di Marco Bracconi
«Voglio una ciclabile dalle terme di Fogliano ai giardini di Ninfa, utilizzando un tratto degli argini del ex canale Mussolini». Oltre la svolta politica c’è l’ironia della nemesi, dunque. Come se la città inventata dal duce nel 1932 continuasse a cercare nella Storia le risposte al suo (incerto) futuro. Proprio ora che tutto è cambiato, come non si poteva nemmeno immaginare. Il fattore C. c’entra, eccome. Lo vedremo. Fatto sta che Damiano Coletta, medico di 56 anni, da giugno è sindaco di Latina. E che sindaco. In percentuale, il più votato d’Italia: il 75 per cento al ballottaggio.
Soprattutto, con lui si chiude un’epoca. Quella della destra al governo della ex Littoria dal dopoguerra fino a ieri. Ininterrottamente. Traslata in Dc nella Prima Repubblica, per via diretta dal 1993 in poi. Per intenderci: solo dieci anni fa questo capoluogo latus la statale Pontina, nemmeno cento chilometri a sud di Roma, col mare a Occidente e i monti Lepini a Oriente, conferiva il 70 per cento dei voti ad Aimone Finestra. Uno che «francamente fascista, io sono».
Soprattutto, con lui si chiude un’epoca. Quella della destra al governo della ex Littoria dal dopoguerra fino a ieri. Ininterrottamente. Traslata in Dc nella Prima Repubblica, per via diretta dal 1993 in poi. Per intenderci: solo dieci anni fa questo capoluogo latus la statale Pontina, nemmeno cento chilometri a sud di Roma, col mare a Occidente e i monti Lepini a Oriente, conferiva il 70 per cento dei voti ad Aimone Finestra. Uno che «francamente fascista, io sono».
La fortuna, si diceva. Prima delle elezioni la destra si spacca in due. Grillo non presenta la lista. Le primarie Pd scelgono un candidato del ceto politico. Di questi tempi, ohibò. Coletta comincia a crederci. Passa il primo turno. Settecento voti in più del candidato dem. Solo 40 in meno del fratello d’Italia. Al ballottaggio non c’è storia. Latina bene comune raccoglie tutto quel che c’è. Una valanga di voti.
Un mese dopo piazza del municipio è una corte rossiccia e assolata. Affezionato ai balconi, il duce qui si affacciò a ribadire il suo agro-edilizio futurismo: «Siamo intenti a guardare il futuro». Solo che il domani, visto con gli occhi di allora, erano pompe, campi coltivati e coloni giunti dai monti limitrofi e dal Nord Italia. Che ne sapeva Mussolini di internet, cicloamatori, camorra e turismo di massa? Così la Littoria che fu, nata per far tracciare il solco all’aratro, sconta oggi quel piantarsi in mezzo a una palude che non c’è più. Una location ormai non sense: la stazione a sette chilometri, la costa a sei. L’odore del mare nemmeno si sente. Dai tempi di papà Benito il futuro ha preso un’altra direzione, così di Latina com’è oggi nessuno o quasi sa più bene che fare. Certo non i partiti, secondo gli elettori. Resta un medico, speranza di una cura.
Nella sala consiliare il dottor sindaco sta premiando la locale squadra di pallanuoto promossa in A2. Giacca di lino stazzonata, pantaloni grigi, scarpe da ginnastica. Niente fascia tricolore. Un’aria un filo desengagé, come un esorcismo a colpi di understatement contro i nuovi pantani – economici, sociali, identitari – sorti nei decenni sopra le bonifiche. Meglio parlarne in ufficio, dove Coletta mostra una foto donatagli da un elettore. «Bella eh? C’è una grande aspettativa, ne siamo consapevoli». Al di qua della scrivania il pensiero corre a Virginia Raggi. Google maps ricorda che il Campidoglio è a soli settantuno chilometri da questo studio. Un’ora e venti di automobile (senza traffico). Ma da questa stanza disadorna il vittimismo un po’ furbaiolo del grillismo è lontano anni luce. Coletta non demonizza i partiti: «Noi siamo andati oltre, ma speriamo di svegliarli, che possano cambiare». Viene da sinistra, ma ormai trattasi di rosso relativo, direbbe il qui nativo Tiziano Ferro. E non è certo tipo da enfasi, il dottore. Prima, medagliando le canottine, si è autodefinito semplicemente una «nuova fase». E ora mirando l’istantanea di ciò che lo aspetta non fa che smorzare, rasserenare e rassicurare.
Eppure è roba da far tremare i polsi. Regge il settore primario agricolo. E così il polo chimico-farmaceutico, pure se con difficoltà. Il resto è tutto da rifare. Le industrie hanno chiuso o se ne sono andate. Le piccole imprese sono fiaccate dalla crisi. Al palo la filiera dell’agro-alimentare. Il comune si porta dietro decine di milioni di debito. Da Nord e da Sud la camorra si avvicina. Urge una flebo di partecipazione. «Intanto abbiamo riportato i giovani ad impegnarsi». Ed effettivamente. L’idea di farsi sostenere (anche) da una lista tassativamente under 35 è stata vincente. Di nuovo, la nemesi. Adesso la giovinezza non è una fiamma tutta nera, né primavera di bellezza. Ha la dolcezza del «Lievito», la manifestazione culturale da cui tutto ha avuto inizio. Coletta ne è stato l’animatore per anni: dibattiti, musica e tanti ragazzi. «È lì che abbiamo capito che la città voleva scuotersi e ricominciare».
Dalla legalità, intanto. La speculazione edilizia ha fatto danni e a Latina c’è una percentuale di case sfitte che nemmeno a Chernobyl. Chissà perché. «Nel tempo, piccole e grandi illegalità si sono infilate nei cambi di destinazione d’uso del territorio. Dove si è costruito senza un criterio». Ma il mondo dell’edilizia si può convincere con tre magiche erre: «Riqualificare, ristrutturare, riusare». Magari si potesse fare sul lungomare che va da Foce verde a Marina di Latina. «Presto lì cambierà la viabilità», giura Coletta. Per gli abusi che sfregiano la litoranea, invece, ci vorrà tempo. Se ci sarà. Se si vorrà.
Da qui alla città, costeggiando il lago di Fogliano, una volta era tutta palude. E un po’ lo è rimasto. Per dire di un capoluogo che dopo i fasti della Cassa del Mezzogiorno si è seduto sulle sue medesime acque stagnanti. Indicatori di benessere in discesa. Tutti. Un ceto medio di professionisti ristretto e potente, che non ha molta voglia di bonificare lo status quo. E una somma di pezzi di società poco coesa e consapevole. «A Latina in pochi denunciano, pochissimi» dice il procuratore aggiunto Nunzia D’Elia. Dagli uffici di via Ezio, stradone poco fuori dal centro, sono passati fascicoletti mica da ridere. In città nessun 416 bis, dove il bis sta per mafia. Ma un 416, che vale associazione a delinquere, quello sì. «Qui si tende all’autonservazione e l’illegalità sceglie di non alzare le tensioni; questa città viene percepita come chiusa nelle sue dinamiche, e non a torto». Forse per questo gli ultimi concorsi per magistrati non hanno nemmeno assegnato tutti i posti.
Il malaffare non ha le mani sulla città, ma dalla porta sud di Fondi (due processi per 416 bis) e da quella nord di Aprilia (un processo per mafia) le organizzazioni criminali macinano tutto attorno i loro interessi. Turismo, estorsioni, ristorazione: con questo «assedio» chi vuole cambiare Latina dovrà in ogni caso fare i conti. «Perché la sola strada per fare della ex Littoria una nuova Latina è fare sistema» ammette Coletta. Uscire da sé. Mettersi in rete con Sabaudia, i Lepini, perfino Roma, oggi vissuta con un singolare mix emotivo di lontananza e subalternità. In quest’ottica va letto il progetto di un parco lineare lungo la costa da San Felice Circeo a Borgo Ferriere, dov’è Satricum, sito archeologico da valorizzare. È (sarebbe) l’ultima nemesi della «città modello» di Mussolini. Come se l’autarchia si fosse trasferita dal fascio alla democrazia senza soluzione di continuità, e solo spazzandola via si potesse ricominciare. Rifondare, anzi. A nemmeno cento anni dalla fondazione.
Intanto c’è da dare un nuovo senso ai Borghi, ognuno in cerca di identità. E rispettare le promesse: «Si è impegnato a intervenire sulla tassazione per le Pmi» racconta Antonello Testa, direttore della Cna provinciale. Poi ricorda che il prelievo è di 5 punti superiore alla media nazionale (e i servizi non sono esattamente quelli di Modena). Le piccole imprese e gli artigiani sperano nel riassetto delle grandi arterie dell’Agro pontino. La bretella Cisterna-Valmontone per agganciarsi all’Autosole, intanto. E poi l’autostrada Roma-Latina, 53 chilometri che ricalcheranno parte della pericolosissima Pontina (95 morti tra il 2006 al 2013). «Farebbe bene al turismo e attirerebbe società che vogliono risparmiare sui costi di Roma» dice Testa.
Il sindaco sembra meno entusiasta. L’impatto ambientale preoccupa. Più dell’emergenza rifiuti, malgrado la saturazione della discarica di Borgo Montello. «Per stabilizzare la situazione basterebbe che l’attuale differenziata, al 30 per cento, raddoppi al 60» spiega Coletta. Un po’ come dire che se l’80 per cento dei suoi elettori si comporteranno da buoni cittadinin la strada dello smaltimento è in discesa. Vedremo. Anche da questo si capirà se quel 75 per cento è stato solo l’ennesimo squillo di rivolta contro l’establishment oppure una vera voglia di cambiare. Tutto. Non solo il sindaco.
Fonte: La Repubblica - Il Venerdì
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