di Marta Bonafoni e Gino De Paolis
Non hanno vita facile, ma per i beni comuni c’è una strada percorribile all’interno dell’autostrada di asfalto e affari tracciata dallo Sblocca Italia del governo Renzi. Il Lazio sta provando a percorrerla, alla voce “acqua pubblica” e nel rispetto di quel referendum che meno di cinque anni fa ha portato 27 milioni di italiani a esprimersi in modo incontrovertibile su alcuni quesiti agganciati al principio dell’acqua come “diritto umano fondamentale”.
In questi giorni il Consiglio regionale del Lazio ha approvato le modifiche alla legge 5/2014 — la prima in Italia ad aver attuato il referendum — rispondendo così ai rilievi che Palazzo Chigi aveva mosso contro quel testo. “Incostituzionalità”, diceva il governo, che nel frattempo con lo Sblocca Italia da una parte e con la Legge di stabilità dall’altra ha svelato le sue vere intenzioni, puntando senza se e senza ma a una gestione dell’acqua centralizzata, in mano ai privati, alla faccia della partecipazione dei Comuni e dei cittadini. L’aula della Pisana ha risposto, adeguando il testo senza smentire lo spirito referendario, anzi mettendo in sicurezza il concetto dell’esclusione della “finalità di lucro” quando si parla di acqua.
È stato un lavoro delicato, paziente, in costante raccordo con i movimenti dell’acqua e che ha visto alla fine esprimersi all’unanimità la maggioranza, con il Movimento Cinque Stelle e con il centro-destra. Un lavoro di una Regione-Davide che si scontra contro un governo-Golia che pur di arrivare all’obiettivo fa leva persino sulle casse sempre più impoverite degli enti locali, allungandogli il boccone dell’alleggerimento del patto di stabilità in cambio della (s)vendita dei servizi pubblici.
L’altro giorno abbiamo dato al governo un primo stop. Adesso ci aspetta la partita più impegnativa, quella della definizione degli Ambiti di bacino idrografico, con la quale finalmente armonizzare la gestione dell’acqua non con le logiche del profitto ma con la forma e la natura del nostro territorio. I suoi fiumi, le sue sorgenti, le sue montagne, la sua popolazione.
Non siamo soli, sulla strada che abbiamo aperto contraddicendo il pensiero unico che ci governa. Abbiamo dalla nostra dei compagni di viaggio preziosi: Papa Francesco, che con la sua enciclica “Laudato sì” mette a fuoco in maniera cristallina il legame fra l’acqua e gli ecosistemi terrestri e umani. Il Parlamento europeo, che ha votato l’inserimento dell’”acqua diritto umano” all’interno della legislazione comunitaria. Abbiamo infine dalla nostra lo scenario che i migranti, con i loro corpi di uomini, donne, bambini e vecchi, hanno spalancato quest’estate davanti ai nostri occhi: che si scappi per guerra o per fame, la fuga nasce sempre da un assalto predatorio alle risorse naturali di quei Paesi.
Percorrendo il sentiero dell’acqua il Lazio quindi prova ad assumere su di se una grande sfida: quella di una politica che sappia riappropriarsi del principio della “responsabilità”, che è innanzitutto — come dice Salvatore Settis –responsabilità verso chi è distante da me, per provenienza geografica o di ceto sociale. La responsabilità di un’istituzione che lavori per dare nuova forza e vigore a una democrazia ormai sempre più fiaccata da scelte scellerate. Indebolita, anche, da quel referendum violato che tanta passione civica aveva suscitato nel nostro Paese.
Fonte: il manifesto
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