La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

martedì 18 agosto 2015

Tagliare la spesa pubblica?

Intervista a Giulio Sapelli di Fabio Veronica Forcella
«Non siamo sulla strada giu­sta», dichiara l’economista Giu­lio Sapelli, pro­fes­sore ordi­na­rio di eco­no­mia poli­tica alla Sta­tale di Milano, com­men­tando i dati pub­bli­cati dall’Istat sulla cre­scita dello 0,2% del Pil nel secondo tri­me­stre. «Biso­gna detas­sare il lavoro e le imprese per creare più occu­pa­zione e avere più corag­gio nel tagliare le ren­dite di posi­zione», sostiene Sapelli, ricor­dando, allo stesso tempo, che la spesa pub­blica ita­liana é infe­riore a quella di Fran­cia e Germania.
Pro­fes­sore, siamo “sulla strada giu­sta”, come dice il governo o anche lei vede il bic­chiere quasi vuoto?
"Non siamo sulla strada giu­sta. Peral­tro, l’andamento dell’economia mon­diale va verso una colos­sale fre­nata. L’unico dato in con­tro­ten­denza, gra­zie a una poli­tica mone­ta­ria e – di fatto – ad una poli­tica di ritorno dell’intervento dello stato in eco­no­mia, sono gli Stati uniti. E soprat­tutto è cla­mo­ro­sa­mente fal­lito in tutto il mondo il modello di svi­luppo fon­dato sulla pre­va­lenza delle espor­ta­zioni. Non è un caso che gli Stati uniti cre­scano, per­ché è un paese che esporta solo il 10% del suo Pil e punta tutto sulla domanda interna."
È rea­li­stico l’obiettivo di uno 0,7% di Pil per il 2015, come fis­sato “pru­den­zial­mente” dal governo Renzi?
"Mi auguro di sì. Ma un capo di governo dovrebbe pre­sen­tare ai cit­ta­dini un pro­gramma per cre­scere almeno di 2–3 punti nei pros­simi anni. Forse si arri­verà anche allo 0,7% gra­zie ad alcune misure che cer­cano di ridare fidu­cia alla gente e che sosten­gono un leg­gero aumento della domanda interna. Ma ci vuole più corag­gio. Biso­gna cam­biare rotta."
Verso quale direzione?
"Biso­gna detas­sare. Siamo, dopo i paesi scan­di­navi, il paese con la più alta tas­sa­zione sul lavoro e sui red­diti d’impresa. Se non si fa pro­fitto non si fa pro­du­zione e non si crea occu­pa­zione. E, se non si crea occu­pa­zione non riparte la domanda interna."
Una cosa è certa, con gli “zero vir­gola” non si crea lavoro.
"Asso­lu­ta­mente no. Non si crea nulla in ter­mini di occu­pa­zione. Ricor­dia­moci sem­pre che in 15 anni abbiamo perso 20 punti di Pil. Abbiamo distrutto domanda effet­tiva che signi­fica fab­bri­che chiuse e disoccupazione."
Di quali misure ci sarebbe bisogno?
"Sarebbe impor­tante agire sui costi stan­dard di cui si parla da anni. Ma c’è una resi­stenza for­tis­sima da tutta quella parte di impren­di­to­ria­lità assi­stita ancora molto forte soprat­tutto nel Mez­zo­giorno, ma non solo. Ven­dere tutto quel patri­mo­nio dello stato che non genera pro­fitto, ma che garan­ti­sce solo ren­dite buro­cra­ti­che. Non si è mai riu­sciti a farlo vera­mente a causa delle for­tis­sime resi­stenze dell’alta buro­cra­zia dello stato. Il governo dovrebbe fare con più corag­gio la Spen­ding review senza però tagliare la spesa pub­blica. Noi abbiamo la spesa pub­blica tra le più basse d’Europa, visto che sia Fran­cia che Ger­ma­nia hanno più dipen­denti pub­blici di noi. Infine, per­ché man­te­nere l’autonomia delle regioni a sta­tuto spe­ciale? È vero che il Tren­tino Alto-Adige non è la Sici­lia, ma in entrambe ci sono troppe spese inutili."
Quanto della debole ripresa può essere adde­bi­tato alla miope poli­tica euro-tedesca?
"La poli­tica deflat­tiva e fon­data sul sur­plus del com­mer­cio estero e sull’annichilimento della domanda interna dei paesi del Sud e il loro inde­bi­ta­mento è la causa prima della crisi, non solo dell’Italia, ma dell’Europa. È ormai chiaro il domi­nio che la Ger­ma­nia eser­cita senza rite­gno sull’Europa, con dichia­ra­zioni arro­ganti, con l’occupazione di tutti i posti tec­no­cra­tici di livello – salvo la Bce – per­ché gli ame­ri­cani l’hanno affi­data a un loro impor­tante rap­pre­sen­tante Mario Draghi."
Gli indi­ca­tori segna­lano pro­blemi in Fran­cia e in Fin­lan­dia. Anche la loco­mo­tiva tede­sca comin­cia a ral­len­tare, segno ine­qui­vo­ca­bile del fal­li­mento dell’austerity?
"Era­vamo in molti a dire, in tempi non sospetti, che la crisi avrebbe col­pito anche la Ger­ma­nia. Le famose riforme Schrö­der, tanto magni­fi­cate, sono state riforme sui­cide per­ché hanno sol­le­vato l’economia tede­sca nel breve periodo, ma adesso si ritor­cono con­tro il paese. Un terzo del lavo­ra­tori della Ger­ma­nia gua­da­gna 800 euro,mentre prima una forza dei tede­schi era pro­prio il loro mer­cato interno. Oggi, al con­tra­rio, scom­met­tono tutto sulle espor­ta­zioni che val­gono il 39% del Pil. Eppure anche loro vedono la cre­scita che si sta fer­mando, il calo della domanda interna, men­tre il debito pub­blico aumenta. Le riforme Schrö­der con la fles­si­bi­liz­za­zione del mer­cato del lavoro non con­sen­tono più di creare capi­tale umano e non è un caso che la pro­dut­ti­vità del lavoro stia calando in tutto il mondo."
Sono anni che eco­no­mi­sti e socio­logi di tutto il mondo si inter­ro­gano sul Pil e sulla sua reale capa­cità di misu­rare la ric­chezza e il benes­sere di un paese. Crede anche lei sia ormai un indi­ca­tore obsoleto?
"È ancora valido, ma non è più suf­fi­ciente. Vor­rei tanto, però, che prima di pen­sare a un nuovo indi­ca­tore, si tor­nasse ad un idea di eco­no­mia giu­sta: non è quella che fa solo pro­fitti per gli azio­ni­sti, ma quella che fa piena occupazione."

Fonte: Il manifesto

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