polemiche.
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Oggi il profilo è basso: nella legge di stabilità ci sarebbero 100 milioni di euro per la «chiamata diretta» per nuovi docenti, praticamente una cooptazione libera a dispetto dei concorsi; ci potrebbe essere un «restyling» dei contratti precari (dottorato, assegnisti, borsisti e altri) in un contratto unico — «a tutele crescenti» del Jobs Act; forse una manutenzione della riforma dei criteri Isee che impediscono agli studenti aventi diritto di accedere alle borse di studio. Emergenze a cui il governo potrebbe rimediare con qualche toppa, usando la logica di chi guarda il dito e non la luna.
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La crisi del sistema universitario è prodotta dalle incogruenze del sistema della valutazione Anvur che mette in competizione diretta gli atenei del Sud con quelli del Nord. La distribuzione delle premialità e dei «punti organico» previsti dalla «riforma» Gelmini ha privato gli atenei del Centro-Sud di quasi 700 ricercatori dirottati verso quelli del Nord-Italia. Una trasformazione genetica dell’università che sarà amplificata dalla nuova «Valutazione della Qualità della ricerca» (Vqr) ai nastri di partenza. Nel programmato dissolvimento dell’università pubblica, qualcosa si muove ma sembra avere un profilo corporativo. Il blocco degli stipendi dal 2010 ha prodotto una protesta tra i docenti che è partita da Torino e si è estesa altrove. Si parla di un boicottaggio della «Vqr» se non ci sarà l’adeguamento salariale. Nell’università ostaggio della meritocrazia, e dissanguata dai tagli, serpeggia il malcontento.
Fonte: il manifesto
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