La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

domenica 16 agosto 2015

Non passa lo straniero

di Seila Bernacchi 
La cittadina frontaliera di Ventimiglia è stata oggetto di attenzione da parte della stampa dagli inizi del giugno 2015 quando alcune decine di migranti respinti sul territorio francese e rimandati in Italia decisero di resistere occupando gli scogli e le aiuole stradali adiacenti il varco italo-francese. Tende e teli di fortuna, non pochi gesti di solidarietà da parte di cittadini francese e italiani che portavano coperte, cibo e acqua. Qualcuno ogni tanto tentava il passaggio e si trovava nuovamente respinto.
Alcune persone di diversa provenienza, età, esperienze, hanno in quei giorni creato un presidio permanente: il No Borders Ventimiglia. Si sono affiancati ai ragazzi africani sugli scogli, hanno dato loro sostegno e ai primi di luglio hanno deciso di occupare la piccola pineta sotto il ponte San Ludovico, a circa duecento metri dalla frontiera. Li presidiano in modo permanente. Accolgono dai cinquanta ai cento migranti – per lo più sudanesi ed eritrei – il passaggio è continuo, qualcuno si ferma qualche giorno, altri sono lì da più di un mese, qualcuno ritorna dopo un ennesimo tentativo di passaggio in Francia andato a vuoto. Il motto è “non torniamo indietro”.
Si resiste contro il pattugliamento di una frontiera che non dovrebbe esistere e che non consente libera circolazione, si presidia per rivendicare il diritto di viaggiare e di veder assolte le richieste d’asilo e di ricongiungimento. Hanno ricevuto la solidarietà da parte di diverse associazioni di volontariato tra cui Amnesty International che era presente anche all’ultima manifestazione che si è tenuta nel piazzale della stazione lo scorso 8 agosto.
Cosa succede alla frontiera italo francese
A Ventimiglia, i varchi frontalieri che dividono Italia e Francia sono due. Una è la frontiera ‘bassa’ di Ponte San Ludovico nella zona dei famosi Balzi Rossi, dove si è istallato il presidio No Border Ventimiglia e dove sostano i migranti. L’altra è la frontiera ‘alta’ di ponte San Luigi, in territorio francese. Tra le due poche decine di metri e uno sbalzo verticale di una cinquantina.
Al varco di ponte san Luigi si registrano le situazioni di maggior tensione, pare che la gendarmerie francese proceda talora al fermo delle vetture che passano in Francia controllandone interni e bagagliai per verificare l’eventuale presenza di migranti. Non solo, da ormai settimane la polizia francese controlla a tappeto treni e autobus in particolare nelle stazioni immediatamente oltre frontiera, Menton-Garavan, Menton, Nizza, Marsiglia. Se trovano migranti a bordo li fanno scendere e li riportano alla frontiera San Luigi e dai lì ai due container recintati che si trovano sul territorio nostrano presidiati dalla polizia italiana. In questi container restano diverse ore finché non si attiva il trasporto gestito dalla Croce Rossa Italiana (CRI) che con dei pullmini trasportano i migranti al loro centro di raccolta nei pressi della stazione ferroviaria di Ventimiglia. Qui in un edificio delle ferrovie dello Stato è allestito un centro di sosta con posti letto e dove i medici della CRI provvedono al check in sanitario dei migranti. I migranti, liberi durante il giorno, erano tenuti a rientrare per la notte entro le 21:00, adesso l’orario è stato anticipato alle 18:00.
Il problema non sta solo nel fermare sistematicamente sui treni i migranti e – senza procedere all’identificazione – riportarli in Italia, ma anche nel fatto che non solo i migranti vengono fermati ma chiunque – per il colore della pelle – sia suscettibile di essere considerato tale. E’ accaduto a un signore di Lione proprietario di una casa per il soggiorno estivo a Nizza che il figlio – proveniente dal Burkina Faso e regolarmente adottato – sia stato fermato per due giorni a Lione prima di consentirgli di raggiungere il padre alla casa nizzarda.
Il clima è quello di un sistematico rastrellamento.
La dinamica che si ripete ormai incessante è quella di un continuo rimpallo tra Francia e Italia e in cui le autorità dei due Paesi non procedono all’identificazione poiché in base al trattato di Dublino III lo Stato in cui un migrante è identificato per la prima volta è quello che deve provvedere alla sua presa in carico e al riconoscimento del suo status di rifugiato. Non identificarli evita che si avvii la procedura burocratica per valutare le richieste d’asilo. Siamo di fronte ad una sistematica violazione dei diritti umani e dei trattati internazionali.
I migranti continuano a provare ad attraversare il confine, chi ci riesce viene fermato e riportato in Italia e di nuovo da capo.
La situazione del Presidio No Border- Ventimiglia 
Per raggiungere il Presidio No-Border in treno conviene, da Ventimiglia, proseguire sino alla stazione francese di Menton-Garavan e lì tornare indietro sul lungo mare sino alla frontiera di Ponte San Ludovico. Qualche camionetta della polizia presidia la zona. A circa duecento metri dal varco, su una piccola aiuola stradale qualche sacco a pelo, un telo nero con la scritta bianca fissato al tronco di due basse palme indica il presidio.
Quando arriviamo, nel pomeriggio di domenica 9 agosto il presidio è assai affollato. Vi sono una sessantina di migranti – per lo più sudanesi, tutti maschi, giovani, il più adulto avrà 25 anni– e una trentina di attivisti. Completamente autogestito si sviluppa sotto la piccola pineta difronte agli scogli e si estende sotto le arcate del ponte. All’ingresso lenzuoli bianchi appesi con scritte in italiano, francese ed arabo che ribadiscono i motivi della protesta: no al razzismo, no alle frontiere. Pochi metri e addossata al muro dell’ex ufficio turistico la piccola “farmacia”, cestelli e scatole con medicinali di prima necessità per una minimale assistenza sanitaria: bende, garze, cerotti, farmaci contro la dissenteria, antibiotici, pomate anti-scabbia.
Sul muro laterale a questo si trova la zona cucina con un fornello quattro fuochi e uno da campeggio alimentati con bombole a gas; una dispensa con pasta, riso, cous cous, cibo in scatola e acqua. Tra gli alberi lenzuoli e teloni cercano di aumentare un po’ l’ombra della pineta, qualche tavolo con sedie, un computer e un accrocchio di prese elettriche per l’alimentazione delle poche lampade appese ai pini e per ricaricare eventuali dispositivi mobili. Procedendo di qualche metro si arriva alla zona notte che dalla pineta prosegue sotto le arcate del ponte e nel ‘cortile’ a ridosso delle balze rocciose: una ventina di tende da campeggio e materassi a terra. Sotto l’arcata centrale, protetti alla meglio dall’umido, sacchi con i vestiti avuti in dono da qualche solidale e la biancheria.
Sulla destra la zona ‘docce’ e sulla sinistra i ‘bagni’ per donne e più sopra per gli uomini. Questi ultimi consistono in pochi metri quadri con piastrelle posticce, un water fissato a terra e una gomma con pressione abbastanza potente che funge da sciacquone, il tutto recintato con teli frangi sole che imitano fluttuanti pareti. 
Quando arriviamo ci salutano tutti con un sorriso, sembra che il solo fatto di essere venuti qui a trovarli e conoscerli un po’ sia sufficiente a creare un’immediata fratellanza. Il clima è pacifico e rilassato, un po’ di musica africana, un po’ Bob Marley.
I migranti stanno seduti a cerchio o si riposano sotto una palma, vi è un passaggio continuo, difficile dire chi sono e quanti di loro sono qui dall’inizio della protesta.
Gli attivisti sono per lo più giovani, ragazzi e ragazze, dalla Liguria, dalla Lombardia, dalla Marche. Solo due o tre sono presenti dal ‘tempo degli scogli’, altri sono qui chi da un mese chi da una settimana, chi è solo di passaggio per pochi giorni, chi è tornato dopo un periodo di rientro a casa o al lavoro, chi se ne va col proposito di tornare. Sono sereni e affiatati tra di loro, parlano di come sta andando, organizzano iniziative, dibattiti, hanno allestito un piccolo spazio dove chi ha un po’ di competenza fa lezioni di italiano e francese ai migranti, qualcuno fornisce loro rudimenti di diritto internazionale. Una volta a settimana viene una ragazza a fare arte terapia, questa settimana sarà la terza volta e già la scorsa – ci racconta una ragazza presente da una decina di giorni- quando è arrivata i ragazzi sudanesi l’hanno riconosciuta e si sono distribuiti a cerchio intorno a un lenzuolo entusiasti di riprendere i colori in mano e imprimerli nella stoffa. Ci sono due ‘mediatrici’ che conoscono la lingua araba e che sono molto importanti per tradurre ai migranti cosa accade, soprattutto quando si è in vista di qualche vertice europeo o per seguire le proteste dei loro ‘fratelli’ a Calais.
Dopo diverse polemiche sui giornali e tv locali è vietato fare foto all’interno del Presidio, soprattutto ritrarre i luoghi di intimità dei migranti. I ragazzi del presidio non sono ben visti dalle autorità in primo luogo perché portano avanti una protesta che non può che essere di denuncia e critica delle autorità repressive e degli organi governativi a tutti i livelli. In secondo luogo perché per le istituzioni, completamente paralizzate dal ping pong che abbiamo descritto e dagli egoismi nazionali degli stati europei, il presidio No-Border rappresenta un’approssimativa ma resistente alternativa alle loro inefficienze. E’ un luogo in cui chi passa trova uno spazio di riposo, dove mangiare ed essere libero di muoversi.
Recentemente un’ordinanza comunale ha vietato la somministrazione – per motivi di igiene e decoro – di cibi che non siano quelli gestiti dalla Croce Rossa, avendo come bersaglio sia il Presidio No-Border sia gli alimenti che l’Imam di Nizza faceva arrivare alla stazione di Ventimiglia.
Ma anche a questo si resiste, continuano a cucinare i ragazzi No-Border e i sudanesi, anche scambiare i sapori delle diverse cucine è un modo per avvicinarsi e abbattere le frontiere – qui culturali – che vogliono continuare a separare ‘noi’ da ‘loro’.
Certo non ci troviamo in un hotel allestito con tutti i crismi igienico sanitari e cucine certificate dall’asl, siamo in un accampamento di fortuna sorto abusivamente in un suolo pubblico, completamente auto organizzato e autofinanziato da giovani e meno giovani che operano un volontariato non strutturato e non vogliono scendere a compromessi con le istituzioni di cui sono una spina nel fianco.
Frontiera alta – Ponte San Luigi ore 00:30
Dopo una serata a base di pizza e pannocchie di mais arrostite, chiacchiere e musica, qualcuno che balla, arriva la notizia dagli attivisti che monitorano la frontiera alta, quella in territorio francese per intendersi, di 100 migranti bloccati su un treno a Menton e trasportati a Ponte San Luigi, per essere – come prassi – internati nei container in attesa del trasporto alla stazione di Ventimiglia.
Sono saliti sul treno in massa, forse sperando che l’ingente numero li avrebbe compattati e dato qualche chances in più di passar la frontiera senza essere fermati.
Invece la Gendarmerie li ha fermati, è salita a Menton per il consueto pattugliamento e li ha ‘invitati’ a scendere. Un video di un migrante arrestato insieme ad altri perché non sono scesi spontaneamente mostra meglio di molti articolati racconti come il ping pong italo francese sulla pelle dei migranti sia ormai prassi acquisita. Un migrante (biglietto del treno in regola) dice “non torniamo indietro” e un uomo della polizia francese prima stizzito poi con più calma risponde “no. Voi tornerete indietro. O scendete spontaneamente dal treno e sarete tranquilli, vi riportiamo in Italia come sempre e non vi succede nulla oppure chi decide di non scendere se ne assumerà le conseguenze”. Difficile capire come possa definirsi discesa spontanea quella che avviene sotto la minaccia di conseguenze penali. Alla fine saranno un centinaio i migranti trasportati nei container.
Dal Presidio No-Border iniziano a partire i ragazzi, prima uno, poi altri due, poi un gruppo di tre, alla snocciolata ancora altri. Cento migranti sono tanti, i container possono contenerne a fatica la metà, la cosa è seria, non è più solo la questione di principio di togliere libertà di movimento e transito a esseri umani che cercano di raggiungere il nord Europa, stavolta è anche l’entità del rastrellamento che preoccupa.
C’è un piccolo e buio sentiero verticale che collega Ponte San Ludovico a Ponte San Luigi. Da sotto si possono vedere i passaggi a piedi e le macchine che attraversano la frontiera. Dopo qualche decina di minuti si sentono i rumori della protesta, slogan ripetuti “No Border!”, rumori sordi contro le ringhiere, battiti di mani.
A Ponte San Luigi sono arrivati in 17 del presidio No-Border, altrettanti sono i francesi, si scambiano cori e gesti di saluto con i migranti rinchiusi. Li abbiamo visti partire: sandali, pantaloncini e canottiera, l’apprensione ne tirava un po’ l’espressione del volto.
I ragazzi arrivati su protestano in modo provocatorio ma pacifico, scimmiottano i movimenti della gendarmerie in tenuta antisommossa, si siedono e si sdraiano sulla strada cercando di interrompere il flusso automobilistico di frontiera. Qualche moto e auto di passaggio accettano l’invito, come gesto di solidarietà, a tornare indietro e ripassare più tardi. Questo deve stizzire le forze di polizia d’oltralpe che iniziano a innervosirsi e a schierarsi a falange. Sul fronte italiano intanto si sono posizionati i carabinieri. La tensione sale. La gendarmerie inizia ad avanzare facendo arretrare i manifestanti in territorio italiano, i carabinieri avanzano, i ragazzi si ritrovano stretti a sandwich tra le due barricate, alzano le mani, racconteranno di aver avuto paura di essere caricati. Qualcuno viene strattonato, i francesi tirano fuori i manganelli.
Alla fine 17 attivisti italiani vengono portati a due a due nella stazione frontaliera di polizia, verranno identificati con procedura dattiloscopica e poi rilasciati, 6 di loro – con precedenti denunce – riceveranno un foglio di espulsione con divieto di rimetter piede sul territorio di Ventimiglia per tre anni, dovranno lasciare la frontiera e il Presidio nel giro di 24 o 48 ore. Sono tre marchigiani, un vicentino, un lombardo e un genovese. Due attivisti francesi pur trovandosi in territorio italiano al momento dell’arresto, saranno ripresi dai francesi e di loro non si saprà niente per diverse ore, saranno poi rilasciati.
Frattanto alle 5 del mattino al Presidio c’è da far fronte ad altro problema. Sono i passeurs, persone – riconducibili alle mafie nordafricane – che si introducono nel presidio e cercano di reclutare i migranti: 300 euro per passare la frontiera a bordo delle loro auto. Sono gli ‘scafisti di terra’, anche i migranti di Ventimiglia sono business, si promette loro di portarli in zone della Francia meno pattugliate per far loro proseguire il viaggio e invece li si lasciano appena dopo la frontiera, a volte li si scaraventano fuori dalla macchina in corsa. E’ successo così a un ragazzo eritreo qualche settimana fa e si è ritrovato con due piedi rotti.
La posizione dei No-Border è chiara “noi non possiamo impedire ai ‘nostri’ migranti di salire sulle loro auto, sono liberi di muoversi. Ma le trattative non devono avvenire all’interno del Presidio e abbiamo il dovere di spiegare loro in che cosa vanno cacciandosi e quali possono essere le conseguenze”.
Infatti dalla pineta escono fuori e fanno capannello su un’aiuola stradale cinque o sei sudanesi, tre ragazzi del presidio, tra cui una ragazza che parla arabo e il passeur. Ne segue una discussione animata che stavolta avrà l’esito di far allontanare il nordafricano senza che nessuno dei migranti sia disposto a seguirlo.
Il Presidio No-Border Ventimiglia, comunque lo si consideri, serve anche a drenare questi processi criminali, non possono pensare di fronteggiare e mettersi fermamente contro i passeurs, sono pericolosi, con loro non si tratta di avere uno scontro dialettico, le conseguenze di una lotta aperta contro i trafficanti umani potrebbero essere drammatiche.Possono però monitorare almeno lo spazio che presidiano e cercare di evitare che i migranti lì presenti diventino carne da tratta. Sembra poco, è moltissimo. E ci riescono anche, gli africani che stanno qui si fidano di questa gioventù poco organizzata ma molto umana che li sta accompagnando nella resistenza, sono pochissimi quelli che non hanno resistito alla voglia di provare anche la strada dei passeurs per proseguire il loro viaggio.
Questi ragazzi sudanesi sono tranquilli, aspettano. Molti di loro hanno conosciuto un viaggio di mesi, alcuni di anni, per essere qui, hanno conosciuto la morte dei propri compagni e dei propri cari , hanno visto in faccia la propria. Che cosa possono mai essere due mesi tra scogli e pinete, dopo quello che hanno passato?
E’ una notte movimentata quella che ci capita di osservare, non è rara qui alla frontiera, anche se nessuno parla più di Ventimiglia e di cosa sta accadendo su questo confine tra due Stati che è anche il confine tra il coraggio e la paura, tra la difesa di un diritto e la sua negazione, tra un ‘noi’ e ‘loro’ che diventa in questo luogo non l’affermazione di un bianco contro un nero ma tra un popolo umano e il potere che ne imbriglia la possibilità di realizzazione.
Verso le 8 del mattino al Presidio si organizzano per andare a recuperare i compagni in stazione di polizia. Li vediamo tornare stanchi, arrabbiati, scossi dall’esperienza fatta e dalle conseguenze personali che ha riportato. Eppure sono anche contenti. Contenti di esserci stati, di aver mandato il saluto agli africani bloccati dicendo loro che le frontiere bloccano i corpi ma non potranno fermare la volontà di continuare a scardinarle né la solidarietà di chi frontiere non ne riconosce al diritto umano di cercare altre e migliori condizioni di vita.
Abbiamo passato un giorno al confine di Ventimiglia e ci siamo resi conto ancora una volta di come la storia che ci viene raccontata e quella che NON ci viene raccontata sono diverse da quello che accade davvero.
I media nostrani parlano di Calais quando ci scappa il morto, ultimamente hanno preso a preferire di parlare di quanti migranti vengono recuperati e salvati in mare, di come in Grecia la situazione sia più esplosiva che da noi. Ci raccontano dei nostri governanti che hanno ottenuto risposte dall’Europa e di come continueranno a chiederne di più efficaci.
La narrazione che manca alla fine è sempre la stessa. Che il diritto di libertà di un corpo è stretto dalla coercizione di una regola che lo viola, che il confine è sempre tra la forza di autodeterminarsi e la soperchia di chi imbriglia la libertà di farlo. Non sono elaborazioni teoriche di un giornalismo d’assalto queste. E’ tutto lì, nello scomparto di un treno, nella frontiera invisibile, tra chi passa senza nemmeno essere guardato – come noi- e chi non passa. Tra chi pensa che la repressione di un movimento sia anche la repressione dello slancio a farlo e chi sa, sente, vede, che non c’è proibizione o violenza che tengano di fronte alla voglia di essere liberi.

Fonte: Caratteri liberi

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