di Marco Rovelli
In Valsusa e dintorni il livello di repressione che si sta raggiungendo é assolutamente inaudito: l’arbitrarietà della magistratura torinese dispensa misure cautelari a pioggia, come per incutere timore negli attivisti e costringerli all’inazione. Ed é per questo che gli attivisti si sottraggono alle misure imposte, rilanciando. Ultimo caso quello di Nicoletta Dosio, storica attivista No Tav di Bussoleno, che, essendosi sottratta all’obbligo di firma in caserma, ha ricevuto l’obbligo di dimora, con prescrizione di non allontanarsi dell’abitazione dalle 18 alle 8.
Nel dispositivo dell’ordinanza il giudice Pasquariello motiva la decisione con il fatto che la Dosio ha “una personalità estremamente negativa, intollerante delle regole e totalmente priva del minimo spirito collaborativo”.
Nel dispositivo dell’ordinanza il giudice Pasquariello motiva la decisione con il fatto che la Dosio ha “una personalità estremamente negativa, intollerante delle regole e totalmente priva del minimo spirito collaborativo”.
Come sa chiunque frequenti il ristorante la Credenza di Bussoleno, Nicoletta – insegnante di italiano in pensione, che a Bussoleno andò a risiedere rinunciando alla sua cattedra di greco per poter aprire un liceo nel paese – é personalità estremamente positiva: ma di certo uno spirito libero che non intende collaborare alle regole di chi intende soffocare un movimento nato dal basso, animato da libertà e amore per la propria terra.
Nel frattempo, in significativa coincidenza temporale, proprio nel momento in cui in Turchia il golpe di Erdogan dilaga, e perfino l’Associazione Nazionale Magistrati denuncia la “barbarie inaudita” della sua azione repressiva finalizzata all’instaurazione di un regime, il pm torinese Rinaudo ha disposto l’obbligo di firma, due volte al giorno, per dieci attivisti piemontesi che nel settembre scorso fecero irruzione negli uffici della Turkish Airlines all’aeroporto di Caselle per occuparla simbolicamente e leggere un comunicato di condanna della politica anticurda di Erdogan verso il Kurdistan, per il massacro dei curdi che il suo governo e i suoi militari compiono giorno dopo giorno.
Un tempismo perfetto: nel momento in cui Erdogan fa a pezzi lo stato di diritto (quel tanto che ce n’era in Turchia, quantomeno) e la sospensione della Convenzione dei diritti umani, si intendono ridurre al silenzio i suoi oppositori italiani, quelli che il terrorismo di Stato di cui molti sembrano accorgersi solo adesso lo denunciano da molto tempo. Ergendosi peraltro, il pm, a bastione di quella Turkish Airlines che all’indomani del golpe fallito scriveva un post su Facebook (giustamente sommerso dal ridicolo) in cui elogiava “sua eminenza” Erdogan e la Nazione.
Lo scopo del provvedimento è del resto quello di impedire agli attivisti di “reiterare” azioni come quella in oggetto: e questo proprio nel momento in cui di azioni del genere ce ne sarebbe maggior bisogno.
Misure cautelari a distanza di mesi e anni dai fatti, prive di qualunque legame tra le esigenze cautelari è l’oggetto degli obblighi, con motivazioni risibili, persino nei confronti di ultrasettantenni. Nel caso specifico degli attivisti filocurdi, suona incredibile la misura cautelare sia per il tempo trascorso, sia per le motivazioni (essendo state le modalità dell’azione tipicamente nonviolente, la contestazione di resistenza si basa sulla “minaccia implicita” costituita dalla presenza dei dimostranti), sia per la durezza degli obblighi imposti (presentazione due volte al giorno al l’autorità di polizia anche quaranta chilometri dalla residenza degli indagati).
Perciò, come già i No Tav destinatari di misure simili, anche i dieci attivisti filocurdi hanno deciso che non sottostaranno all’imposizione. Non si presenteranno in commissariato due volte al giorno. Dateci i domiciliari, portateci in galera, dove già sono, proprio per essersi sottratti agli arresti domiciliari, due No Tav Luca Germano e Giuliano Bono. Vi sfidiamo, non abbiamo paura. Come dice Nicoletta, i padroni esistono perché esistono gli schiavi. E noi non ci pieghiamo.
Fonte: il manifesto
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