di Fabio Sebastiani
Se la nomina dei nuovi direttori dei Tg ha creato le solite divisioni e contrapposizioni tra maggioranza e opposizioni nel Cda, fuori non è così. E al No dai tre consiglieri vicini a M5S e centrodestra si passa allo scontro diretto nel Pd, con due senatori della minoranza che si dimettono per protesta dalla Vigilanza: "Il governo occupa la tv pubblica", dicono Gotor e Fornaro. "Il Partito democratico non e' nato per riprodurre i vizi del passato, ma per cambiare l'Italia e, convinti che un altro Pd sia possibile, ci dissociamo da uno stile e da un co-stume politico che non ci appartiene e coerentemente rassegniamo le nostre dimissioni dalla Commissione di vigilanza Rai", dicono i due senatori del Pd, esponenti della minoranza interna.
"Il consiglio di amministrazione della Rai di oggi, su proposta del direttore generale- aggiungono- come era stato ampiamente anticipato nei giorni scorsi, ha ufficializzato le nuove nomine dei direttori dei telegiornali. Una decisione assunta in assenza di un nuovo progetto sull'informazione dell'azienda come chiaramente emerso nella riunione della Commissione di Vigilanza Rai di ieri sera e che risponde unicamente a logiche di occupazione governativa del servizio pubblico, in forme per molti versi inedite e in contrasto con il principio costituzionale del pluralismo culturale e politico".
Fornaro e Gotor spiegano che "si sono purtroppo confermate le nostre preoccupazioni gia' sollevate in occasione della nomina dei vertici Rai dello scorso agosto. La nostra richiesta di ieri di rinviare le nomine dei nuovi direttori dei Tg, fermo restando le prerogative del direttore generale, a dopo la discussione e l'approvazione di un nuovo piano sull'informazione della Rai, non e' stata messa ai voti, in modo pilatesco e burocratico, dal presidente della Commissione Roberto Fico. La richiesta di Gotor e Fornaro rispondeva all'esigenza “di rispettare i ruoli di tutti i soggetti (Consiglio di amministrazione, direttore generale e Commissione di vigilanza), mentre e' del tutto evidente che le nomine dei nuovi direttori generali rispondono a una logica di normalizzazione dell'informazione pubblica, alla vigilia di importanti scadenze politiche e istituzionali e nulla hanno a che vedere con il progetto di una "nuova Rai" promesso dal Pd e dall'attuale governo e oggi platealmente disatteso. In realta', siamo difronte a pratiche e a logiche di una gravita' tale da evocare il tema della questione morale di Enrico Berlinguer, quando, nel 1981, denunciava l'occupazione da parte dei partiti di governo delle principali istituzioni dello Stato, Rai compresa".
I due senatori del Pd sottolineano che "le nomine sono state fatte in modo non trasparente penalizzando competenze e professionalita' interne, come ad esempio nel caso di una giornalista autorevole quale Bianca Berlinguer, senza che emergano un profilo e una visione di un moderno servizio pubblico".
Il gesto di Fornaro e Gotor e' forte e coerente, commenta a sua volta Pier Luigi Bersani “e deve far prendere coscienza della serieta' del problema. Sulla vicenda Rai in questi giorni c'e' chi giustifica dicendo: cosi' fan tutti, cosi' hanno sempre fatto tutti. Vorrei ricordare che chi governa il Pd ha ereditato un partito che, da minoranza che era, rifiuto' di partecipare alle nomine Rai e sostenne la libera scelta di libere associazioni, senza mai interferire su nulla", prosegue. Proteste anche da Sinistra italiana. "Quello che avevamo previsto e' avvenuto come da copione – sottolinea Nicola Fratoianni,anche lui membro della Commissione di vigilanza -: di fronte alle crescenti difficolta'' del governo Renzi nel Paese, si e' voluto blindare i Tg Rai. Al di la' delle singole professionalita', si e' voluto imporre (con un atto d'imperio) un metodo inaccettabile, di lottizzazione vecchio stile di controllo dell'esecutivo verso l'informazione pubblica radiotelevisiva. Il tutto naturalmente senza uno straccio credibile di un piano informativo. Palazzo Chigi non si illuda tuttavia di avere il controllo totale dell'informazione".
In vista del referendum costituzionale, evidentemente, ogni cazzotto sotto la cintola è consentito. E questo ripropone la centralità della sfida per Renzi, al contrario di quanto si è andato dicendo in queste ultime settimane.
E la reazione più forte da un punto di vista politico arriva proprio dal gruppo di chi si è schierato per il No nel referendum, e non dai banchi del Parlamento.
“Al gruppo dei renziani piace giocare sporco – si legge in un comunicato a firma del Comitato per il No al Referendum.
Insomma, pur di vincere il referendum costituzionale Renzi “non esita a mettere a segno nella Rai un vero e proprio golpe, come mai si era visto ai tempi della Prima Repubblica e nemmeno dell’era berlusconiana”.”Con ogni evidenza, si vuole avere un’informazione totalmente allineata e assuefatta alle ragioni del sì, dove non ci sia spazio per qualsivoglia voce fuori dal coro”,continua la nota.
E’ chiaro che così la partita referendaria ne risulta “truccata”, con buona pace dei diritti costituzionali dei cittadini. Diritti di cui è supremo garante il presidente della Repubblica, al quale “ci siamo infatti appellati come Comitato per il No. Ma tutto questo è, a bene vedere, anche un segno di debolezza da parte di chi, evidentemente, non ha più molti argomenti a difesa della bontà di una riforma che più la conosci più la eviti”. Appare poi paradossale il fatto, infine, che mentre si fa scattare il repulisti nella Rai “si dica che bisogna discutere nel merito della riforma e che i cittadini devono andare a votare informati. Suona come una presa in giro. Finisce che, ridendo e scherzando (si fa per dire), oltre ai 47 articoli della Costituzione viene rottamato anche l’articolo 21”.
Fonte: controlacrisi.org
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