La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

martedì 21 marzo 2017

La partita si apre ora, in gioco le elezioni del 2019

di Monica Frassoni 
Comincia ad emergere un po’ di attenzione intorno ai 60 anni dalla firma dei Trattati di Roma, che istituirono la Cee e dettero inizio alla storia di quella che è oggi l’Unione europea. Anche i Verdi europei saranno a Roma. Ci saranno con una delegazione multicolore che parteciperà a molte delle iniziative in campo. Dalla Marcia federalista a quella dei movimenti associativi “La Nostra Europa” che si uniranno al Colosseo il 25 marzo, ai dibattiti di “Cambiamo rotta all’Europa” del 24 marzo alla Sapienza, con altri partiti pro-europei, in qualche caso lontani dalle nostre idee, ma uniti in quella che deve essere comunque una festa, perché questi 60 anni, con tutti i loro limiti, sono da celebrare. E diremo la nostra anche alla Manifestazione di Diem25, convocata da Yannis Varoufakis in una serata sicuramente di dibattito aperto e diversificato e non di conta di “seguaci” né già di lancio di un nuovo partito.
I partiti tras-nazionali ne esistono già e il Partito Verde europeo, fondato nel 2004 sulla base di una Federazione di 44 partiti nazionali, ha interpretato da tempo questa funzione con organi politici comuni, campagne per le elezioni comuni, l’elezione di eurodeputati di nazionalità diversa che il loro paese di origine, un manifesto e addirittura le prime primarie trans-europee per la nomina del candidato/a alla presidenza della Commissione europea, vinta nel 2014 da Ska Keller, che sarà con noi a Roma. Quindi il punto vero per me, almeno in questa fase, non è mettere la propria bandierina su un processo che deve rimanere flessibile e aperto, anche perché sappiamo già che si dovrà adattare anche alle realtà politiche e alle regole elettorali dei diversi paesi; però si deve subito essere chiari sull’obiettivo: le elezioni europee del 2019.
A meno che Trump decida di schiacciare il bottone nucleare prima, abbiamo poco più di due anni per prepararci a cambiare strada all’Europa, portando alle urne molta più gente del solito meno del 50% e soprattutto elettori/elettrici che vogliano partecipare al “reset” della Ue. È arrivato il momento di uscire dalle generalità e dire con precisione che cosa diavolo vuole dire “un’altra Europa” e iniziare a organizzarsi per vincere questa battaglia davvero centrale per il nostro futuro, sulla base di alcuni punti chiari e netti.
Tanto per cominciare, non credo assolutamente in scorciatoie illusorie e devastanti di chi pensa che per risolvere il problema sia necessario distruggere tutto e poi ricostruire, tipo uscire dall’ euro o abbattere la Commissione. Per due motivi: la storia insegna che se spingi per rompere alla fine fai il gioco di chi vuole distruggere. E oggi ce ne sono molti, Trump e trumpini europei testa. In secondo luogo perché si tratta di un’azione di distrazione di massa: l’uscita dall’euro ad esempio, marcherebbe l’abbandono di una cornice politica comune e non solo l’uscita da una valuta o da parametri stretti; scatenerebbe un tale caos che non solo la neo-liretta ne sarebbe travolta, ma i conflitti economici e politici tra i membri della Ue, esploderebbero senza alcuna possibilità di arginarli. Non mi pare che sia questo di cui abbiamo bisogno.
Dobbiamo ricreare uno spazio democratico di dibattito marcatamente sovranazionale ma anche molto vicino alle preoccupazioni dei cittadini-elettori ed elettrici, nel quale discutere e scegliere fra le diverse opzioni. Non vinceremo imitando i grillini e nemmeno sventolando la bandiera Europa e parlando solo di quanto è bello Erasmus. Non dobbiamo metterci in mode destroy come grillini e destra; nemmeno in mode defend a tutti i costi; ma in mode reset e “riconquista”.
La Ue non è solo austerità e noi lo sappiamo benissimo. Ma devono cambiare le politiche, e ci sono anche dei radicali cambiamenti nel suo funzionamento. Primi fra tutti il superamento della regola dell’unanimità, vero cancro che nessuna cura è riuscita a superare e che è il massimo successo dei britannici nella loro storia di membri riluttanti della Ue, il ridimensionamento dell’Eurogruppo e l’allargamento pieno dei poteri del Parlamento a tutti i settori di competenza Ue. E non possiamo oggi parlare di rilancio costituente senza prima o almeno allo stesso tempo lanciare un lavoro di riconquista culturale e politica del progetto europeo, che oggi vacilla sotto i colpi di austerità e dirigenti grigi, opportunisti e senza ambizione, inadatti ai tempi agitati che viviamo.
Alla fine dovremmo collettivamente rifiutare il facile gioco del fronte euroscettico di sinistra, per “comodo” che possa oggi sembrare in termini di conquista del consenso. E sfidare l’europeismo istituzionale superando un conformismo che non attira più nessuno, perché anni di politiche sbagliate hanno raffreddato anche il sogno. E dobbiamo rifiutare le ambiguità di chi mollerebbe la Ue che c’è per una fantomatica che non esiste ancora, e ribadire che non si battono i cambiamenti climatici, non si limita l’influenza di Putin, non ci si assicura la fine di elusione ed evasione fiscale, non si gestisce il flusso di chi fugge da guerra e povertà, né li si integra positivamente “rinchiudendosi” nei nostri confini. Questo sarebbe rinunciare del tutto alla nostra sovranità e legarsi mani e piedi al carro dei portatori di false soluzioni o a quello di leader e autocrati stranieri, dai cinesi a Trump. In politica, ma anche nella società, nella cultura, tra gli attori economici, il nostro futuro è stare nel campo aperto di chi vuole cambiare il mondo e non nella scatoletta omogenea e paurosa dei Salvini italiani ed europei.

Fonte: Il manifesto 

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