di Roberto Ciccarelli
Doveva essere il «concorsone» renziano, si è rivelato il fallimento della formazione dei docenti. Prova «computer based» (in realtà anche quello del 2012 era stato così); selezione per il «nuovo modello docente» meritocratico e scelto dal preside manager sul curriculum come in una selezione del personale fatto da cacciatori di teste e di «capitale umano». Si sono da poco concluse le valutazioni sulle prove scritte per 63.712 posti a cattedra per il triennio 2016-2018 e si registra un anomalo record di bocciature.
A conclusione degli orali, che proseguiranno anche a anno scolastico iniziato a settembre, ci sono meno candidati per posti a disposizione. E dunque nel 2016/2017 il governo sarà costretto a ricorrere ai supplenti senza abilitazioni pur di fare lezione. È il fallimento dell’obiettivo che si era dato Renzi: con lui doveva finire il «supplentite». La «malattia», in realtà prodotta dallo Stato in 30 anni di mala gestione, continuerà come l’anno scorso, quando le supplenze sono state tantissime.
A conclusione degli orali, che proseguiranno anche a anno scolastico iniziato a settembre, ci sono meno candidati per posti a disposizione. E dunque nel 2016/2017 il governo sarà costretto a ricorrere ai supplenti senza abilitazioni pur di fare lezione. È il fallimento dell’obiettivo che si era dato Renzi: con lui doveva finire il «supplentite». La «malattia», in realtà prodotta dallo Stato in 30 anni di mala gestione, continuerà come l’anno scorso, quando le supplenze sono state tantissime.
Sulle bocciature è partita una virulenta campagna che stigmatizza la presunta impreparazione dei candidati. Gli aneddoti si sprecano e stanno generando un vasto campionario degno di quegli articoli che si pubblicano di solito all’indomani degli esami di maturità nelle rubriche sulle risposte più surreali. È spuntata anche una dietrologia, proveniente da fonti classificate interne al ministero dell’istruzione (Miur), per cui la promozione di 572 candidati su 1894 in lettere in Lombardia o i 68 su 288 in filosofia e scienze umane in Puglia risponda a un preciso disegno dei presidenti di commissione contrari alla «riforma» Renzi per mettere in difficoltà il sistema. C’è anche la dietrologia opposta per cui sarebbero i presidenti «renziani» a bocciare per accreditare l’innovatività del processo in corso.
Non vanno certamente esclusi casi di inadeguatezza dei candidati. Ma va ricordato che il concorso in questione è stato riservato ai docenti abilitati. Ora, sempre ammesso che l’impreparazione su test, prove, capacità di fare lezione sia comprovata e diffusa a livello di massa, il problema non è (solo) degli interessati ma dell’intero sistema a pagamento della formazione e della specializzazione dei docenti. Invece di assumerli direttamente senza obbligarli ad una nuova prova che hanno già superato per accedere ai «Tirocini Formativi Attivi» (Tfa), il governo ha deciso di sottoporre migliaia di docenti precari da anni ad una nuova, infinita, prova concorsuale. Lo ha fatto perché la bulimica e idiosincratica volontà di riformare l’istruzione ha cancellato il valore concorsuale della formazione da insegnanti che era ancora in vigore con le Siss, abolite dalla Gelmini nel 2009. Così le prove sono diventate caotiche, così come l’inquadramento professionale. Chi «vincerà» questo concorso resterà «in prova» per i prossimi tre anni. Non sarà «assunto» come i 102 mila docenti dell’anno scorso. Quello che viene presentato come un record di bocciature al concorso corrisponde in realtà al fallimento del sistema ideato per «formare» a vita i laureati e i precari.
Vanno registrate anche le storie singolari che rendono l’idea dell’inefficienza del sistema. Un’insegnante del Lazio si è vista recapitare dall’Ufficio scolastico regionale una mail di ammissione agli orali, pur non avendo partecipato al concorso. Un’altra docente, con vari anni di precariato e un titolo di «Tfa» del primo ciclo, è stata bocciata alla prova scritta ma è stata contattata dal suo provveditoriato per partecipare ai lavori delle commissioni d’esame.Questa storia è ancora più paradossale, ma ha una spiegazione. Nei mesi scorsi numerosi docenti si sono dimessi – o non hanno nemmeno presentato domanda – dal ruolo di presidente di commissione. Lo hanno fatto per i compensi irrisori, anche un euro lordo all’ora. In pratica, gratis. La ministra dell’istruzione Giannini aveva promesso un aumento entro fine luglio, ma si attende ancora il risultato. In mancanza di candidature, e degli elenchi dai quali attingere per sostituire i commissari dimissionari, il Miur ha allargato i requisiti per partecipare alle commissioni. Si è così arrivati al paradosso di docenti precari con un’anzianità di servizio inferiore ai cinque anni che giudicano colleghi precari con un’anzianità anche superiore ai 15 anni. Ogni giorno vengono presentate interrogazioni parlamentari sul caso dell’estate. La «Buona Scuola» continua il suo corso.
Fonte: il manifesto
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