di Guido Caldiron
Un viaggio scandito da istantanee che documentano impoverimento, marginalità, decadenza e, soprattutto, rancore. In una parola, la crisi economica e sociale del Vecchio continente e il mostro che da questo ventre che ribolle di inquietudine e paura ha iniziato ad emergere con sempre maggiore forza, fino ad assumere i tratti sinistri di una rinascita del nazionalismo e di un’idea della cittadinanza che sembra tornare a volgersi ai miti funesti «del sangue e del suolo». Fenomeni che accompagnano la crescita sul piano politico di un’estrema destra che anche quando non raggiunge, ancora, percentuali di voto significative, vede sempre più spesso le proprie idee «promosse» nella sfera di governo e banalizzate presso l’opinione pubblica, come ha fatto osservare di recente il politologo Cass Mudde, tra i maggiori studiosi dei nuovi populismi europei.
Piccole patrie crescono
Nella sua bella inchiesta dal titolo Europa anno zero. Il ritorno dei nazionalismi, appena pubblicata da Marsilio/ Rai Eri (pp. 208, euro 16) — che sarà presentata mercoledi 30 settembre alle 18,30 al Tempio di Adriano a Roma, con gli interventi dell’autrice, di Laura Boldrini e Lucia Annunziata -, Eva Giovannini propone una geografia ragionata della minaccia che incombe sulle nostre società, approfondendo il lavoro svolto come inviata di Ballarò. Articolato attraverso sei tappe in altrettanti paesi, il percorso della giornalista cerca «di ricostruire in presa diretta», anche grazie ad interviste esclusive ad alcuni dei maggiori leader populisti, da Le Pen a Salvini, cosa stia accadendo, fissando il «fermo immagine di un momento cruciale come pochi altri, dalla caduta del Muro di Berlino, per la tenuta democratica, e non solo economica, del nostro continente».
Reso evidente in modo drammatico nelle ultime settimane dalle reazioni violente emerse nei confronti di profughi e migranti, il tema del ritorno sulla scena del feticcio insanguinato dello Stato-nazione, che nel concreto si è materializzato nel moltiplicarsi di «muri» che dovrebbero comprimere, controllare, escludere — a partire da quelli voluti dal premier ungherese Viktor Orbán -, per quanto possa apparire come una sorda eco delle pagine più terrificanti del Novecento, è però tutt’altro che un epifenomeno. Se la cultura alter-globalista mostra per molti aspetti la corda, il «no-global» dei sostenitori delle piccole patrie etniche o produttive, o il nuovo «socialismo degli imbecilli» che mira ad una salvaguardia del welfare solo per i «compatrioti» o in ragione di identità e appartenenze comunitarie, rappresenta un brand in ascesa da tempo.
Consapevole di tutto ciò, Giovannini legge lo sviluppo dei populismi xenofobi e delle nuove destre estreme come una sorta di doppelgänger della crisi, non l’unica causa scatenante il fenomeno, ma quella in grado di alimentarlo meglio, assicurandogli una dinamica apparentemente inarrestabile. L’indagine procede perciò su due piani paralleli, destinati ad intersecarsi nel corso del cammino. Da un lato, quello rappresentato dalle conseguenze scaturite dalle grandi ristrutturazioni economiche degli ultimi decenni e dalle politiche di rigore della stagione odierna, e su tutte il consolidarsi della disoccupazione di massa e di nuove povertà e forme di emarginazione; dall’altra, la contemporanea crescita di una propaganda politica in forma di narrazione complottista che offre facili capri espiatori al malessere diffuso, su tutti, migranti e rom — ma anche l’euro e la stessa Unione europea finiscono per assolvere su altri piani alla medesima funzione — e ridisegna i contorni di un gratificante «romanzo nazionale», consolatorio, egoista e regressivo, per società sfigurate dall’austerità economica e dall’assenza di prospettive.
Sfilano di fronte a noi le voci e le immagini della Grecia in ginocchio, con i neonazisti di Alba Dorata che continuano a tessere la loro tela d’odio in un’Atene che ha ormai «il volto di un donna percossa». All’angolo opposto del Continente, nell’Inghilterra del sud, scopriamo località balneari orfane di un turismo working-class spazzato via dalla crisi, che ha lasciato dietro di sé «un cimitero di strutture alberghiere dove la sera rimbomba il silenzio». Luoghi divenuti l’epicentro del risveglio sovranista britannico che propone ad una platea di disoccupati e pensionati una sola alternativa: quella tra l’euroscetticismo razzista dello Ukip e la demagogia xenofoba dei Conservatori di Cameron.
Passata la Manica, ci si imbatte nel porta a porta martellante del «Front National» nelle periferie sociali e culturali di Francia, le banlieue come le aree rurali, all’ascolto di una popolazione che si sente abbandonata dai partiti tradizionali. La campagna dà i suoi frutti perfino a Clichy sur Bois, dove nel 2005 prese il via la rivolta dei banlieusard, tra i figli e i nipoti dei vecchi immigrati. «Lavoro, pensioni, sicurezza: con queste parole d’ordine Marine Le Pen è penetrata come una nave fendighiaccio perfino in una zona dove la disoccupazione giovanile supera il 40% e la maggioranza delle persone prega Allah». Un altro passo e sono le bandiere tedesche fatte in casa e le teste rasate di Dresda, capitale della Sassonia, ad attirare l’attenzione. Qui, nell’ex Germania Est, dove «il rischio di una bomba sociale e evidente» visto che i redditi medi sono due terzi di quelli dell’Ovest e i disoccupati il doppio del resto del paese, c’era il cuore della mobilitazione anti-islamica di Pegida e ora cova la rivolta contro le politiche di accoglienza di Merkel.
L’autocrate ungherese
Infine, conosciamo la rabbia di chi lavora al mercato del pesce di Catania e si dice vittima della legislazione europea. Matteo Salvini si propone di dare voce anche a questa parte del paese, dopo aver battezzato, previo abbraccio con i fascisti del terzo millennio, la sua nuova Lega «nazionale» all’insegna della marcia delle ruspe sui campi rom. Questo mentre l’Ungheria, «plasmata da cinque anni di governo dell’autocrate nazionalista Viktor Orbán», appare come il vero laboratorio del nuovo populismo europeo. Un «modello» da imitare, come è diventato evidente nelle ultime settimane, e dove ad una svolta autoritaria e nazionalista dell’esecutivo, ha corrisposto il radicarsi nella società degli estremisti razzisti e antisemiti di Jobbik e il diffondersi delle violenze contro i rom.
L’itinerario alla scoperta dei «professionisti della paura e del pessimismo, che stanno incassando i dividendi di un’Europa debole e impoverita», volge al termine, e Giovannini si concede un solo auspicio, vale a dire che il progetto politico continentale riveda rapidamente il proprio patto fondativo, dando voce alle istanze dei cittadini, prima che l’onda nera dei nuovi nazionalismi possa travolgerlo.
Fonte: il manifesto
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