La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 1 ottobre 2015

L’onda nera del populismo nel vecchio continente

di Guido Caldiron
Un viag­gio scan­dito da istan­ta­nee che docu­men­tano impo­ve­ri­mento, mar­gi­na­lità, deca­denza e, soprat­tutto, ran­core. In una parola, la crisi eco­no­mica e sociale del Vec­chio con­ti­nente e il mostro che da que­sto ven­tre che ribolle di inquie­tu­dine e paura ha ini­ziato ad emer­gere con sem­pre mag­giore forza, fino ad assu­mere i tratti sini­stri di una rina­scita del nazio­na­li­smo e di un’idea della cit­ta­di­nanza che sem­bra tor­nare a vol­gersi ai miti fune­sti «del san­gue e del suolo». Feno­meni che accom­pa­gnano la cre­scita sul piano poli­tico di un’estrema destra che anche quando non rag­giunge, ancora, per­cen­tuali di voto signi­fi­ca­tive, vede sem­pre più spesso le pro­prie idee «pro­mosse» nella sfera di governo e bana­liz­zate presso l’opinione pub­blica, come ha fatto osser­vare di recente il poli­to­logo Cass Mudde, tra i mag­giori stu­diosi dei nuovi popu­li­smi europei.
Pic­cole patrie crescono
Nella sua bella inchie­sta dal titolo Europa anno zero. Il ritorno dei nazio­na­li­smi, appena pub­bli­cata da Marsilio/ Rai Eri (pp. 208, euro 16) — che sarà pre­sen­tata mer­co­ledi 30 set­tem­bre alle 18,30 al Tem­pio di Adriano a Roma, con gli inter­venti dell’autrice, di Laura Bol­drini e Lucia Annun­ziata -, Eva Gio­van­nini pro­pone una geo­gra­fia ragio­nata della minac­cia che incombe sulle nostre società, appro­fon­dendo il lavoro svolto come inviata di Bal­larò. Arti­co­lato attra­verso sei tappe in altret­tanti paesi, il per­corso della gior­na­li­sta cerca «di rico­struire in presa diretta», anche gra­zie ad inter­vi­ste esclu­sive ad alcuni dei mag­giori lea­der popu­li­sti, da Le Pen a Sal­vini, cosa stia acca­dendo, fis­sando il «fermo imma­gine di un momento cru­ciale come pochi altri, dalla caduta del Muro di Ber­lino, per la tenuta demo­cra­tica, e non solo eco­no­mica, del nostro continente».
Reso evi­dente in modo dram­ma­tico nelle ultime set­ti­mane dalle rea­zioni vio­lente emerse nei con­fronti di pro­fu­ghi e migranti, il tema del ritorno sulla scena del fetic­cio insan­gui­nato dello Stato-nazione, che nel con­creto si è mate­ria­liz­zato nel mol­ti­pli­carsi di «muri» che dovreb­bero com­pri­mere, con­trol­lare, esclu­dere — a par­tire da quelli voluti dal pre­mier unghe­rese Vik­tor Orbán -, per quanto possa appa­rire come una sorda eco delle pagine più ter­ri­fi­canti del Nove­cento, è però tutt’altro che un epi­fe­no­meno. Se la cul­tura alter-globalista mostra per molti aspetti la corda, il «no-global» dei soste­ni­tori delle pic­cole patrie etni­che o pro­dut­tive, o il nuovo «socia­li­smo degli imbe­cilli» che mira ad una sal­va­guar­dia del wel­fare solo per i «com­pa­trioti» o in ragione di iden­tità e appar­te­nenze comu­ni­ta­rie, rap­pre­senta un brand in ascesa da tempo.
Con­sa­pe­vole di tutto ciò, Gio­van­nini legge lo svi­luppo dei popu­li­smi xeno­fobi e delle nuove destre estreme come una sorta di dop­pel­gän­ger della crisi, non l’unica causa sca­te­nante il feno­meno, ma quella in grado di ali­men­tarlo meglio, assi­cu­ran­do­gli una dina­mica appa­ren­te­mente inar­re­sta­bile. L’indagine pro­cede per­ciò su due piani paral­leli, desti­nati ad inter­se­carsi nel corso del cam­mino. Da un lato, quello rap­pre­sen­tato dalle con­se­guenze sca­tu­rite dalle grandi ristrut­tu­ra­zioni eco­no­mi­che degli ultimi decenni e dalle poli­ti­che di rigore della sta­gione odierna, e su tutte il con­so­li­darsi della disoc­cu­pa­zione di massa e di nuove povertà e forme di emar­gi­na­zione; dall’altra, la con­tem­po­ra­nea cre­scita di una pro­pa­ganda poli­tica in forma di nar­ra­zione com­plot­ti­sta che offre facili capri espia­tori al males­sere dif­fuso, su tutti, migranti e rom — ma anche l’euro e la stessa Unione euro­pea fini­scono per assol­vere su altri piani alla mede­sima fun­zione — e ridi­se­gna i con­torni di un gra­ti­fi­cante «romanzo nazio­nale», con­so­la­to­rio, egoi­sta e regres­sivo, per società sfi­gu­rate dall’austerità eco­no­mica e dall’assenza di prospettive.
Sfi­lano di fronte a noi le voci e le imma­gini della Gre­cia in ginoc­chio, con i neo­na­zi­sti di Alba Dorata che con­ti­nuano a tes­sere la loro tela d’odio in un’Atene che ha ormai «il volto di un donna per­cossa». All’angolo oppo­sto del Con­ti­nente, nell’Inghilterra del sud, sco­priamo loca­lità bal­neari orfane di un turi­smo working-class spaz­zato via dalla crisi, che ha lasciato die­tro di sé «un cimi­tero di strut­ture alber­ghiere dove la sera rim­bomba il silen­zio». Luo­ghi dive­nuti l’epicentro del risve­glio sovra­ni­sta bri­tan­nico che pro­pone ad una pla­tea di disoc­cu­pati e pen­sio­nati una sola alter­na­tiva: quella tra l’euroscetticismo raz­zi­sta dello Ukip e la dema­go­gia xeno­foba dei Con­ser­va­tori di Cameron.
Pas­sata la Manica, ci si imbatte nel porta a porta mar­tel­lante del «Front Natio­nal» nelle peri­fe­rie sociali e cul­tu­rali di Fran­cia, le ban­lieue come le aree rurali, all’ascolto di una popo­la­zione che si sente abban­do­nata dai par­titi tra­di­zio­nali. La cam­pa­gna dà i suoi frutti per­fino a Cli­chy sur Bois, dove nel 2005 prese il via la rivolta dei ban­lieu­sard, tra i figli e i nipoti dei vec­chi immi­grati. «Lavoro, pen­sioni, sicu­rezza: con que­ste parole d’ordine Marine Le Pen è pene­trata come una nave fen­di­ghiac­cio per­fino in una zona dove la disoc­cu­pa­zione gio­va­nile supera il 40% e la mag­gio­ranza delle per­sone prega Allah». Un altro passo e sono le ban­diere tede­sche fatte in casa e le teste rasate di Dre­sda, capi­tale della Sas­so­nia, ad atti­rare l’attenzione. Qui, nell’ex Ger­ma­nia Est, dove «il rischio di una bomba sociale e evi­dente» visto che i red­diti medi sono due terzi di quelli dell’Ovest e i disoc­cu­pati il dop­pio del resto del paese, c’era il cuore della mobi­li­ta­zione anti-islamica di Pegida e ora cova la rivolta con­tro le poli­ti­che di acco­glienza di Merkel.
L’autocrate unghe­rese
Infine, cono­sciamo la rab­bia di chi lavora al mer­cato del pesce di Cata­nia e si dice vit­tima della legi­sla­zione euro­pea. Mat­teo Sal­vini si pro­pone di dare voce anche a que­sta parte del paese, dopo aver bat­tez­zato, pre­vio abbrac­cio con i fasci­sti del terzo mil­len­nio, la sua nuova Lega «nazio­nale» all’insegna della mar­cia delle ruspe sui campi rom. Que­sto men­tre l’Ungheria, «pla­smata da cin­que anni di governo dell’autocrate nazio­na­li­sta Vik­tor Orbán», appare come il vero labo­ra­to­rio del nuovo popu­li­smo euro­peo. Un «modello» da imi­tare, come è diven­tato evi­dente nelle ultime set­ti­mane, e dove ad una svolta auto­ri­ta­ria e nazio­na­li­sta dell’esecutivo, ha cor­ri­spo­sto il radi­carsi nella società degli estre­mi­sti raz­zi­sti e anti­se­miti di Job­bik e il dif­fon­dersi delle vio­lenze con­tro i rom.
L’itinerario alla sco­perta dei «pro­fes­sio­ni­sti della paura e del pes­si­mi­smo, che stanno incas­sando i divi­dendi di un’Europa debole e impo­ve­rita», volge al ter­mine, e Gio­van­nini si con­cede un solo auspi­cio, vale a dire che il pro­getto poli­tico con­ti­nen­tale riveda rapi­da­mente il pro­prio patto fon­da­tivo, dando voce alle istanze dei cit­ta­dini, prima che l’onda nera dei nuovi nazio­na­li­smi possa travolgerlo.

Fonte: il manifesto 

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