di Salvatore Palidda
Il 3 marzo è stato distrutto da un incendio il ghetto di Rignano Garganico, grande baraccopoli del foggiano abitata da migranti. Nel rogo sono morti due braccianti, Mamadou Konate e Nouhou Doumbia, rispettivamente 33 e 36 anni, originari del Mali. Il ghetto di Rignano è sorto quasi una ventina di anni fa, dopo lo sgombero di uno zuccherificio abbandonato dove trovavano riparo molti braccianti stranieri. Come da copione del “modello” italiano di integrazione, autorità locali, agenzie di controllo e polizie hanno sempre fatto finta di non saper e di non vedere… mafia e caporali all’opera per fare del ghetto l’utile struttura per trovare manodopera schiavizzabile ancor di più con l’etnicizzazione dello stesso caporalato.
Dopo anni di silenzio e poi di proclami, appelli e progetti, a inizio marzo le autorità decidono di procedere allo sgombero disposto dalla Direzione distrettuale antimafia di Bari. La scorsa estate, dopo una visita all’accampamento, il ministro della Giustizia, Orlando, l’aveva definito “una città fantasma”, “qualcosa di inaccettabile”. In realtà, nell’aprile del 2014, come riportato dal Fatto Quotidiano (vedi nota 2), l’ex governatore della Puglia, Niki Vendola, aveva già presentato una delibera approvata dalla giunta sul ‘Piano di azione Rignano Garganico: capo free – ghetto out’ che voleva essere “libertà dai caporali, fuori dal ghetto”. La delibera tracciava un programma per chiudere il campo entro il 1 luglio del 2014 e sostituirlo con cinque strutture più piccole da 250 posti diffusi sul territorio, protetti dalle infiltrazioni del caporalato tramite un accordo con la Prefettura. Il progetto prevedeva contributi economici per le aziende che sceglievano i propri lavoratori da liste di prenotazione, sperando così di spezzare la trafila dei caporali. Ma quell’estate il ghetto era ancora lì.
Si dice che a causa della stagione negativa per la raccolta, le aziende non avessero attinto alle liste, continuando quindi a usare il lavoro nero tramite i caporali, sempre più forti. Un anno dopo, nell’agosto del 2015, si tornò a parlare dell’accampamento, dopo la denuncia del coordinatore del dipartimento Immigrazione della Flai-Cgil Puglia, Yvan Sagnet che accusò i caporali di aver occultato il corpo di un bracciante di 30 anni, originario del Mali, morto “sotto uno dei 57 cassoni di pomodori che aveva raccolto”. Il neo-governatore della Puglia, Emiliano, a febbraio 2016, depositò alla Dda di Bari una denuncia per riduzione in schiavitù. Negli stessi giorni ci fu un ennesimo rogo, il più devastante, dopo altri 4 o 5 episodi analoghi: non ci furono feriti, ma 350 persone rimasero senza un riparo. Il ghetto fu ricostruito in tempi record, seminando il sospetto che quella rapidità fosse dovuta all’infiltrazione mafiosa.
Ancora nel maggio 2016 viene sottoscritto un Protocollo sperimentale contro il caporalato, mentre la Regione studia un piano da 5 milioni di euro per chiudere la baraccopoli, utilizzando strutture di proprietà dell’Ente in alcuni comuni vicini. Di tutto ciò, ancora una volta, non se n’è fatto nulla a causa del mancato finanziamento da parte del Ministero dell’Interno. Il ghetto è rimasto lì e, a luglio dello scorso anno, un altro cittadino del Mali è morto nel corso di una rissa scoppiata nell’accampamento “invisibile”. Il 2 dicembre dello scorso anno si è verificato un altro incendio che ha interessato un centinaio di baracche ma senza feriti. Il 9 dicembre, invece, un rogo ha ucciso un migrante di 20 anni nel cosiddetto Ghetto dei bulgari, tra Borgo Tressanti e Borgo Mezzanone non lontano da Foggia. La notte del 3 marzo, l’ennesimo incendio nel quale sono morti altri due migranti del Mali.
Al Fatto Quotidiano il questore di Foggia, Piernicola Silvis, parla di una “città alternativa, una favela”, dove però i migranti “si sono raccolti per lavorare nei campi e non per delinquere”. Nel frattempo le operazioni per cercare di bonificarlo sono state difficili. “Bisogna assolutamente chiuderlo – spiega Silvis – perché ad oggi si rischia la sicurezza ogni giorno”. Le soluzioni alternative al ‘Gran ghetto’ sarebbero due strutture nei pressi di San Severo, ossia Casa Sankara e l’Arena, ma c’è molta resistenza. Dopo l’incendio di giovedì sera 3 marzo è intervenuta la federazione regionale dell’Usb Puglia: “Queste sono le conclusioni tragiche di anni di assenza di politiche del lavoro, in modo particolare sull’agricoltura e contro il caporalato”. Secondo l’Unione sindacale di Base “aver avviato lo sgombero del campo di Rignano senza coinvolgere i lavoratori che lo abitano è stato un atto di prepotenza istituzionale che non è possibile accettare”, mentre “gravissime sono le responsabilità del prefetto di Foggia” ed “enormi i ritardi della politica”.
Eppure, nell’estate del 2012, su impulso della Rete Campagne in Lotta, è nata Radio Ghetto, che ogni anno avvia le sue trasmissioni proprio dalla ‘città invisibile’ durante i mesi estivi, quelli più difficili. Le trasmissioni sono curate anche dai braccianti africani, si discute sulle condizioni di vita nella baraccopoli, ma anche di questioni legate alla situazione dei migranti. Marco, attivista di Radio Ghetto, racconta al Fatto Quotidiano l’altro volto del Ghetto, dove se c’è un problema ci si rivolge alle persone più anziane che, come in un villaggio africano, sono le autorità morali. “Considerando la situazione in cui queste persone sono costrette a vivere – spiega Marco – abbiamo trovato una grande capacità di organizzazione”. Ma quel luogo è molto cambiato nel corso del tempo. “Molti dimenticano che quello, prima di tutto, è un posto di lavoratori – continua – Sono quelli che già avevano lavorato nelle campagne negli anni Novanta e che poi erano entrati nelle fabbriche. Poi c’è stata la crisi, la chiusura delle aziende e molti di loro hanno dovuto rimandare indietro le famiglie e hanno ricominciato a vivere nelle campagne”.
Tra il 2013 e il 2014, la questione migratoria è esplosa, con conseguenze dirette anche sulla presenza di queste persone nella baraccopoli. “Se si va al ghetto – continua Marco – si sentono molti accenti del Nord, perché accanto al mondo dei richiedenti asilo, c’è quello dei giovani che sono al Nord per nove mesi l’anno e poi d’estate vengono a lavorare nelle campagne. Il ghetto è lo specchio della situazione che c’è in Italia e di una serie di fallimenti”. Perché i migranti non vogliono lasciare la baraccopoli? Hanno paura di non lavorare più nel mercato nero? “Tra qualche settimana si riparte con le liste di prenotazione (spesso pilotate) –spiega Marco– e sulla campagna di raccolta del pomodoro ci sono in ballo milioni di euro. Non credo che cambierà nulla: non li assumeranno con contratti di lavoro regolari solo perché non c’è più il ghetto. Sanno dove si trovano e li recluteranno di nuovo, ma è anche vero che queste persone non possono essere ammassate in strutture. Vanno affittate loro delle case, va loro ridata la dignità”.
La notte del 3 marzo: da quanto raccontano diversi immigrati ivi presenti, le forze di polizia avrebbero sgomberato il ghetto di Rignano col fuoco, provocando appunto due morti, bruciati vivi Ecco la ricostruzione dell’accaduto pubblicata sul sito Campagne in lotta[1]:
“Dalla notte del 28 Febbraio è iniziata una maxi operazione di sgombero che ha coinvolto più di 700 persone. Dopo la prima giornata, in cui 100 persone sono state deportate in due strutture site nel territorio del comune di San Severo, la polizia ha avuto difficoltà a procedere allo sgombero. Nonostante i tentativi di deportazione forzata, e le false promesse di documenti e lavoro a chi avesse lasciato volontariamente il ghetto, i lavoratori e le lavoratrici lì presenti non hanno accettato di lasciare le loro case senza una reale alternativa immediata e praticabile. I posti disponibili nelle due strutture non sono sufficienti per tutte e tutti, e senza un sistema di trasporto da e per i luoghi di lavoro abbandonare il ghetto significa perdere qualsiasi possibilità di sostentamento, per quanto misera. Per non parlare della condizione delle donne, che hanno ancora meno opportunità di reddito al di fuori del sistema dei ghetti. Ma a tutti coloro che sono rimasti è stato impedito di accedere alle loro case, anche solo per recuperare gli effetti personali e hanno passato notti all’addiaccio. Il 2 marzo un corteo spontaneo partito dal Ghetto ha raggiunto la Prefettura al centro di Foggia. I manifestanti hanno ottenuto che una delegazione fosse ricevuta dai rappresentanti del governo e della polizia, ma l’esito dell’incontro è stato negativo; la Prefettura ha confermato la volontà di procedere allo sgombero. La notte del 3 ci sono state nuove tensioni, fino ad arrivare allo scoppio di alcuni incendi. In uno di questi sono morte carbonizzate due persone, ancora da identificare. Secondo i tanti lavoratori lì presenti, l’incendio è stato appiccato dalle forze dell’ordine, con l’ovvia finalità di intimorire ulteriormente i presenti a lasciare quel posto. È praticamente impossibile in queste ore documentare quanto sta accadendo, perché è impossibile a chiunque superare i cordoni di sicurezza della polizia. Nemmeno la stampa ha facoltà di esercitare il diritto/dovere di cronaca. Ma gli abitanti del ghetto si rifiutano di consegnare i loro morti alle autorità fino a quando non emergerà la loro versione dei fatti. Il vostro Made in Italy è sporco del nostro sangue!” (ibidem).
Aggiungiamo che questo operato della polizia appare assai coerente con i propositi del neo-ministro dell’interno Minniti che –a sua insaputa- parafrasando Orwell, va proclamando che la (sua) “sicurezza è di sinistra”.
Ben altro che un “non luogo” (come l’ha chiamato il titolo del Fatto Quotidiano[2]) il ghetto di Rignano e il suo sgombero col fuoco mette a nudo il dispositivo imposto dall’articolazione fra proibizionismo delle migrazioni, riproduzione della precarietà e dell’irregolarità e quindi creazione del “distretto” dell’economia sommersa.
Altro che politica che ha perso la faccia: da circa 30 anni la politica ha avallato la formazione e perpetuazione di tale dispositivo che ritroviamo in diverse zone del Sud e in Sicilia ma anche in alcune del Nord[3]. Si ricordi l’assassinio di Ion Cazacu per mano del caporale Iannece[4], forse uno degli ultimi caporali nazionali perché poi sostituiti dai più convenienti “etnici”. Come mostrano alcuni reportage[5], questo dispositivo, infatti, assicura la riproduzione di manodopera schiavizzabile ancor di più grazie al caporalato “etnico” al servizio delle mafie che spesso si confondono col padronato locale. Un dispositivo capace di praticare violenze schiaviste e persino la morte per chi osa ribellarsi. Si ricordi la scomparsa poi rivelatesi assassinio (dopo torture) di oltre 119 lavoratrici polacche[6], la schiavizzazione anche sessuale delle rumene nel ragusano,[7] e ancora altri casi che fanno pensare sia a situazioni di apartheid, sia al lavoro coatto nei campi nazisti(per esempio,nell’Agro Pontino gli indiani costretti a drogarsi per lavorare di più [8] e non scordiamoci la perpetuazione del ghetto di Rosarno[9]).
Un altro aspetto assai redditizio del suddetto dispositivo è che produce la possibilità di inferiorizzare e schiavizzare anche i lavoratori italiani più deboli, cioè meno tutelati[10], attraverso il gioco del ricatto incrociato da parte di padroni e caporali nei confronti di nazionali, immigrati regolari e i “clandestini”. Ma come dice un titolo di un articolo, Rosarno s’è ricreato anche a Saluzzo[11] e non mancano le situazioni simili in diverse zone e in diversi settori d’attività al nord, senza dimenticare le “badanti” schiave[12] e altri ancora.
Se nel sud emergono casi di violenze e omicidi è perché in questi territori la regolazione economica e sociale l’intesa tacita fra alcune autorità locali, una parte delle polizie, del padronato, dei caporali e delle mafie lascia più spazio a questi ultimi mentre al nord è più soft o mascherata, meno appariscente. Ma, tutte le situazioni nelle quali si crea “occasionalmente” il dispositivo sopra descritto si sono sviluppate sin da quando è cominciata l’immigrazione straniera in Italia, cioè sin dagli anni settanta e ricordano tanti casi della regolazione della vecchia immigrazione interna[13].
Tale processo è il risultato dell’adeguamento dell’assetto economico e sociale italiano al successo neoliberista. La storia del ghetto di Rignano come delle diverse situazioni delle economie semi-sommerse et sommerse sono emblematiche delle conseguenze che ha prodotto la conversione neoliberista dell’informale e del sommerso che alcuni celebri sociologi italiani avevano ben studiato già negli anni ’70 e ’80[14]. Ma, trascurando o ignorando che tali conseguenze riproducevano caporalato e neo-schiavitù, avevano invece mitizzato i “distretti”, la “terza Italia” e il “made in Italy”[15] che, dopo l’esternalizzazione a breve distanza –che si perpetua- hanno trovato l’eldorado nei paesi terzi dove non mancano di riprodurre neo-schiavitù, violenze e morte (l’esempio più recente è stato il Rana Plaza[16]).
NOTE
[1] http://campagneinlotta.org/sgombero-al-gran-ghetto-di-rignano-dopo-il-corteo-i-morti-di-stato/
[2] http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/03/04/il-gran-ghetto-di-rignano-viaggio-nel-non-luogo-dove-la-politica-ha-perso-la-faccia-tra-roghi-morti-e-sfruttamento/3429900/
[3] Vanno senza dubbio apprezzate le ricerche di alcuni (fra questi Sciurba, Sacchetto, Perrotta e altri); va però osservato che le ricerche etnografiche non hanno ancora descritto e analizzato nel suo insieme tale dispositivo quale esito dell’articolazione occasionale o tacitamente realizzata per intesa fra diversi attori, né alcuni suoi aspetti salienti quali l’etnicizzazione del caporalato, le sue pratiche a volte violente e persino omicide, le complicità con le autorità locali e le polizie e quindi il gioco fra illegalismi tollerati e quelli intollerati (come suggeriva Foucault, vedi N. Fischer &A. Spire (dir.) 2009, Politix, 3, 87,http://www.cairn.info/revue-politix-2009-3.htm).. Eppure già alla fine degli anni Novanta molti aspetti di tale dispositivo erano stati evidenziati sia in qualche ricerca etnografica sull’immigrazione sia in quelle sulle polizie e anche da alcuni reportage e qualche articolo di quotidiani. La lista dei riferimenti a questi è alquanto lunga, mi limito qui solo a qualche riferimento di prima del 2005: http://www.meltingpot.org/Clandestini-ecco-il-business-di-Salvatore-Palidda.html#.WL03VxAnvbE; http://www.scribd.com/doc/124193247/Salvatore-Palidda-Polizia-postmoderna; CGIL Lavoro minorile / Libro-inchiesta, 2005, http://www.cgil.it/documenti/lavoro-minorile; FILLEA-CGIL, FENEA-UIL, FILCA-CIS, RAI DUE “I cantieri edili di Milano visti dalla TV”. VHS, 2000.
[4] D. Fo & F. Cazacu (a cura di) Un uomo bruciato vivo. Storia di Ion Cazacu. Milano, Chiarelettere, 2015.
[5] Leogrande, A. 2008. Uomini e caporali. Viaggio tra i nuovi schiavi nelle campagne del sud. Milano, Mondadori ; http://isfoloa.isfol.it/bitstream/123456789/120/1/Iadevaia_Mainardi_Lavoro%20sommerso.pdf
http://www.lavoroediritti.com/2010/06/save-the-children-500-mila-bambini-lavoratori-anche-in-italia/. Petrillo, Ant. (a cura di) Il silenzio della polvere, Milano, Mimesis, 2015.
[6] Foschini, G. et Pleuteri, L. 2006. “Quei 119 spariti dalla Polonia e adesso scomparsi in Puglia”: http://www.repubblica.it/2006/09/sezioni/cronaca/scomparsi-polonia/scomparsi-polonia/scomparsi-polonia.html; Leogrande, A. 2009. I desaparecidos polacchi nei campi di pomodoro del Tavoliere delle Puglie (28 gennaio) http://www.unita.it/italia/i-desaparecidos-polacchi-nei-campi-di-pomodoro-del-tavoliere-delle-puglie-1.26660.Leogrande, A. 2008. Uomini e caporali. Viaggio tra i nuovi schiavi nelle campagne del sud. Milano, Mondadori ;
Sciurba, A. e Carnemolla, D. 2013. “Due volte sfruttate. Le donne rumene nella “fascia trasformata” del ragusano”, http://www.meltingpot.org/Due-volte-sfruttate-Le-donne-rumene-nella-fascia.html#.VNdsu2SG83I;
Mangano, A. 2014. “Violentate nel silenzio dei campi a Ragusa Il nuovo orrore delle schiave rumene,” http://espresso.repubblica.it/inchieste/2014/09/15/news/violentate-nel-silenzio-dei-campi-a-ragusa-il-nuovo-orrore-delle-schiave-rumene-1.180119?ref=HRBZ-1;
Mangano, A. 2015. “Schiave romene nei campi in Sicilia, per il governo è un fenomeno ‘non significativo”, http://espresso.repubblica.it/attualita/2015/04/07/news/schiave-romene-per-il-governo-e-un-fenomeno-non-significativo-1.207092?ref=HRBZ-1;
[7] Sciurba, A. e Carnemolla, D. 2013. “Due volte sfruttate. Le donne rumene nella “fascia trasformata” del ragusano”, http://www.meltingpot.org/Due-volte-sfruttate-Le-donne-rumene-nella-fascia.html#.VNdsu2SG83I; Mangano, A. 2014. “Violentate nel silenzio dei campi a Ragusa Il nuovo orrore delle schiave rumene,”http://espresso.repubblica.it/inchieste/2014/09/15/news/violentate-nel-silenzio-dei-campi-a-ragusa-il-nuovo-orrore-delle-schiave-rumene-1.180119?ref=HRBZ-1; Mangano, A. 2015. “Schiave romene nei campi in Sicilia, per il governo è un fenomeno ‘non significativo”, http://espresso.repubblica.it/attualita/2015/04/07/news/schiave-romene-per-il-governo-e-un-fenomeno-non-significativo-1.207092?ref=HRBZ-1; Castaldo, A. 2015. “Il racconto della bracciante rumena schiavizzata”, in Corriere, http://video.corriere.it/mi-diceva-sei-schiava-l-incubo-erika-sfruttata-serre-costretta-quattro-aborti/4de492be-0e78-11e5-89f7-3e9b1062ea42?refresh_ce-cp.
[8] Fatto svelato grazie alla onlus In Migrazione, vedi: http://www.inmigrazione.it/UserFiles/File/Documents/87_DOPARSI%20PER%20LAVORARE%20COME%20SCHIAVI.pdf (citato anche da alcuni quotidiani)
[9] Vedi “Il tempo delle arance: immigrati e apartheid a Rosarno” – Parte 1 di 3http://www.youtube.com/watch?v=mRY49ue5ZL0.
[10] Fra altri vedi: Flai-CGIL Campania: http://comune-info.net/2014/03/schiave/;Asud’Europa, I nuovischiavi, 2015. http://www.piolatorre.it/public/art/i-nuovi-schiavi-in-agricoltura-arrivano-dall-africa-330; IRES, 2007, “I volti del sommerso”, http://www.ires.it/node/528;ISFOL, Iadevaia, V., Mainardi, M. (2012) Dimensioni e caratteristiche del lavoro sommerso/irregolare in agricoltura: http://isfoloa.isfol.it/jspui/handle/123456789/120?mode=full; “Caporalato, in 400mila lavorano nei campi per meno di 2,5 euro l’ora”: http://www.repubblica.it/economia/2016/02/23/news/caporalato_in_400mila_lavorano_nei_campi_per_meno_di_2_5_euro_l_ora-134042758/?ref=HRER2-1; “Il lavoro nero e l’approfittarsi degli stranieri”, in Servizio Publico, 12/01/2012 Satarlanda.euhttp://www.youtube.com/watch?v=hOm3bAeGw2Y; http://www.youtube.com/watch?v=ZGp100D1M8c;Adragna, P., Bagnariol, G., Monaco, L. & Nencioni, P. 2013. L’italia del lavoro nerohttp://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/2013/04/30/news/lavoro_nero-57761041/;Teodonio, V. “I nuovi schiavi dell’agricoltura
Tre euro l’ora piegati sui campi”, http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/2014/03/28/news/i_nuovi_schiavi_dell_agricoltura_tre_euro_l_ora_piegati_sui_campi-82159113/; Report RAI, “Nero a metà: i voucher”, http://www.report.rai.it/dl/Report/puntata/ContentItem-528f4bd1-c0ae-4742-b15b-1d69980245d2.html
[11] “Saluzzo. Rosarno arriva in Piemonte”, http://www.youtube.com/watch?v=gpUTHawCKd8; “Immigrati stagionali in Piemonte” Abitazioni peggio che a Rosarno”, Il Fatto quotidiano, http://www.youtube.com/watch?v=zZrjFeTgqsc; sul “ghetto” di Saluzzo su youtube.com e sul web si trovano vari reportage et articoli.
[12]Fra altri vedi: C. Morini, La serva serve, Derive& Approdi, 2002; Sciurba, A. La cura servile, la cura che serve, Pisa, Pacini editore, 2015.
[13] Fra altri, vediJ. Davis (1988/1989) Legge e ordine, Milano, F. Angeli; S. Gallo (2012) Senza attraversare le frontiere. Le migrazioni interne dall’Unità a oggi, Laterza; S. Rinauro (2009) Il cammino della speranza. L’emigrazione clandestina degli italiani nel secondo dopoguerra, Einaudi; Colucci M. 2008. Lavoro in movimento. L’emigrazioneitaliana in Europa 1945-57. Roma: Donzelli; Santino, U. 2015. Mafia & antimafia, Trapani, Di Girolamo ; Emigrazione e organizzazioni criminali. Viterbo: Settecittà, 2012; Mobilità umane. Milan: Cortina, 2008.
[14] Ecco alcuni riferimenti: Bagnasco, A. Tre Italie. La problematica territoriale dello sviluppo italiano. Bologna, il Mulino, 1977;Bagnasco, A. “La questione dell’economia informale”, Stato & Mercato, 1981, n.1, pp.173-196; Boyer, R. “Alla ricerca di alternative al fordismi: gli anni ottanta”, in Stato & Mercato, 1988, n. 24, pp. 388-423; Reyneri, E. “L’innovazione produttiva nella rete delle relazioni sociali”, in Stato e Mercato, 1988, n. 23, pp. 147-163. http://serials.unibo.it/cgi-ser/start/en/spogli/df-s.tcl?prog_art=8863290&language=ENGLISH&view=articoli; Becattini, G. “From Marshall’s to the Italian ‘Industrial Districts’. A Brief Critical Reconstruction », in Curzio, C.A.; Fortis, M. (a cura di)Complexity and Industrial Clusters. Heidelberg, Verlag, 2002, 83-105.
[15] Per una più ampia analisi di questa negligenza e in generale della conversione neoliberista di buona parte degli scienziati politici e sociali italiani vedi Sociologia e antisociologia, libreriauniversitaria.it, 2016, in parte in: http://effimera.org/appunti-epistemologia-della-conversione-liberista-della-sinistra-salvatore-palidda/
[16] http://www.presadiretta.rai.it/dl/portali/site/articolo/ContentItem-cd95c7a2-c2f0-4dda-97a1-35ab3969afd6.html; Calabresi, C. “Qualche considerazione a proposito dell’industria tessile italiana e degli infortuni sul lavoro”,“Dacca-Bangladesh 24 aprile 2013 più di 1100 morti: in un minuto e in un luogo più morti che in Italia in un anno!: http://www.snop.it/index.php?option=com_content&view=article&id=278:dacca-bangladesh-24-aprile-2013-piu-di-1100-morti-in-un-minuto-e-in-un-luogo-piu-morti-che-in-italia-in-un-anno&catid=59:attualita-la-tutela-del-lavoro&Itemid=57;http://www.snop.it/index.php?option=com_content&view=article&id=274:qualche-considerazione-a-proposito-dellindustria-tessile-italiana-e-degli-infortuni-sul-lavoro&catid=39:notizie-prevenzione-e-lavoro; Peled, M.X. China Blu, 2005http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-f7d1c3a3-d6bf-4765-92c1-25df1a825295.html?p=0
[17] Fra altri testi vedi https://www.routledge.com/Governance-of-Security-and-Ignored-Insecurities-in-Contemporary-Europe/Palidda/p/book/9781472472625
Fonte: Effimera
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