La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

lunedì 6 marzo 2017

Morire con dignità è un diritto. Intervista a Silvio Viale

Intervista a Silvio Viale di Giacomo Russo Spena
“Bisogna rompere il tabù”. Silvio Viale è ginecologo all’ospedale Sant’Anna di Torino nonché attivista radicale e consigliere comunale nei Verdi e nel PD. La stampa cattolica e conservatrice gli ha dedicato decine di articoli contro accusandolo di essere Mister Morte. Satana, più che un medico. Questo perché Viale da anni è paladino dei diritti civili e dal 2000 si è battuto con tutte le sue forze per introdurre la Ru486 in Italia. Al Sant’Anna è responsabile del servizio per 194 e ha il record di aborti: “Per rispettare quel diritto della donna che troppe volte non viene rispettato in altre strutture”, spiega.
È anche responsabile scientifico di Exit Italia, l’associazione che da anni ha rapporti con Dignitas, l’organizzazione svizzera che poi accompagna la persona fino al suicidio assistito: “C’è molta disinformazione in giro”. Exit-Italia fa parte della Federazione Mondiale della Associazioni per il Diritto a Morire (WFRtDS) e proprio a Torino ci sarà l’assemblea europea a giugno. Con lui parliamo del recente caso di Dj Fabo e soprattutto proviamo a metter luce su un argomento troppo spesso oscuro e controverso. 
Dottor Viale, perché un cittadino italiano deve morire in un Paese straniero come un ladro di diritti? 
"Perché l’Italia è maglia nera dei diritti civili e qui da noi l’eutanasia non è consentita. E, attenzione, non lo sarebbe neanche se dovesse passare la legge sul fine vita ora in discussione in Parlamento."
Mi sta dicendo che la legge in discussione colma un vuoto giuridico ma che comunque, anche nel caso venisse approvata, sarebbe una legge insufficiente? 
"C’è molta confusione sul tema. La legge in discussione è sul testamento biologico e sulle cosiddette direttive anticipate, tra l’altro sono pratiche che già avvengono di fatto in Italia. Esiste una area grigia, impossibile da regolamentare, dove le nostre rianimazioni ospedaliere – per ultimo, un caso a Ferrara persino a domicilio – agiscono in tal senso. Io preferisco parlare di sedazione terminale, molti colleghi vogliono chiamarla sedazione palliativa perché la finalità non sarebbe quella di uccidere la persona ma di alleviare il dolore, cambia poco: è una realtà di fatto del nostro Paese. Questo è il punto di partenza di ogni discussione in merito. Quel che manca è la volontà politica di fare una legge sulla falsariga di quelle in vigore da oltre 15 anni in Olanda o in Belgio."
Ovvero? Ci spieghi meglio visto che in Italia si parla soprattutto della Svizzera... 
"Sono due leggi che prendo come modello perché prevedono nella loro legislazione un’opportunità in più per il cittadino, la possibilità di morire. Sia nella forma eutanasica vera e propria, sia sotto forma di suicidio assistito. Il nocciolo della questione è depenalizzare l’atto medico, mantenendo pure il reato previsto dal Codice Penale, ma definendo paletti e contesti in cui si può assecondare la richiesta della persona. "Dopo questa ennesima morte in Svizzera, spera veramente che in Italia si smuovano le acque? 
"Quando abbiamo fondato Exit Italia, in consiglio comunale a Torino sono riuscito a far approvare Ordine del Giorno pro eutanasia. La discussione aiuta a rompere il tabù. Ho visto votare a favore persone che pensavo fossero contrarie e viceversa. Da lì capì che le storie personali fanno le differenze. Proprio di questi giorni è la cauta comprensione del leghista Zaia. Oggi il Parlamento ne discute solo perché è stata depositata una legge di iniziativa popolare, e il dibattito rimarrà anche se dovessero decadere le Camere. Questa occasione non va assolutamente persa. Ogni passo avanti, anche se sembra chiudere la porta, in realtà ne apre di nuove."
Secondo lei è giusto differenziare il caso Englaro, dove si parla di sospensione di nutrizione artificiale e non di eutanasia, dal caso ad esempio di Dj Fabo? Parliamo di ambiti diversi? 
"È sufficiente guardare agli ultimi 20 anni per capire quanti ambiti ci siano. I casi sono diversi: per Eluana Englaro si dovevano sospendere l’idratazione e l’alimentazione artificiali già molto tempo prima per l’impossibilità di ottenere qualsiasi miglioramento dal punto di vista clinico, nel caso Welby parliamo invece di sospensione della terapia, il respiratore in quel caso, e di somministrazione di un sedativo terminale. Il recente caso di Fabo, invece, è come il caso di decine di italiani – pensiamo a Lucio Magri o Roberto Gandolfi (per citare bipartisan un uomo di sinistra e uno liberale) – ossia una persona ritiene che la propria condizione di vita, con un quadro clinico ormai compromesso, non sia più tollerabile. E chiede di morire con dignità per sollevare se stesso e le persone vicine dalla sofferenza. Cosa ci sia di così scandaloso, non si sa. Non dimentichiamo che il suicidio non è un reato. Ed è significativo che la magistratura apra indagini solo su querela, sebbene su giornali e TV parenti amici raccontino di avere accompagnato e di essere stati presenti. Non solo per i recenti casi di Fabiano Antoniani e Gianni Trez, ma anche Dominique Velati, Susanna Zambruno Martinetti, Vittorio Bisso e tanti altri."
Come afferma il filosofo Vito Mancuso: “La morte più umana è quella liberamente scelta”? 
"Detta così sembra essere una posizione favorevole al suicidio tout court, cosa per cui non sarei nemmeno contrario in linea di principio per quanto le implicazioni morali siano molto forti. Qui discutiamo invece di contesti nel quale esistono dei paletti. Le leggi in vigore in Olanda, Belgio e Svizzera prevedono il suicidio assistito soltanto in alcune condizione e dopo un lungo iter. Di fronte ad una condizione irrecuperabile o non più sopportabile da parte della persona, si dà al singolo cittadino la possibilità di porre fine. Credo che per pietà uno Stato debba consentire tale opportunità, una opportunità, ribadiamolo, che riguarda una minoranza, quando discutiamo di eutanasia parliamo di poche persone. Una soluzione semplice, l’ultima frontiera dei diritti umani che tra l’altro non toglie alcun diritto o possibilità diversa agli altri cittadini. Siamo sul terreno delle scelte individuali."
Lei ha introdotto il tema dei “paletti” che fisserebbero l’eutanasia ma non siamo in contraddizione? Se si stabilisce il principio che la vita è mia e ci faccio quel che voglio, non è sbagliato fissare limitazioni? 
"Questo è un discorso superato perché il suicidio non è reato. Ci sono gruppi che si occupano di eutanasia che indicano come compiere l’atto suicida, senza alcun problema. Se in Italia una persona cerca di ammazzarsi ma sopravvive non viene mica inquisito! In Occidente, da anni, il tabù che uno può uccidersi è stato superato: il suicidio è libero e legale. Quel che manca è l’avere un trattamento medico che permette di farlo nel miglior modo possibile. In Olanda sono giunti a questa legge dopo 10 anni di sperimentazioni e all’inizio soltanto il 20 per cento dei medici si metteva a disposizione per tale pratica, ora siamo al 90 per cento, gli obiettori quasi non esistono più. Dico questo perché è una questione di civiltà: lì si è capito che non si può negare il diritto ad una persona di avere una morte dignitosa."
Dipende molto anche da quale medico si incontra? 
"Ovviamente le aree grigie sono inevitabili e cambia molto dai contesti e dai medici che si incontrano. Faccio un esempio. In Italia è in vigore la 194 sull’aborto. Qui al Sant’Anna solo nel 2016 ho fatto più di 3mila aborti, di cui oltre il 40 % con la RU486, ma non è che a Torino la legge sia diversa da Catania. Questo perché, pur essendo nazionale la legge, dipende dalla sensibilità sul tema della struttura ospedaliera e del ginecologo. Così, in Italia, in materia di fine vita varia molto a seconda delle rianimazioni. In alcuni luoghi si sospendono più facilmente le terapie, i respiratori e l’alimentazione, e in altri meno, nel silenzio e ipocrisia generale."
Non è il caso di Dj Fabo, ma se un depresso va in Svizzera e chiede di morire. Cosa succede? 
"Qui siamo alle narrazioni tossiche. In Italia si pensa che in Svizzera sia come il jukebox. Paghi e ottieni. Non è così. La depressione è sicuramente una malattia che può essere grave, che genera sofferenza, ma sono pochissimi i casi di eutanasia per problemi psichiatrici, più unici che rari, perché sono difficili da dimostrare con diagnosi certe di gravita e consapevolezza. La quasi totalità dei casi psichiatrici italiani che si sono presentati in Svizzera sono stati respinti."
Leggevo un dato: il 70 per cento delle persone che si rivolgono alla Dignitas, l’associazione svizzera accusata di favorire la morte delle persone, decidono poi di non arrivare all’atto del suicidio... 
"Prima della morte, ci sono diversi di colloqui ed incontri. Molti poi decidono di non farlo o di aspettare ancora, avendo avuto la “luce verde” o meno. L’iter non è breve. Innanzitutto è necessaria la prescrizione di un medico dopo le necessarie valutazioni mediche. Altro fattore importante è la reiterazione della domanda. Si impiega tempo, non è facile arrivare alla morte. In un certo senso si guarda alla gravità della condizione, ma anche al curriculum della persona. Avere fatto un testamento biologico, o essere iscritto ad una associazione some Exit-Italia, testimonia di una convinzione non estemporanea."
Beh, in questo caso ci vuole una forte convinzione e spinta motivazionale per giungere alla “luce verde”? 
"Certamente, ma ci sono casi di persone che ottengono la luce verde – quindi la possibilità di togliersi la vita – ma decidono di non farlo subito. A loro interessa l’aver conquistato il diritto di farlo, quando mai decideranno. Una sorta di sollievo e di rassicurazione. Ovviamente quando decideranno di fare il viaggio in Svizzera, ci sarà una nuova valutazione prima dell’eventuale suicidio assistito."
Chiara Rapaccini, compagna di Monicelli oggi in piazza ha detto “Mario non si è suicidato. È morto come ha sempre vissuto”. 
"La parola suicidio spaventa, eutanasia meno. Ma pensiamo a Franco Lucentini che si è suicidato eludendo moglie, amici e badante, buttandosi giù dalla tromba della scala o a Carlo Lizzani. A loro, come a Monicelli, è stato tolto il diritto di poterne parlare con un medico, di valutare l’ipotesi del fine vita, se e come farlo. Chissà, magari, probabilmente avrebbero vissuto anche di più. Ora invece chi si pone questo problema è costretto a ricorrere all’estero o, come loro, lasciarsi precipitare da un ballatoio o da una finestra."

Fonte: MicroMega online 

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.