La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 1 ottobre 2015

Scatta il supercanguro, bagarre in aula

di Andrea Colombo
Una for­za­tura dopo l’altra, governo e mag­gio­ranza vanno avanti a colpi di accetta, impo­nendo al Par­la­mento una riforma della Costi­tu­zione che di fatto non può essere modi­fi­cata. Un trucco, un emen­da­mento tirato fuori dal cilin­dro del Pd all’ultimo secondo e l’intero art.1 della riforma, quello che regola le fun­zioni del futuro Senato, diventa blin­dato come una cassaforte.
Il pro­blema erano quei 19 voti segreti che il pre­si­dente del Senato aveva deciso di con­ce­dere all’opposizione. Troppi per il governo, e troppo alto il rischio. Grasso, in realtà, non si era limi­tato ad acco­gliere le 19 richie­ste di voto segreto. Dopo aver sfor­bi­ciato ulte­rior­mente gli emen­da­menti all’art. 1, con­ce­dendo di inter­ve­nire solo sulle parti modi­fi­cate dalla Camera ed eli­mi­nando così alcune cen­ti­naia di pro­po­ste di modi­fica, aveva dichia­rato inam­mis­si­bili anche quelli che, come già suc­cesso ai tempi dell’approvazione dell’Italicum, avreb­bero vei­co­lato il cosi­detto “can­guro”. Quelli cioè che avreb­bero impe­dito di votare tutti gli emen­da­menti successivi.
A sor­presa, però, pre­senta un emendamento-tagliola il dem Roberto Cocian­cich, ren­ziano della prima ora, già pre­si­dente della Con­fe­renza inter­na­zio­nale cat­to­lica dello scou­ti­smo, poco cono­sciuto dai sena­tori, tanto che il capo­gruppo Fi Romani gli chiede di alzare la mano «così cono­sciamo anche lui oltre che il suo emen­da­mento». Il testo di Cocian­cich è quasi iden­tico a quello della pre­si­dente della com­mis­sione Affari costi­tu­zio­nali Finoc­chiaro, che riprende l’accordo rag­giunto con la mino­ranza demo­cra­tica sulle fun­zioni future di palazzo Madama. Tra i due emen­da­menti la dif­fe­renza però c’è: in ter­mini di rego­la­mento se non di sostanza. Essendo quello di Cocian­cich sosti­tu­tivo dell’intero arti­colo, com­porta la deca­denza di tutti i voti suc­ces­sivi, inclusi quelli segreti. Grasso, pur avendo ster­mi­nato gli altri can­guri, que­sto lo salva. Il governo, un secondo dopo, esprime parere posi­tivo solo su due emen­da­menti: quello della Finoc­chiaro e quello gemello dello scout. Il Pd chiude la trap­pola chie­dendo che i due testi foto­co­pia siano messi al voto insieme.
Mezza aula esplode e volano parole grosse. Cal­de­roli denun­cia l’ «atten­tato alla demo­cra­zia», De Cri­sto­faro (Sel) parla di «truffa», Romani di «intol­le­ra­bile burla», la fit­tiana Bon­fri­sco di «vol­gare macel­le­ria». Molti rin­fac­ciano al pre­sen­ta­tore dell’emendamento-mannaia l’essersi pre­stato alla mano­vra ordita dal governo. Il capo­gruppo Pd Zanda si scal­mana lo stesso e incen­dia ulte­rior­mente l’aula con un inter­vento che è un modello di arro­ganza. «Da 20 minuti state insul­tando un galan­tuomo. È la prova che non volete un dibat­tito sulle riforme». Detto da lui è un po’ forte: e infatti par­tono i fischi. Sca­te­nato, il capo­gruppo del Pd, che qual­cuno defi­nirà poi aper­ta­mente «un pre­sta­nome», non si ferma: «Que­sto dibat­tito voi non lo meri­tate e noi le riforme le appro­ve­remo comun­que». Sem­brano parole det­tate dall’ira. Invece rispec­chiano fedel­mente il pen­siero e il con­creto agire del governo e delle sue obbe­dienti truppe par­la­men­tari: il Par­la­mento non merita dibat­titi, e non deve impic­ciarsi più di tanto.
I pochi emen­da­menti che pre­ce­dono la ghi­gliot­tina dello scout ven­gono fal­ci­diati facil­mente col voto palese, a par­tire da quello sop­pres­sivo dell’intero arti­colo fir­mato sia dalla pre­si­dente del Misto-Sel De Petris che dal gril­lino Crimi e quindi, a ruota, quello, pre­sen­tato ma poi riti­rato in buon ordine della mino­ranza Pd e resu­sci­tato dall’M5S, che mirava a resti­tuire fun­zioni non irri­so­rie al Senato. Tre sena­tori della mino­ranza votano in dissenso.
Ormai resta solo una mina. C’è un emen­da­mento Cal­de­roli che affi­de­rebbe al Senato poteri con­creti sui temi etici. Deve essere votato segre­ta­mente e capita prima della bomba Cocian­cich. Poco male, la segre­tezza riguarda solo una parte dell’emendamento: basta boc­ciare la pro­po­sta di voto per parti sepa­rate e voilà, il gioco è fatto. Infatti viene boc­ciato. Un sena­tore dem, Cas­son, vota in dis­senso. Renzi esulta: «Con 380mila emen­da­menti di tutto si può par­lare tranne che di man­canza di diritti dell’opposizione, ma le riforme le faremo lo stesso». Un ddl costi­tu­zio­nale par­tito dal governo, l’aggiramento della discus­sione e del voto in com­mis­sione, la con­qui­sta certa di una mag­gio­ranza ricor­rendo ai buoni uffici di Ver­dini, il taxi­sta che tra­ghetta fron­ta­lieri dal regno deca­duto di re Sil­vio alle terre del nuovo re Renzi, il trucco con cui sono stati ieri fal­ciati emen­da­menti e voti segreti: tutto ciò non gli sem­bra ledere i diritti di nes­suno. Nel merito, la riforma impo­sta toglierà al Senato ogni ragione di essere. Ma nel metodo il governo ha già prov­ve­duto: non col Senato ma con l’intero Parlamento.

Fonte: il manifesto 

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