di Alessandro Pace
A fronte della giusta richiesta della minoranza Pd di mantenere l’elettività diretta del Senato, prevista nella vigente Costituzione, il duo Renzi-Boschi ha eccepito che sul comma 1 della nuova versione dell’articolo 57 — secondo la quale i senatori sono eletti dai consigli regionali e provinciali di Trento e Bolzano «tra i propri componenti» — si era già verificata la “doppia conforme” a seguito del voto sull’identico testo del Senato e della Camera. Di qui, per il Governo, l’inammissibilità di eventuali ulteriori modifiche a tale comma.
Il Governo ha però concesso che avrebbe proposto la modifica non già del citato comma 1, ma del comma 5, là dove il “nuovo” articolo 57 disciplina la durata del mandato dei senatori. Di qui la nuova versione del comma 5 — accettata (non unanimamente) dalla minoranza Pd e recepita dall’emendamento Finocchiaro — secondo la quale i senatori vengono eletti «in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi, secondo le modalità stabilite dalla legge di cui al sesto comma».
Dai critici non è stata però sufficientemente rilevata l’erroneità della tesi secondo la quale l’emendamento del comma 1 non sarebbe stato ammissibile.
A parte il noto precedente della Giunta del regolamento della Camera del 5 maggio 1993 (presidente Napolitano), secondo il quale nel procedimento di revisione costituzionale possono essere introdotti emendamenti anche soppressivi pur quando sul testo si sia formata la “doppia conforme”. Ma a parte ciò, c’è un argomento ulteriore, assorbente e insuperabile, che è il seguente. Una modifica della Costituzione, fino a quando non sia stata definitivamente approvata e promulgata, non prevale — e non può prevalere — sulla versione originaria della Costituzione, tuttora vigente. L’argomento della doppia conforme è quindi del tutto fuori luogo.
A parte il noto precedente della Giunta del regolamento della Camera del 5 maggio 1993 (presidente Napolitano), secondo il quale nel procedimento di revisione costituzionale possono essere introdotti emendamenti anche soppressivi pur quando sul testo si sia formata la “doppia conforme”. Ma a parte ciò, c’è un argomento ulteriore, assorbente e insuperabile, che è il seguente. Una modifica della Costituzione, fino a quando non sia stata definitivamente approvata e promulgata, non prevale — e non può prevalere — sulla versione originaria della Costituzione, tuttora vigente. L’argomento della doppia conforme è quindi del tutto fuori luogo.
Ne segue, che se il duo Renzi-Boschi avesse davvero inteso venire incontro alle richieste della minoranza Pd non vi era alcun ostacolo ad inserire nel comma 1 un accenno all’elettività diretta. L’emendamento Finocchiaro avrebbe quindi ben potuto essere redatto in linea con il vigente primo comma dell’articolo 57, che presuppone l’elettività diretta, pur con qualche aggiunta relativa al diverso numero dei senatori. Inoltre si sarebbe potuta cogliere questa occasione per eliminare, da quel primo comma, il riferimento ai cinque senatori di nomina presidenziale (di durata pari a quella del Capo dello Stato, come se fossero suoi rappresentanti!) che sono del tutto fuori luogo in un Senato essenzialmente rappresentativo delle istituzioni territoriali.
Invece il Governo e la maggioranza hanno voluto ottenere capra e cavoli, con la conseguenza che l’emendamento Finocchiaro, ma non per colpa della Presidente, è un vero e proprio pasticcio. Se da un lato l’articolo 57, nella nuova versione, si preoccupa della conformità del voto dei consiglieri regionali e provinciali alle scelte espresse dagli elettori (comma 5), dall’altro però conferma che i senatori sono “eletti” dai consiglieri regionali e provinciali tra i propri componenti (comma 1). Ebbene, due “elezioni” — e cioè due scelte avente lo stesso contenuto — sono davvero troppe. L’elezione da parte dei consigli regionali e provinciali (comma 1), ancorché in asserita «conformità alle scelte degli elettori» (comma 5), non sarà mai una presa d’atto dei risultati dell’elezione popolare, come ritenuto dalla minoranza Pd.
Se si parte dal punto fermo dell’elettività quanto meno indiretta del Senato — che consegue dalla spettanza della sovranità al popolo (art. 1 Cost.) — l’emendamento Finocchiaro solleva dubbi di costituzionalità sotto due profili. In primo luogo, perché non si preoccupa dell’elezione senatoriale dei sindaci da parte degli elettori, che verrebbero quindi scelti esclusivamente dai consiglieri regionali e provinciali. In secondo luogo, perché, parafrasando la costante giurisprudenza della Corte costituzionale a proposito del divieto per le leggi regionali di riprodurre norme rientranti della competenza statale, mi chiedo: che “ci azzecca” che i consigli regionali e provinciali debbano mettere un timbro su quanto già deciso dal popolo?
E quindi, delle due, l’una: o l’elezione dei senatori da parte dei consigli regionali e provinciali è una mera presa d’atto, e allora sarebbe un’inutile finzione oppure costituisce un pretesto per consentire al Governo di interferire sulle scelte degli elettori in sede di redazione e approvazione della legge sulle elezioni senatoriali. Ma allora contrasterebbe con l’art. 1 della Costituzione.
Quanto infine all’articolo 38 delle disposizioni transitorie relativo appunto alle elezioni senatoriali, già approvato sia dal Senato che dalla Camera, va da sé che sia che venga modificato il solo comma 5 del “nuovo” articolo 57 della Costituzione — come vorrebbe il Governo — sia che venga modificato anche il comma 1, come qui sostenuto, è di tutta evidenza che esso dovrebbe essere adeguato alle intervenute modifiche, con buona pace della tesi della non emendabilità degli articoli per i quali vi sia stata la doppia conforme.
Fonte: Libertà e Giustizia
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