La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

domenica 18 giugno 2017

Ecco il nostro progetto per la nuova sinistra di popolo. Intervista a Anna Falcone

Intervista a Anna Falcone di Stefania Rossini
La prima volta che è apparsa in tv ha bucato subito lo schermo. Con puntigliosa precisione, senza gli ammiccamenti di certe reginette della politica, ha spiegato che la Costituzione non si doveva toccare e che semmai la battaglia giusta sarebbe stata quella di attuarla fino in fondo. Stava rappresentando i comitati per il No al referendum del 4 dicembre e ringiovaniva di colpo una squadra accusata di scandalosa vecchiezza. Sei mesi dopo Anna Falcone si riaffaccia alla politica nazionale. Lo fa con un appello, scritto con Tomaso Montanari, in cui suggerisce alla sinistra disunita le forme e i modi per realizzare un progetto condiviso.
Nel frattempo ha messo al mondo una bambina, continuato il suo lavoro di avvocato e portato le sue idee in una miriade di convegni. Ha fatto incontri con i verdi, con Civati, con Ferrero, con Fratoianni, con Varoufakis. È stata chiamata da D’Alema a dare contenuto, e forse anche un po’ di glamour, al varo del simbolo di Articolo1- Mpd.
Del resto è brava, competente e con una passione assoluta per la politica che le viene da una stirpe di tutto rispetto, quella di Giacomo Mancini, zio del padre e riferimento per tutta la sua famiglia. Quando la incontro, tiene in braccio la sua bambina di cinque mesi, che sorride e si esercita nei primi vocalizzi. Sarà forse per questo stato di sereno maternage che si apre facilmente anche alla confidenza e al racconto di sé.

Avvocato Falcone, a quanto pare tutti la tirano dalla loro parte.

«Mi lusingano, ma questo è il tempo di dare concretezza alle idee. E di riprendere insieme ad altri il filo rosso che mi ha guidato fino a qui».
Dove si trova l’inizio di quel filo?
«Ben radicato nella nostra Costituzione. Contiene ideali di equità e di giustizia sociale che dovrebbero costituire il patrimonio della sinistra».
Pensa davvero che la sinistra non abbia più ideali?
«Penso che una classe politica che si definiva di sinistra stia governando il Paese con politiche di destra, venendo meno alla sua missione che è quella di ridurre le disuguaglianze. Ma penso anche che c’è un’altra sinistra, che ha il compito di unirsi per costruire una nuova rappresentanza dove trovi finalmente corpo la domanda di democrazia uscita dal voto del 4 dicembre».


La sua immagine è fin troppo legata a quell’esperienza. Prima o poi dovrà emanciparsene.

«Non vedo perché. I comitati continuano a vivere ed esprimono una domanda di partecipazione che è la novità più interessante di questo momento politico. Insieme alle liste civiche e alle associazioni, sono una risorsa per una sinistra che voglia avviare un progetto condiviso, una lista comune e una leadership diffusa, senza nomi preconfezionati e calati dall’alto».
Di leader in campo ce ne sono però già molti. Pisapia, per cominciare.
«La sua candidatura è più un’operazione mediatica che democratica. Non si può rifare la sinistra senza la sinistra. Aver votato Sì al referendum e poi continuare a inseguire Renzi e le sue fallimentari riforme, vuol dire non aver capito, o non voler capire, dove sta il popolo della sinistra. O peggio, voler condizionare al ribasso un processo di liberazione dal pensiero unico dominante».
Il suo contrario, insomma. Ci racconti allora dove nasce questa sua passione politica.
«Sono sempre stata così. Quand’ero bambina andavo alle manifestazioni politiche in braccio ai miei genitori. A 15 anni facevo già le campagne elettorali per il partito socialista. All’università ho partecipato attivamente al movimento della Pantera, anche se una persona di famiglia cercava di dissuadermi».
Chi era?
«Giacomo Mancini, quando aveva già lasciato il parlamento ed era sindaco di Cosenza. Mi telefonava spesso per chiedermi come andavano gli studi. Con il mio primo cellulare, grande come un mattone, gli dicevo: “Beh zio, ora stiamo occupando la Facoltà. Tu sai che a me piacciono queste cose”. E lui, che pure era favorevole ai movimenti, mi rispondeva: “È proprio perché ami la politica che adesso devi studiare”».
Lo ha fatto?
«Fin troppo. Sono una secchiona imbarazzante. A cinque anni stupivo i miei genitori perché al posto dei libri di favole volevo quelli di mitologia. A quattordici ho deciso di fare il liceo scientifico perché ero più brava nelle materie letterarie che in matematica e pensavo che la scuola servisse a colmare le lacune. Ma non volevo rinunciare al greco e lo studiavo a casa con mia madre. All’università ho optato per giurisprudenza, ma ero pronta anche per medicina, architettura, lettere».
Non ci allarmi con tanta perfezione. Non ha mai fatto errori?
«Non me ne sono fatti mancare. Per esempio ho insistito a insegnare come precaria facendo la spola tra l’università di Roma e quella di Calabria, senza capire che i concorsi hanno sempre un candidato designato. Però tutti quegli anni faticosi mi sono serviti a essere innovativa nel mio lavoro di avvocato, dove lo studio dà spessore all’argomentazione e alla combattività».
Nel suo curriculum c’è anche qualche abbaglio politico. Come l’infelice partecipazione alle elezioni del 2013 con Rivoluzione civile di Antonio Ingroia.
«Sì, un vero fallimento. Me ne ero andata da poco dal partito socialista perché mi ero accorta che ormai mancava di democrazia interna e mi sono ritrovata in una situazione anche peggiore. Io, calabrese, sono stata candidata in Sicilia e Lombardia, senza nessun rispetto per le scelte che venivano dai territori. E pensare che quell’esperienza di partecipazione era nata dal basso, e non tutti sanno che Ingroia è stato invitato a capitanarla dopo che altri avevano rifiutato».
Adesso che è arrivata sulla scena pubblica, si è chiesta se lo deve un po’ anche alla sua bellezza?
«Ma io non mi ritengo bella! Ho avuto la fortuna di essere stata a lungo una ragazzina alta, magra, quasi un maschio, e quindi non ho potuto pensarmi bella nell’età in cui si radicano queste convinzioni. Se oggi mi guardo allo specchio, al massimo mi trovo carina. E poi penso che l’aspetto possa aiutare, ma diventa un’arma a doppio taglio se, tolta la confezione, si scopre che il pacco è vuoto».
Questo suo aspetto l’ha almeno aiutata nella vita privata, negli incontri, negli amori?
«Non saprei. Ho avuto qualche rapporto, un matrimonio finito con un annullamento e un grande amore. Cose che capitano anche alle bruttine. Ma è soltanto il grande amore che vale la pena di tenere a mente».
È così per tutti. Ce lo racconti, se vuole.
«Ho conosciuto Paolo, il mio attuale compagno, quando avevo 17 anni e lui 18. Abbiamo fatto i fidanzatini per due anni e poi la vita ci ha portato altrove. Ventiquattro anni dopo l’ho rincontrato per caso in un ospedale e una mia cugina lungimirante ha voluto farci sedere accanto al tavolo di un ristorante. Aveva capito prima di noi che eravamo fatti l’uno per l’altra. Ora viviamo insieme, abbiamo una bambina e siamo veramente felici».
Fare un figlio a 45 anni non è più un’eccezione, ma è comunque un impegno notevole. Come lo sta affrontando?
«Con entusiasmo e tutta la fatica necessaria. Questa bimba è nata per la testardaggine del padre, perché io in fondo non ci speravo più. Anche se c’è stato un periodo in cui ho pensato seriamente di fare un figlio da sola. Non avevo una persona di cui essere innamorata e stavo bene con me stessa».
Anche questa non è più un’eccezione. Che cosa l’ha fatta desistere?
«Ci ho riflettuto a lungo prima di lasciar perdere perché una delle lezioni che ho avuto dalla vita è quella di non forzare le cose. Ciò che deve accadere, accade comunque. E non lo dico perché credo al destino».
A che cosa crede?
«Se allude alla fede in Dio, le rispondo che sono credente, non cattolica, molto cristiana. Però qui si tratta di altro. Io penso che ciascuno di noi sia portatore di una serie di semi che devono soltanto aspettare le condizioni migliori per germogliare nella vita personale, nel lavoro, in ogni altra situazione. Quando si sbaglia stagione, i semi si trovano davanti un inverno gelato».
Se questa è la sua filosofia, lei sta davvero vivendo una buona primavera.
«Grazie, lo prendo come un augurio».


Fonte: L'Espresso

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