di Massimo Villone
Alessandro Pace, presidente, e Gustavo Zagrebelsky, presidente onorario, hanno chiesto a Mattarella, a nome del Comitato per il No, di garantire un corretto equilibrio informativo nella campagna referendaria. Hanno certamente ragione quando lamentano lo schiacciante predominio mediatico del Sì, o quando ricordano l’inutilità delle proteste ripetutamente avanzate nelle sedi appropriate. La lettera è pienamente giustificata. Ma cosa possiamo aspettarci da Mattarella? La risposta è: poco o nulla. Va detto in primo luogo che il presidente non ha nella specie alcuna specifica funzione.
Tutto rimane nell’ambito della moral suasion, che è cosa buona e giusta, ma totalmente rimessa alla scelta dello stesso presidente quanto al se, al quanto, al come. E Mattarella non ha fin qui manifestato particolare sensibilità per le ragioni di chi è contrario alle scelte di maggioranza e di governo sulle riforme.
Tutto rimane nell’ambito della moral suasion, che è cosa buona e giusta, ma totalmente rimessa alla scelta dello stesso presidente quanto al se, al quanto, al come. E Mattarella non ha fin qui manifestato particolare sensibilità per le ragioni di chi è contrario alle scelte di maggioranza e di governo sulle riforme.
A parte l’endorsement già dato (si ricorda il discorso alla Columbia University del febbraio 2016) basta ricordare da ultimo la querelle sulla data. Avere elementi di ragionevole certezza sul quando si vota interessa particolarmente al No, che ha necessità di programmare le poche risorse di cui dispone. Non può, come Renzi e C., invadere a piacere telegiornali e talk show. Mattarella ci ha detto che non è possibile stabilire quando si vota prima della decisione della Cassazione che ammette il referendum (metà agosto). Con ogni rispetto, questo è forse vero formalmente, ma non nella sostanza, soprattutto considerando che il referendum è comunque certo perché la Cassazione ha già ammesso il 6 maggio la richiesta avanzata dai parlamentari. La successione temporale è nota, in quanto scandita dalla legge 352/1970. Niente impedirebbe al governo di indicare oggi stesso la data per la quale intende fissare l’apertura delle urne, salvo poi a formalizzare la decisione successivamente. Almeno questo Pokemon potrebbe rimanere in bella vista.
Possiamo scommettere che il governo se la prenderà comoda anche dopo la metà di agosto. Non si pronuncia con chiarezza solo per un calcolo di convenienza. Tanto è vero che si fanno ipotesi riferite alla presentazione della legge di stabilità, o alla sua approvazione in una delle Camere, al fine di consentire all’esecutivo un po’ di mance preelettorali. Già questo è un elemento di squilibrio nella competizione sulla riforma, forse ancor più che non il blackout informativo.
A complemento di questa strategia, vediamo che Renzi sta progressivamente mettendo sotto silenzio sia il voto referendario che le modifiche all’Italicum. La consegna sembra essere che ora si parli il più possibile solo dei buoni risultati del governo. Se si riuscisse a vendere questo prodotto agli italiani, sarebbe facile nell’imminenza del voto riprendere la linea che non si travolge un ottimo governo votando no nel referendum. L’argomento della fine del mondo e del salto nel buio acquisterebbe forza, e sarebbe a quel punto difficile contrastarlo efficacemente, pur con una esemplare applicazione della par condicio.
Nella odierna vicenda è certo censurabile lo squilibrio informativo, ma ancor più che palazzo Chigi bari al gioco in termini ben più ampi. Riversa – come del resto ha sempre fatto – strumenti e interessi di chi governa in una decisione sulla casa comune degli italiani che dovrebbe prescinderne del tutto.
Abbiamo di fronte come paese tempi difficili, che riguardano le condizioni materiali di vita di milioni di famiglie, le speranze dei giovani, la sopravvivenza di diritti scritti in Costituzione con il sangue della Resistenza, la difesa di libertà oggi a rischio per le minacce nuove e terribili del terrorismo globale. Che tutto questo si possa affrontare con rozze soluzioni pensate nelle stanze di palazzo Chigi nella chiave di una concentrazione del potere, di una riduzione della rappresentanza politica, di un sostanziale bavaglio al dissenso a favore di chi governa, è solo espressione della incapacità di leggere la storia.
Che può fare il fronte del No in tutto questo? Certo, non cercare di battere il governo sul suo terreno, perché avrebbe già perso. Si è formato un piccolo esercito di volontari fortemente motivati, sui quali investire. Bisogna penetrare nel muro dell’indifferenza e dell’inconsapevolezza, usando con fantasia e determinazione, e con una propria scelta di tempi, i mezzi che non possono essere coartati: la rete, la strada, il porta a porta. C’è una connessione tra la legge costituzionale Renzi-Boschi e l’Italicum che non deve passare sotto silenzio.
In democrazia tutto si tiene. Il No referendario non viene da chi vuole l’immobilismo, ma da chi difende il buono che c’è nella Costituzione vigente, che verrebbe disperso dalle riforme renziane. Del resto, ce lo dirà lo stesso Renzi, ogniqualvolta magnificherà i successi del suo governo. Se risultati così straordinari sono ottenuti con la Costituzione che c’è, perché cambiarla?
Fonte: Il manifesto
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