In Messico, Paese del G20, organizzatore di summit ambientali dell’Onu, alleato privilegiato degli Usa e dell’Ue, la democrazia è ormai un fantoccio e in molti cominciano a chiedersi perché in Europa non si parla della chiara violazione dei diritti umani verso la popolazione civile, gli attivisti e giornalisti, che mette il Messico in una posizione indifendibile dal punto di vista del Diritto Internazionale. L’Italia e l’Europa continuano a fare affari con il governo di un Paese che ha le mani macchiate di sangue e che i vede aumentare la corte di “amici” dopo la privatizzazione della Pemex, l’a compagni petrolifera messicana, e la scoperta di grandi giacimenti dio shale gas in alcune aree del Paese che hanno il “difetto” di essere abitate da popolazioni indigene o un po’ troppo consapevoli dei loro diritti. Ma fortunatamente anche in Italia c’è qualcuno che vuole dar voce a tutti coloro che hanno perso la vita nella ricerca di giustizia in Messico: in occasione del primo anniversario dalla scomparsa dei 43 studenti della Escuela Normal Rural di Ayotzinapa, è stato lanciato l’appello #MexicoNosUrge, rivolto alle istituzioni italiane, al Parlamento europeo e agli altri Paesi dell’Ue Membri, per chiedere il rispetto dell’articolo 1 del Trattato di libero commercio tra Messico e Unione Europea che recita trestualmente: «Fondamento dell’accordo.
Il rispetto dei principi democratici e dei diritti umani fondamentali, così come si enunciano nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, ispira le politiche interne e internazionali delle parti e costituisce un elemento essenziale del presente Accordo».
Il rispetto dei principi democratici e dei diritti umani fondamentali, così come si enunciano nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, ispira le politiche interne e internazionali delle parti e costituisce un elemento essenziale del presente Accordo».
L’appello, firmato, tra gli altri, da Dario Fo, Paco Ignacio Taibo II, Roberto Saviano, Erri De Luca e Don Ciotti, è stato promosso da Federico Mastrogiovanni, un giornalista italiano che da anni vive e lavora in Messico e autore di “Ni vivos ni muertos”, uno sconvolgente racconto dei meccanismi delle sparizioni forzate che hanno portato, dal 2007 a oggi, alla scomparsa di circa 30.000 persone.
«Dopo l’omicidio del giornalista Espinosa lo scorso luglio – spiega Mastrogiovanni – un gruppo di persone impegnate sul fronte dei diritti umani e della libertà di stampa si è riunito per chiedere risposte all’Europa e all’Italia sui rapporti commerciali con il Messico. Ci siamo interrogati su come venisse considerato il Paese in materia di diritti, sapendo che l’immagine che arriva all’estero è totalmente falsata: il Messico infatti non viene considerato come un Paese che viola l’articolo 1 del Trattato, ma basti pensare, ad esempio, alla possibilità per l’esercito di ‘abbattere’ chiunque venga considerato un delinquente senza un regolare processo, per capire che il Messico è la tomba dei diritti umani, regolarmente violentati, Paese in cui la tortura è una pratica costante strutturale. I temi dell’appello riguardano la continua aggressione ai giornalisti e alla libertà di stampa nel Paese. Negli ultimi 15 anni, infatti, ne sono stati uccisi più di 100 ed Espinosa – assassinato a Citta del Messico, finora considerato un posto sicuro per i cronisti minacciati -, non è nemmeno l’ultimo di una lunga serie. Ma con il suo omicidio, il messaggio per chi si occupa di informazione è stato particolarmente chiaro: non potete nascondervi più da nessuna parte. Ed è per questo che abbiamo deciso di intervenire con un appello».
Mastrogiovanni torna sulla sparizione dei 43 studenti di Ayotzinapa, avvenuta il 26 settembre del 2014, e sottolinea che «La versione ufficiale dei fatti raccontata dal governo è stata smentita, e ora sappiamo con certezza che l’operazione è stata condotta in collaborazione fra esercito, polizia federale e polizia municipale. Lo Stato ha quindi partecipato sotto tutti i punti di vista, ma il governo messicano continua a negare che si sia trattato di un delitto di Stato, delitto che si inscrive all’interno di un quadro che vede decine di migliaia di sparizioni forzate nel corso degli anni come strategia del terrore. L’obiettivo dell’appello è quello di far capire all’opinione pubblica italiana ed europea cosa sta accadendo veramente, quanto in Messico la violenza non sia da attribuire ai soli gruppi criminali quanto all’associazione dello Stato con essi. E’ tempo di cambiare il modo in cui il Paese viene raccontato, perché la verità è un’altra».
Ecco il testo della petizione/appello #MÉXICONOSURGE:
Gli omicidi del fotogiornalista Rubén Espinosa, dell’attivista Nadia Vera, della studentessa Yesenia Quiroz Alfaro e di altre due donne che si trovavano con loro, Nicole Simon e Alejandra, avvenuti a Città del Messico, venerdì 31 luglio scorso, ci impongono di non rimanere in silenzio. Dinanzi alla condizione che vive chi vuole denunciare la situazione che subiscono milioni di persone in un paese, il Messico, che l’Italia e l’Unione Europea riconoscono soltanto come importante socio commerciale, rimanere in silenzio sarebbe una forma di complicità.
Rubén Espinosa è l’ultimo giornalista ucciso in Messico in un massacro che sembra non avere fine. Sono più di cento i giornalisti assassinati dal 2000 ad oggi. Nello stato del Veracruz, dove Rubén lavorava raccontando gli abusi del governo statale e le violente repressioni contro gli oppositori politici, sono 14 i giornalisti uccisi durante il governo di Javier Duarte de Ochoa, soprannominato anche il mataperiodistas, l’ammazza giornalisti.
Rubén Espinosa e Nadia Vera erano fuggiti dallo stato del Veracruz proprio per le minacce ricevute da funzionari del governo di Javier Duarte, indicato mesi fa come responsabile di qualsiasi gesto di aggressione nei loro confronti. Non è stato sufficiente fuggire a Città del Messico, considerata finora un porto sicuro in cui ripararsi dalle aggressioni contro la libertà di stampa. Il messaggio è chiaro: non si è sicuri da nessuna parte. Tutti i giornalisti critici devono avere paura perché possono essere raggiunti nelle loro case, torturati e ammazzati.
La libertà di stampa in Messico viene violentata quotidianamente. Fare il giornalista in Messico è una delle professioni più a rischio e i dati delle più importanti organizzazioni di difesa dei giornalisti e della libertà di stampa (come Article19 o RSF) indicano chiaramente come la maggior parte delle minacce, aggressioni, intimidazioni, sparizioni e uccisioni di giornalisti, fotografi e comunicatori si debbano imputare alle istituzioni dello Stato.
Il Messico e l’Unione Europea sono vincolati dal Trattato di Libero Commercio che si basa su una clausola democratica, e i nostri paesi, i nostri Parlamenti – sia nazionali che quello europeo – non possono rimanere in silenzio di fronte a questa situazione.
Nel maggio del 2016 si compiranno dieci anni dal massacro di San Salvador Atenco. Una Commissione Civile di Osservazione dei Diritti Umani – i cui componenti erano cittadini europei – nel giugno del 2006 ha presentato al Parlamento Europeo un rapporto sui fatti e sulle gravi violazioni dei diritti umani in relazione allo sgombero forzato di una comunità per costruire il nuovo aeroporto di Città del Messico in una zona ejidal (cioè di proprietà collettiva) dello Stato del Messico.
Negli ultimi dieci anni la situazione si è fatta se possibile ancora più grave, con decine di migliaia di sparizioni forzate, violenza sistematica contro chi vuole difendere e promuovere i diritti umani, contro attivisti dei movimenti sociali e contro i giornalisti e fotografi che documentano la condizione di violenza strutturale scelta come forma di “politica attiva” dai governi di Felipe Calderón, prima, e di Enrique Peña Nieto (che nel 2006 era governatore dello Stato del Messico durante i fatti di Atenco), ora.
Tra gli attivisti e giornalisti minacciati e perseguitati ci sono anche cittadini italiani ed europei; tra le vittime ci sono anche cittadini italiani ed europei (come il finlandese Jyri Antero Jaakkola, assassinato dai paramilitari nello stato del Oaxaca nel 2010).
In questo panorama di violenza diffusa e repressione contro i civili ricordiamo la sparizione forzata dei 43 studenti della Escuela Normal Rural di Ayotzinapa, avvenuta la notte del 26 settembre del 2014 nella città di Iguala, stato del Guerrero, in cui sono coinvolti la polizia municipale di Iguala ed elementi dell’esercito messicano. Da dieci mesi i 43 giovani studenti sono vittime di sparizione forzata di persone.
Il 30 giugno 2014 l’esercito messicano, con un ordine scritto dall’Alto Comando Militare, fucilava 22 ragazzi in un’esecuzione extragiudiziale, una delle tante esecuzioni extragiudiziali portate a termine dall’esercito che ha l’ordine di “abbattere” civili considerati delinquenti senza alcun diritto ad avere un processo.
L’ONU ha recentemente spiegato come in Messico la tortura sia un metodo utilizzato in maniera sistematica negli interrogatori da tutte le forze di sicurezza.
Tutto questo accade nel silenzio della cosiddetta “comunità internazionale” e l’Unione Europea di fatto si disinteressa dei crimini dello stato messicano, continuando a mantenere relazioni commerciali con uno Stato che viola costantemente i diritti umani.
Tra il 2007 e il 2014 in Messico ci sono stati più di 164mila omicidi di civili. Negli stessi anni in Afghanistan e in Iraq si sono contate circa 104mila vittime. Il numero di persone sparite dal 2006 ad oggi, basandosi su dati conservativi del governo messicano, supera le 30mila persone. È indefinito il numero delle persone sfollate forzatamente all’interno del paese, ma molte organizzazioni di difesa dei diritti umani parlano di più di due milioni e mezzo di persone.
A fronte di tutto questo l’indifferenza dei grandi mezzi di comunicazione internazionali è impressionante e complice.
Per tutto questo, #MexicoNosUrge e non possiamo rimanere in silenzio.
Chiediamo che il Parlamento Europeo esprima la sua preoccupazione rispetto alla grave crisi dei diritti umani che vive il Messico, in particolare per le costanti aggressioni ai giornalisti e difensori dei diritti umani.
Chiediamo all’Italia e all’Unione Europea che si sospendano tutte le relazioni (politiche e commerciali) con il Messico fino a quando non si farà luce sui gravi casi di omicidio, violenza e sparizione forzata di persone. I paesi dell’Unione Europea devono applicare l’embargo agli investimenti in Messico e chiudere le loro Ambasciate, così come si è fatto nel caso di altri paesi che non osservano l’obbligo del rispetto dei diritti umani e del diritto alla vita dei propri cittadini.
Per aderire: mexiconosurge2015@gmail.com
Fonte: Green Report
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