di Ennio Remondino
Gli Stati uniti hanno deciso un intervento aereo come minimo di un mese, limite posto più per essere prolungato che rispettato. Un’azione così prolungata richiede l’utilizzo delle basi di Aviano e di Sigonella. Ma il coinvolgimento italiano, da chi e come è stato deciso e quali passi ancora sono richiesti? Attorno alla risoluzione 2259 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu e alla sua cavillosa interpretazione litigano Usa e Russia. Noi italiani usi obbedir tacendo? L’Italia s’è schierata con Washington per l’intervento armato in Libia. Lo sappiamo da interpretazioni stampa più che da dichiarazioni governative, tra il dire male e e il non dire che è pure peggio.
Gli Stati uniti hanno deciso un intervento aereo contro Isis in Libia della durata minima di un mese, salvo probabili proroghe. Un’azione militare tanto prolungata richiede l’utilizzo delle basi di Aviano e soprattutto di Sigonella. Ma il coinvolgimento italiano, da chi e come è stato deciso e quali passi ancora sono richiesti?
Gli Stati uniti hanno deciso un intervento aereo contro Isis in Libia della durata minima di un mese, salvo probabili proroghe. Un’azione militare tanto prolungata richiede l’utilizzo delle basi di Aviano e soprattutto di Sigonella. Ma il coinvolgimento italiano, da chi e come è stato deciso e quali passi ancora sono richiesti?
Il fatto non detto. Alfonso Gianni, sul Manifesto, osserva che se gli scarponi non sono sul terreno, le basi aeree italiane sono già in guerra. Ma chi lo ha deciso e chi lo avrebbe dovuto decidere? Ridicolo che siano solo le commissioni Esteri e Difesa delle due camere ad essere “informate”, mentre l’Aula si deve accontentare di un ‘question time’ della ministra Pinotti. Loro riferiscono, ma chi decide secondo Costituzione?
Salvo il reiterato trucco dell’entrata in guerra mascherata da intervento umanitario – già le prime dichiarazioni di Gentiloni- nessuno sembra desideroso di affrontare il tema forse ritenendolo politicamente più pericoloso della guerra ormai in corso. C’è chi ritiene necessaria l’immediata convocazione delle camere per discutere il ruolo dell’Italia nella vicenda libica, ma tra olimpiadi e ferie, difficile che accada.
MA LA COSTITUZIONE? Dichiarazione dello stato di guerra, articolo 78. L’attuale testo, ancora in vigore: «Le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri necessari». Nella riforma costituzionale su cui litigheremo da qui a novembre: «La Camera dei deputati delibera a maggioranza assoluta lo stato di guerra e conferisce al Governo i poteri necessari».
Non grandi differenze nominali, nella sostenuta eccezionalità al principio di ripudio della guerra dall’Articolo 11, tra i principi fondamentali della Carta, quelli intoccabili. Problemi tecnici invece molti. La guerra la deciderebbe una sola Camera. Il Senato che continuerebbe ad esistere in altra forma, entra in decisioni chiave, ma non sulla dichiarazione di guerra. Una ben strana disattenzione.
Ma c’è la garanzia della super maggioranza richiesta, ribatte il riformatore costituzionale. Peccato che con l’entrata in vigore dell’Italicum, la maggioranza assoluta richiesta ci sia già all’atto stesso della nascita del nuovo parlamento. E la dichiarazione di guerra diverrebbe affare esclusivo del partito di maggioranza e, di fatto, del suo segretario. Più o meno come per le nomine Rai.
Fonte: popoffquotidiano.it
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