Intervista a Maurizio Scarpari di Alessandra Cappelletti
Riuscire a interpretare aspetti apparentemente complessi o incomprensibili della cultura e dell’attualità cinesi spesso significa possedere le “chiavi” giuste, quelle “chiavi” che aiutano ad aprire le tante porte che ci si trova davanti quando si studia quella parte di mondo. Una di queste è sicuramente la lingua cinese classica, i messaggi culturali della quale rappresentano per chi la studia tracce da seguire per trovare il senso di tanti eventi della Cina contemporanea. Maurizio Scarpari, autore del libro “Ritorno a Confucio. La Cina di oggi fra tradizione e mercato”, appena pubblicato nella collana “Saggi” de “Il Mulino” , ha dedicato gran parte della sua carriera allo studio della lingua cinese classica e della cultura cinese tradizionale, e possiede quella interessante prospettiva analitica che appartiene a coloro che studiano il presente consapevoli del “peso” del passato.
Professore di Lingua cinese classica dal 1977 al 2011 presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, ha ricoperto le cariche accademiche di Prorettore Vicario e di Direttore del Dipartimento di Studi sull’Asia Orientale. In questa intervista, fatta alla vigilia della sua partenza per partecipare al convegno AISC (Associazione Italiana Studi Cinesi) a Macerata, ci parla del suo nuovo libro, e della prima visita di Stato del Presidente cinese Xi Jinping negli Stati Uniti.
Professore di Lingua cinese classica dal 1977 al 2011 presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, ha ricoperto le cariche accademiche di Prorettore Vicario e di Direttore del Dipartimento di Studi sull’Asia Orientale. In questa intervista, fatta alla vigilia della sua partenza per partecipare al convegno AISC (Associazione Italiana Studi Cinesi) a Macerata, ci parla del suo nuovo libro, e della prima visita di Stato del Presidente cinese Xi Jinping negli Stati Uniti.
D. Professor Scarpari, uno dei temi del suo nuovo libro è il “soft power” cinese, che analizza come concetto confuciano risalente alla Cina imperale, e di cui evidenzia limiti e contraddizioni nella contemporaneità.
La Cina si è sempre considerata la culla della civiltà e il centro del mondo. Questa visione, che potremmo definire “sinocentrica” e che è esattamente speculare a quella “eurocentrica”, ha fatto sì che i cinesi prendessero molto sul serio questo ruolo di “faro di civiltà” rispetto ai paesi limitrofi. L’identità culturale di questi ultimi si è formata sulla base della cultura cinese, che era molto più avanzata sia dal punto di vista tecnologico che da quello delle arti e del pensiero. L’idea di “soft power” è stata teorizzata in Cina sin dall’antichità, addirittura ne troviamo le tracce nei classici confuciani. C’è un famoso passo attribuito a Confucio, in cui il grande maestro esortava a mettere in pratica politiche attrattive, e laddove non si fosse riusciti a conquistare il consenso delle popolazioni dei popoli limitrofi con la forza e la diplomazia si sarebbe dovuto farlo con l’arma della cultura. Nella fase di costruzione dell’impero, che nel corso dei secoli si è andato ampliando fino ad arrivare ad abbracciare un intero continente, obiettivo della politica era esportare al di fuori dei confini imperiali i valori di una civiltà che si riteneva essere “la Civiltà”. Gli altri erano semplicemente “barbari”. Il principio di “soft power” è dunque alle fondamenta della concezione cinese di entità statale. Nel secolo scorso per un lungo periodo la Cina si è isolata dal resto del mondo, la cultura e i valori cinesi non sono stati più considerati modelli a cui attingere. Oggi la Cina ha ritrovato l’orgoglio di un tempo e ha deciso di riconquistare il suo ruolo di leader internazionale, e dunque considera la ricerca del massimo consenso un fattore essenziale della propria affermazione. La cultura, quella tradizionale soprattutto, è ritenuta lo strumento essenziale di questo processo. I valori cinesi vengono ritenuti universali ed esportabili in tutto il mondo, il problema è la scarsa conoscenza reciproca che tiene ancora lontani il mondo occidentale e quello cinese. Non è un caso che al momento della sua investitura Xi Jinping abbia sottolineato proprio la necessità di migliorare la reciproca conoscenza. A Seattle ha ribadito questo concetto, aggiungendo che se si vuole evitare un conflitto futuro tra Stati Uniti e la Cina che si rivelerebbe disastroso non solo per le due superpotenze ma per il mondo intero, bisogna accelerare il processo di reciproca conoscenza. Queste parole potrebbero sembrare pura retorica, ma non lo sono, sono dette da uno degli uomini più potenti della terra, per cui sarebbe bene che fossero ascoltate e meditate.
D. La visita di Xi Jinping negli Usa sembra dare ragione alla leadership cinese e al suo “soft power”: le multinazionali statunitensi (incluse quelle di Hollywood) sono pronte a scendere a compromessi importanti pur di assicurarsi un ruolo nel mercato cinese. Questo cosa significa per il futuro del “soft power” statunitense e di quello cinese? Vedremo presto le dive patinate di Hollywood indossare il qipao, l’abito femminile tradizionale cinese?
Staremo a vedere. Ritengo che al momento a prevalere siano gli aspetti economici, che sia ancora il business il fulcro di queste iniziative, anche se si vedono profilarsi all’orizzonte segnali interessanti di un possibile cambiamento. Un altro fenomeno interessante è la mostra “China through the Looking Glass” che si è chiusa da poco al Metropolitan Museum di New York, e che ha riscosso un successo inaspettato stabilendo un record assoluto di visitatori, più di 800 mila. È questa la mostra sul design e sul lusso che ha avuto il maggior successo di sempre al Metropolitan, ed è seconda per numero di visitatori solo a quella dei tesori di Tutankhamun del 1979, che superò il milione di presenze. Nessuno si sarebbe immaginato un exploit del genere, anche se il 40% dei visitatori era costituito da stranieri, e di questi più della metà erano cinesi che volevano vedere come la Cina viene rappresentata in uno dei templi della cultura occidentale. Si capisce che ci sono un interesse e una curiosità reciproci da soddisfare. Va però anche detto che questo successo riguarda una mostra sul lusso e il design, settori trasversali e universali che non risentono delle crisi né locali né globali. Questi record sono più difficili da ottenere in altri ambiti, anche se è vero che qualche anno fa, la mostra di archeologia cinese che è stata allestita nel 2006 a Roma, alle Scuderie del Quirinale, Cina. Nascita di un impero, ha registrato oltre 300 mila visitatori, un record per l’Italia in quell’anno, e una mostra analoga allestita al British Museum l’anno successivo, e fatta girare anche negli Stati Uniti, è stata visitata da oltre un milione e mezzo di persone, conferma dell’interesse per la cultura cinese di qualità.
D. Il tema centrale del suo libro è il recupero della tradizione, dei valori e dei principi confuciani da parte della leadership cinese, essenzialmente un rafforzamento dell’autorevolezza della leadership entro i confini del paese, e del “soft power” fuori. Queste operazioni corrispondono a una svolta reale della politica di Xi Jinping o nascondono continuità con il passato?
Creare un’immagine globale nuova del paese è un fattore imprescindibile, considerando le ambizioni della leadership cinese attuale. Il “sogno cinese” non si potrà mai realizzare se non si riesce a costruire un’immagine nuova, senza la quale la Cina non potrà mai tornare a essere un punto di riferimento per gli altri. Se ciò che si vuole ottenere è di porsi come modello, è chiaro che l’immagine del paese deve cambiare radicalmente. I cinesi sanno bene che la cultura, nelle sue varie manifestazioni e declinazioni, è lo strumento principale per accrescere il prestigio nazionale, e che il successo economico necessita di un’immagine nuova per affermarsi. Siamo di fronte a una svolta epocale. Creare un’immagine nuova è sicuramente un obiettivo di Xi Jinping; che poi ci riesca o meno, questa è tutt’altra questione. Io non credo che, muovendosi come stanno facendo i cinesi, si riesca a cambiare significativamente la percezione che l’Occidente ha della Cina. Ci sono troppi condizionamenti e scelte che sembrano andare nella direzione opposta. L’immagine della sedia vuota del premio Nobel Liu Xiaobo, che ha fatto il giro del mondo, ha spazzato via qualsiasi progresso compiuto fino ad allora. Nella sua visita negli Usa Xi Jinping ha rassicurato gli imprenditori, dichiarando che il processo di apertura economica in atto non si arresterà e che sarà potenziato, ma non basta, senza un’apertura culturale reale non si riuscirà a cambiare l’immagine del paese. Il rischio che la politica culturale venga confusa con la propaganda politica è reale e dovrebbe essere evitato a tutti i costi.
D. Secondo lei è un’operazione che, internamente, può funzionare, in un momento in cui c’è la necessità di colmare un vuoto di valori e di preparare la popolazione a una crescita economica più moderata?
Non credo che esista la necessità di convincere i cinesi dell’immenso valore della loro cultura, fin dai tempi più remoti essi hanno coltivato l’idea di una sua superiorità assoluta. Per oltre duemila anni la Cina si è retta sui valori e principi etici propri del confucianesimo. Un confucianesimo a più facce: una idealista, necessaria per esercitare un governo solidale e attento alle necessità del popolo, che si è rivelata ancor oggi indispensabile per far fronte a una serie di squilibri sociali a cui non si è riusciti a porre rimedio, l’altra più pragmatica e autoritaria, necessaria per mantenere efficiente e funzionale l’apparato di governo e unito, nel rispetto delle gerarchie, il popolo. L’insieme di questi due aspetti fornisce uno strumento di governo formidabile. Si pensi alla lotta contro la corruzione che sta portando avanti Xi Jinping: senza fare pulizia all’interno dell’apparato burocratico-amministrativo e rompere il legame perverso esistente tra il mondo della politica e il settore produttivo e finanziario, non sarà possibile trasformare la Cina in un paese realmente moderno ed efficiente. Per fare questo bisogna avere strumenti idonei anche dal punto di vista etico, soprattutto ora che il sistema ideologico che ha tenuto uniti il paese e il partito fin dagli anni ’50 del secolo scorso non esiste più e si è creato un vuoto esistenziale, morale e spirituale preoccupante, che pervade buona parte della società. Il recupero del proprio patrimonio culturale e dei propri valori si sta rivelando la mossa più efficace.
Il confucianesimo è uno strumento di controllo sociale potente, che presuppone il massimo rispetto verso gli altri, soprattutto verso i superiori e le istituzioni, è quindi un ottimo strumento non coercitivo di governo – diverso da quello giudiziario e da quello legale – e molto sottile, in quanto lavora direttamente sulla persona e sulle strutture sociali. Il recupero della tradizione e dei suoi valori e ideali funzionerà sia sul piano individuale che sociale: è una via iniziata dalla quale non si tornerà indietro.
D. Qual è invece il senso di questo recupero di valori tradizionali nella politica estera cinese, e come questo recupero si riflette in questa prima visita di Stato del Presidente cinese negli Usa?
L’attuale gruppo dirigente è particolarmente impegnato a trasmettere all’estero un’immagine più edulcorata del sistema sociale, politico e di governo, più etico e solidale, più attento alle necessità dell’uomo. Si vorrebbe mettere meno enfasi sugli aspetti economici e più attenzione su quelli che riguardano l’uomo. Gli stranieri, e in particolare gli americani, sono poco interessati a seguire questi processi sociali complessi, con il rischio che tutto venga interpretato come pura retorica politica. Al discorso conciliante tenuto da Xi Jinping a Seattle contro il pericolo di nuovi conflitti che si rivelerebbero disastrosi per l’intero mondo, Obama opporrà sicuramente, se non l’ha ancora fatto, la delicata questione del Mar cinese meridionale, rispetto alla quale le posizioni non sembrano muoversi di un solo millimetro. I cinesi hanno deciso di non sottostare più ai diktat occidentali, sia in ambito economico che politico, e di portare avanti la loro visione del mondo, non più condizionati dalla prospettiva occidentale. Questo si riflette, ovviamente, sulle relazioni internazionali, economiche e culturali. Sono due concezioni diverse che si stanno confrontando, e questo confronto caratterizzerà i prossimi decenni sicuramente. Cosa succederà nel corso di questa importante missione negli Usa di Xi Jinping? Ci si fermerà alla pura retorica, stringendosi la mano a denti stretti, o si deciderà di inaugurare modalità di dialogo nuove, meno dense di sospetti e tensioni? Questa è la partita in gioco, anche perché al momento l’Europa non è un interlocutore politico serio, la partita è a due. Questo è un vantaggio, ma al tempo stesso uno svantaggio per gli Usa: da una parte hanno campo libero d’azione, dall’altra sono costretti a sostenere la situazione da soli, dovendosi reggere su gambe instabili, una delle quali pare zoppa.
D. Nonostante limiti e contraddizioni, e un crescente gap tra ricchi e poveri nella Cina contemporanea, la leadership di Xi Jinping appare oggi molto più solida e potente di quella di Barack Obama. Cosa pensa di questa immagine più assertiva e sicura di sé della Cina, di fronte alla crisi, politica ed economica, delle democrazie occidentali?
Gli eventi epocali che hanno caratterizzato l’ultimo decennio, che stanno mutando in modo irreversibile la mappa delle relazioni geopolitiche a livello planetario, e la debolezza delle democrazie occidentali, determinano una politica statunitense poco coerente e lineare. Xi Jinping ha dato un’accelerata ai processi di riforma del paese in un momento di fragilità dell’Occidente, dovuto soprattutto alla crisi finanziaria ed economica del 2008. Xi Jinping ha deciso di essere più assertivo, ha abbandonato l’idea di Deng Xiaoping del “basso profilo” da tenersi sullo scacchiere internazionale. È diventato molto assertivo al di fuori dalla Cina, ma ha dovuto diventarlo anche all’interno. Il governo è oggi più autoritario rispetto al passato e utilizza il nazionalismo come elemento di coesione interna, per aver facile gioco sullo scacchiere internazionale. Gli Usa sono ancora molto avanti sul piano economico e militare, ma la crescita della Cina in entrambi i settori sembra inarrestabile. Xi Jinping non si fa intimidire e ha a sua disposizione riserve valutarie imponenti: 3700 miliardi dollari, con cui sta progettando interventi economici e finanziari, ma anche opere infrastrutturali grandiose in tutto il mondo. Si pensi ai progetti faraonici della Asian Investment and Infrastructure Bank (AIIB), che richiedono competenze e investimenti enormi, e che implica relazioni politiche solide. L’Occidente chiede alla Cina di avere un’economia più aperta, però poi grida allo scandalo quando le autorità bancarie cinesi cercano di rendere fluttuante lo yuan, passaggio essenziale per farlo entrare nel paniere del Fondo Monetario Internazionale; si vorrebbe una Cina più aperta ma alle condizioni dell’Occidente, senza che vengano introdotte manovre che potrebbero rivelarsi destabilizzanti per la supremazia del dollaro e dell’economia americana e, più in generale, occidentale. Queste contraddizioni sembrano non interessare Xi Jinping, che appare come lo statista cinese più potente dopo Mao Zedong e Deng Xiaoping, che agisce da protagonista in un momento in cui tutto la mappa delle relazioni geopolitiche sta per subire cambiamenti radicali e richiese di essere ridisegnato ex novo. Non si tratta di pura retorica, ma di una volontà precisa, di un disegno ben articolato, che si sviluppa sia sul piano economico, sia sul piano culturale e politico. Ritengo che di fronte a questi scenari l’Occidente debba ripensare agli assetti del mondo con un’attitudine nuova, gli strumenti convenzionali non sembrano più adeguati. Si veda il caso delle sanzioni dell’Occidente alla Russia: non hanno fatto che penalizzare le nostra economia, avvicinando sempre più Russia e Cina.
Pubblicato su Cinaforum del 24 settembre
Fonte: inchiesta online
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