di Luca Kocci
In vista degli appuntamenti all’Assemblea generale dell’Onu, in programma dal prossimo 27 marzo, in cui si avvieranno i negoziati per un trattato sulla messa al bando delle armi nucleari, il card. Francesco Montenegro (presidente di Caritas italiana e vescovo di Agrigento) e mons. Giovanni Ricchiuti (presidente di Pax Christi e vescovo di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti) fanno appello al governo italiano perché si impegni «in modo attivo e costruttivo» per il disarmo nucleare. Il punto di riferimento è il messaggio di papa Francesco per la Giornata mondiale della pace dello scorso 1 gennaio 2017. «Rivolgo un appello in favore del disarmo, nonché della proibizione e dell’abolizione delle armi nucleari: la deterrenza nucleare e la minaccia della distruzione reciproca assicurata non possono fondare questo tipo di etica», disse allora il papa. E i presidenti di Caritas e Pax Christi rilanciano il richiamo di Francesco.
«È fondamentale un impegno serio e approfondito perché la messa al bando delle armi nucleari divenga realtà e sia vincolante per ogni Stato», scrivono in una nota congiunta il card. Montenegro e mons. Ricchiuti. «Il rischio nucleare che l’umanità intera oggi corre è altissimo. Le armi nucleari provocano danni irreversibili, hanno conseguenze umanitarie catastrofiche per l’ambiente e per tutta l’umanità e il loro uso, in qualsiasi circostanza, è ingiustificabile. Una via senza ritorno», come del resto già indicò il Concilio Vaticano II con la Gaudium et Spes: «Ogni atto di guerra, che mira indiscriminatamente alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti, è delitto contro Dio e contro la stessa umanità e va condannato con fermezza e senza esitazione».
«È fondamentale un impegno serio e approfondito perché la messa al bando delle armi nucleari divenga realtà e sia vincolante per ogni Stato», scrivono in una nota congiunta il card. Montenegro e mons. Ricchiuti. «Il rischio nucleare che l’umanità intera oggi corre è altissimo. Le armi nucleari provocano danni irreversibili, hanno conseguenze umanitarie catastrofiche per l’ambiente e per tutta l’umanità e il loro uso, in qualsiasi circostanza, è ingiustificabile. Una via senza ritorno», come del resto già indicò il Concilio Vaticano II con la Gaudium et Spes: «Ogni atto di guerra, che mira indiscriminatamente alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti, è delitto contro Dio e contro la stessa umanità e va condannato con fermezza e senza esitazione».
Per questo, esortano i presidenti di Caritas e Pax Christi, «chiediamo che anche l’Italia partecipi in modo attivo e costruttivo agli appuntamenti all’Assemblea generale dell’Onu, a cominciare dal prossimo 27 marzo. Invitiamo tutti i gruppi, le associazioni, le singole persone, i movimenti, le parrocchie, le istituzioni, ecc. a prendere coscienza della grave situazione che il mondo vive oggi e a far pressione perché il nostro governo si impegni direttamente e attivamente a favore del disarmo nucleare».
I Focolarini denunciano indifferenza e ignavia
Dal fronte internazionale a quello italiano, dove è invece il movimento dei Focolari ad intervenire ugualmente sul tema del disarmo, tramite una lettera firmata da Carlo Cefaloni (esponente dei Focolari nonché redattore di Città Nuova, mensile del movimento fondato da Chiara Lubich) e pubblicata dal quotidiano della Cei Avvenire (9/3) che denuncia la «violazione della legge 185/90 sulla produzione e sul commercio di armi a partire dal caso eclatante dell’invio di bombe in Arabia Saudita, Paese alla guida di una coalizione coinvolta nei bombardamenti sullo Yemen. Le risposte finora avanzate dagli esponenti del governo – prosegue la lettera – sono imbarazzanti quando si fanno scudo della mancanza di un veto dell’Onu. Come se la legge 185/90 e la stessa Costituzione non esistessero».
Anche in questo caso il riferimento è a papa Francesco, che «il 4 febbraio 2017 ci ha invitato laicamente a leggere la parabola del samaritano non limitandoci solo a soccorrere il ferito che resta sulla strada ma ad “agire soprattutto prima che l’uomo si imbatta nei briganti, combattendo le strutture di peccato che producono briganti e vittime”. Possibile che tante persone di coscienza che pure siedono in Parlamento possano restare indifferenti all’invio di bombe verso i Paesi in guerra?», chiede Cefaloni. «Non dare risposte vuol dire lasciare interi territori davanti al ricatto tra lavoro e concorso alla guerra. Senza una vera riconversione economica rischiamo solo di fare del facile moralismo che scarica il peso della responsabilità politica sulle spalle degli operai di una regione, come nel caso della Sardegna, investita duramente dalla crisi economica».
«Sono domande fuori luogo oggi nel 2017 a cento anni dal grido sull’inutile strage della Grande guerra», che «qualcuno ancora descrive come il luogo di nascita dell’unità nazionale?», chiude infine la lettera pubblicata dal quotidiano dei vescovi. «Nel 2014 al sacrario di Redipuglia, papa Francesco ha affermato che “anche oggi, dietro le quinte, ci sono interessi, piani geopolitici, avidità di denaro e di potere, c’è l’industria delle armi”, coloro cioè che hanno impresso nel cuore il motto di Caino: “A me che importa?”. Proporre un percorso di pace a partire dalla necessità di disarmare l’economia vuol dire coltivare un giudizio realista ma non pessimista sull’essere umano che è invece capace di bene e di gratuità e quindi di andare oltre varie obbedienze per rispondere, citando don Lorenzo Milani a 50 anni dalla scomparsa, “a me importa”, “me ne prendo cura”».
Fonte: Adista.it
Originale: http://www.adista.it/articolo/57173
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