La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 18 novembre 2015

La nuova linfa vitale dell’América Latina

di Paco Martinez
Tracciare le coordinate di un bilancio, seppur approssimativo, delle Sinistre del XXI secolo in America Latina è compito complicato, considerando che ogni esperienza nazionale – da quella più o meno “socialdemocratica” a quelle del Socialismo del XXI Secolo – sfugge a categorie definitive. Fatto sta che da più parti si tenta, anche da sinistra, di capire se questo “ciclo” stia volgendo al termine, o se invece si possa aprire una nuova fase di trasformazione sulla scorta di ciò che di rivoluzionario ed irreversibile quelle esperienze hanno portato dopo decenni di neoliberismo, autoritarismo, ingerenza statunitense, strapotere delle imprese multinazionali e delle élite. Parlare di America Latina presuppone apertura all’analisi ed alla critica costruttiva, piuttosto che ideologia. [2]
Assumere la complessità significa poi considerare che le dinamiche attuali sfuggono alla tradizionale contrapposizione tra rivoluzione e restaurazione guidata o meno da dagli interessi geopolitici di Washington. Certo sussistono importanti ingerenze degli States , ad esempio in Centroamerica, regione quasi del tutto caratterizzata dal confitto permanente in Messico. O nella spinta alla costruzione dell’Alleanza del Pacifico.
O nelle sanzioni e nell”executive order” di Barack Obama che definisce il Venezuela come pericolo per la sicurezza, in un irrigidimento parallelo all’apertura verso Cuba, che indubbiamente rappresenta una svolta storica. Che ciò possa poi all’abolizione dell’embargo illegale dipenderà dalla capacità di Obama di far tesoro degli scampoli del suo mandato presidenziale, o di lasciare questo percorso da compiere nelle mani del suo successore.
Oggi più che il Pentagono o la CIA sono principalmente i mercati globali, la finanza globale e le élite economico-finanziarie di riferimento ad influenzare i processi politici in America Latina. Basti pensare al caso della vertenza giudiziaria in corso tra fondo EMC del miliardario Paul Singer (per inciso il principale finanziatore del partito repubblicano negli States) ed il governo Kirchner in Argentina, nella quale un tribunale negli Stati Uniti ha ingiunto all’Argentina il pagamento di 1,7 miliardi di dollari come liquidazione di titoli di credito acquistati a suo tempo da EMC sui mercati secondari. Buenos Aires giustamente non paga, ma ciò impedisce all’Argentina di accedere ai mercati finanziari internazionali, con gravi conseguenze per la tenuta economica del paese. Un altro duro colpo per Cristina Kirchner, a pochi mesi dalle elezioni.
Eppoi gli effetti – attuali e futuri – del crollo del prezzo del petrolio su economie centrate sulla monocultura petrolifera (Ecuador, Bolivia ed in minore misura Venezuela, dove la fase di crisi è dovuta anche alle ricadute delle sanzioni USA, la recrudescenza di tentativi di destabilizzazione, e la penuria – “pilotata” dalle opposizioni – di beni di prima necessità) o lo sfruttamento intensivo di altre materie prime. A ciò si aggiunge la crisi della Cina , cruciale partner commerciale ed industriale e pilastro centrale nelle politiche di integrazione alternative in America Latina. Altra traccia di lettura potrebbe essere la contrapposizione/relazione tra “alto” e basso”, ossia la capacità di movimenti sociali ed indigeni di operare una critica radicale ai processi di accumulazione di potere politico e economico nelle mani di élites vecchie e nuove, reazionarie, oligarchiche o supposte rivoluzionarie.
Per fare un esempio torniamo a Cuba. Il giorno 30 dicembre 2014 in Plaza de la Revoluciòn all’Avana l’artista Tania Bruguera aveva convocato una performance per sottolineare la necessità di aprire un dibattito pubblico sul nuovo corso a Cuba. Nella sua lettera aperta a Raul Castro, al Papa ed a Barack Obama, la Bruguera proponeva il coinvolgimento della popolazione cubana, per evitare un’accettazione a priori del paradigma economico di mercato e l’integrazione di Cuba nelle dinamiche del mercato capitalista globale. Nelle parole del critico d’arte messicano Cuahtemoc Medina l’intenzione era di “trasformare un processo ulteriore di espropriazione neoliberista, la cosidetta “normalizzazione” delle relazioni tra Cuba e Stati Uniti, in un appello a far valere una rivoluzione cittadina all’interno della rivoluzione cubana”, in poche parole, “socializzare il socialismo”. [3]
La performance non ebbe mai luogo, e la Bruguera venne dapprima messa agli arresti domiciliari e poi liberata. Questo episodio, al di là del carattere performativo proprio dell’arte contemporanea della cosiddetta “socially engaged” art – che in America Latina ha tra i suoi più validi esponenti – offre spunti utili di riflessione. Anzitutto andrà chiarita la misura in cui i processi di riappropriazione dal basso dello spazio pubblico, spesso rischiano di diventare ambivalenti, a volte ambigui. Troppe volte accanto a forze progressiste e movimenti sociali si manifesta la presenza opportunistica di forze reazionarie, oligarchiche e di destra.
Ciò comporta la doppia sfida di contrastare la destra e le sue pulsioni “golpiste” o reazionarie ed alimentare il protagonismo di soggetti sociali, movimenti e realtà progressiste che non necessariamente coincidono con il discorso “oficialista” , ma che hanno contribuito non poco all’avvento di governi progressisti e potranno contribuire in maniera determinante alla continuazione di quei processi di liberazione ed emancipazione. Agitare lo spauracchio della destra, seppur legittimato dall’evidente tentativo spesso eterodiretto di scalzare i governi progressisti (ad esempio in Venezuela), rischia di essere strumentalizzato per mettere a tacere qualsiasi forma di dissenso da “sinistra”. Interessante a tal riguardo lo scambio epistolare tra il vicepresidente della Bolivia Garcia Linera ed un gruppo di intellettuali di sinistra tra cui Buenaventura de Souza Santos, Alberto Acosta, Raul Zibechi, cofirmatari assieme alla sociologa di sinistra argentina Maristela Svampa di una lettera di protesta riguardo la decisione del governo boliviano di chiudere di autorità alcune ONG di sinistra nel paese.
Alla risposta di Garcia Linera, la Svampa replica che l’accusa rituale secondo la quale le ONG critiche nei confronti delle politiche estrattiviste e sviluppiste del governo siano da considerare come braccio della destra reazionaria, servirebbe solo ad occultare il vero problema, quello del modello di sviluppo, che in Bolivia sembra ormai assai lontano da quei diritti della Madre Terra sanciti a livello costituzionale.[4] Una faglia aperta con la scelta di aprire una autostrada parco del Tipnis, uno spartiacque nella storia recente della sinistra in Bolivia, come la mossa di Correa in Ecuador di delegittimare la “consulta popular” convocata dal movimento degli Yasunidos per la protezione del parco Yasuni dall’estrazione petrolifera, o la diga di Belo Monte in Brasile o la decisione del governo di Ortega in Nicaragua di aprire un canale parallelo al canale di Panama.
Che chi si opponga a questi megaprogetti, all’espansione dell’agribusiness o ad accordi di libero scambio firmati a vantaggio delle élite economiche e commerciali di sempre sia al soldo della destra e delle elite imprendtoriali è tutto da dimostrare. Certo è che accanto alla sinistra “oficialista” del XXI secolo si è andata affermando, come dimostrano anche le recenti mobilitazioni in Ecuador, una sinistra di base, popolare, ecologista, indigena e contadina che invece di essere considerata come “linfa vitale” viene dalla stessa sinistra “oficialista” bollata come golpista o al soldo della destra e spesso anche trattata con linguaggi e modalità neocoloniali, Non è un caso che in vari settori del pensiero critico di sinistra in America Latina, si pensi all’opera di Anibal Quijano [5], spesso si parla della necessità di “decolonizzare” il potere.
Piuttosto che adottare le categorie di destra e sinistra sarà quindi urgente affrontare il tema della “colonialidad” e decolonizzazione del potere per una trasformazione radicale delle vecchie strutture economiche, politiche e sociali. Strutture che, a parte l’eccezione del Venezuela o di Cuba, sono state in minima parte intaccate. Ad esempio in Brasile l’alleanza tra governo e interessi di élite industriali vecchie o nuove è resa possibile dal sistema elettorale che permette alle imprese di finanziare i propri candidati. Non a caso le 10 maggiori imprese brasiliane hanno eletto il 70 per cento del Parlamento [6].
Questa convergenza di obiettivi si traduce in programmi neoliberisti, quali Agenda Brasil. [7] Il Brasile è oggi in preda ad una crisi economica, sociale, politica grave, non solo riconducibile alle mobilitazioni a seguito dei gravi scandali di corruzione che avevano dapprima colpito ministri del governo Rousseff ed ora rischiano di travolgere lei e l’ex Presidente Lula. In realtà il gigante brasiliano è attraversato anche da una profonda crisi economica, con stagnazione della crescita industriale, aumento della disoccupazione e da una crisi sociale di rappresentanza. Nelle grandi città questa si manifesta con la mancanza di accesso alla casa, ai servizi pubblici, aumento della violenza della polizia verso i giovani delle periferie e dellefavelas, e la difficoltà dei giovani “scolarizzati” di poter accedere agli studi universitari.
La risposta dei movimenti sociali è quella di una “costituente dal basso” per cercare di ricostruire una trama di azione politica ed uno spazio pubblico e di cittadinanza, contrastando i tentativi delle destre. L’altra è la crisi del modello estrattivista di sfruttamento ed esportazione di risorse naturali e costruzione di grandi infrastrutture, e che non porta con sé una logica di redistribuzione dei profitti ed accentua invece le ancora esistenti diseguaglianze nelle periferie del paese. Il leader del Movimento dei Sem terra Joao Pedro Stedile, non usa mezzi termini nel definire la questione: “Il neosviluppismo si è esaurito”. [8]
In Cile i ripetuti scandali di corruzione hanno portato la presidente Bachelet a costituire un nuovo governo, mentre la “longa manus” delle forze armate riaffiora continuamente nel dibattito pubblico nel paese, a dimostrazione della persistenza di strutture e centri di interesse mai messi in discussione. L’esclusione di un’ampia fetta della popolazione dall’economia ha poi contribuito alla perdita di legittimità del sistema politico. Il tema degli indigeni Mapuche e della loro marginalità ed esclusione è poi lì a dimostrare come anche in Cile la sinistra oltre a non smarcarsi dall’imperativo sviluppista, fatica ad assumere una prospettiva “decolonizzata”.
Il movimento inizialmente studentesco chiedeva accesso all’educazione gratuita ed universale, per poi allargare la piattaforma al welfare ed alla sanità pubblica e poi in supporto ad una totale revisione dello stato, attraverso una Assemblea Costituente, cosa che Michelle Bachelet cerca di evitare, sostenendo invece in alternativa una strategia più interna alle istituzioni, ed un percorso “parlamentare” per la stesura della nuova costituzione. [9] Tutto ciò autorizza ad affermare che la sinistra latinoamericana è alla fine di un ciclo? O ad imputare sempre e comunque questa crisi e le mobilitazioni che ne seguono, al furore reazionario delle destre oligarchiche o di mandanti a stelle e strisce? O a cercare in tale crisi tracce di una vera crisi di paradigma? Indubbiamente, come spiega Immanuel Wallerstein [10], esistono ormai due sinistre in America Latina, quella che ha usato il potere per modernizzare lo stato e l’economia ed entrare in competizione con le economie del cosiddetto Nord, e quelle sinistre “popolari”, che anche grazie alla “contaminazione” dei movimenti indigeni oggi iniziano a promuovere un approccio diverso basato sul Buen Vivir, che va ben al di là del riconoscimento formale fatto in alcune costituzioni quali quella bolivariana e quella ecuadoriana.
Più che interrogarsi però sull’eventualità che i governi di sinistra si stiano spostando a destra o più in generale accontentarsi di usare i termini di destra e sinistra intesi in maniera tradizionale e forse anche troppo eurocentrica, sarà urgente definire nuovi codici di lettura. Tra questi emerge la contraddizione nella quale si sono trovati i vari governi di sinistra in America Latina, tra dovere storico di “restituire” un debito sociale storico a milioni di poveri ed “esclusi” ed accumulazione di debito ecologico per queste generazioni e quelle a venire. E’ l’elemento ecologico che irrompe e delinea una nuova chiave di lettura dei processi in corso nei paesi del “socialismo del XXI Secolo” [11], e che porta molti osservatori , quali Francois Houtart [12], ad affermare che se da una parte molti di questi governi sono riusciti a disfarsi dell’armamentario neoliberista dall’altra non hanno ancora superato il capitalismo (seguito in questo anche da David Harvey [13]) , che nella sua fase “estrattivista”, trasforma le risorse naturali in merci da immettere nei mercati globali. (neanche l’Uruguay di Pepe Mujica ne è uscito indenne).
Pensiamo ad esempio ai processi di integrazione politica continentale, importanti e fondamentali in un nuovo assetto globale centrato sul plurilateralismo, la costruzione di una cittadinanza continentale, ed aggregazioni quali UNASUR, o l’ALBA, o il CELAC. Un processo di emancipazione contrastato da contro-alleanze quali l’Alleanza del Pacifico che mette insieme paesi della costa pacifica dal Cile, al Perù, al Messico alla Colombia in un patto economico, commerciale e politico con Washington, tutta presa dallo di spostamento del “pivot” dei suoi interessi geopolitici e strategici in Asia e nel Pacifico. Accanto all’integrazione politica si affianca quella economica, attraverso l’adozione del “sucre”, ma anche attraverso megaprogetti e programmi di sfruttamento delle risorse minerarie e petrolifere, agroindustria, come ad esempio l’IIRSA (Iniziativa per l’integrazione infrastrutturale del Sudamerica). Obiettivo centrale è quello di immettere nei mercati asiatici ed europei la maggior quantità di risorse naturali primarie possibile, per alimentare la crescita del continente.
Ci si dovrebbe pertanto interrogare se oltre il post-liberismo ed il neo-sviluppismo, esista a sinistra un’alternativa fondata su democrazia reale e radicale, decolonizzazione delle strutture di potere, riconoscimento dei beni comuni, autonomia dei movimenti sociali, autogoverno e riconoscimento del debito ecologico e della giustizia ambientale. Rivendicazioni e proposte già in gran parte diffuse e agite dal “basso” dai movimenti latinoamericani. Piuttosto che parlare quindi di “fin del relato progresista en America Latina” [14] sarà importante definire quali possano essere gli elementi chiave per un approfondimento del processo di liberazione e emancipazione di quei popoli dopo una fase più o meno lunga di rottura con l’ordine precedente. Per quanto riguarda gli aspetti più positivi delle esperienze del socialismo del XXI, ossia la spesa sociale, la rinegoziazione del debito, il recupero di sovranità ed i processi di integrazione regionale, tale rottura è irreversibile.
Oggi i poveri e gli esclusi in America Latina sono tornati al centro dell’agenda politica, a loro è stata restituita dignità, basti pensare al Venezuela, che come sottolinea in un interessante articolo comparso sulla rivista Jacobin, “ha riportato i poveri e gli esclusi al centro dello spazio pubblico.” [15]Se da una parte occorrerà fare fronte comune contro le destre, e contro gli effetti negativi dei mercati e della finanza globale, allo stesso tempo si dovrà lavorare anche sugli elementi portanti di una nuova fase, centrata appunto su “Buen vivir” e democrazia radicale. Ciò presuppone probabilmente il superamento delle pulsioni “populiste” e “neocaudilliste” che caratterizzano buona parte di quelle esperienze, anche in seguito alla mancanza o all’entrata in crisi delle strutture politiche e dei partiti di riferimento. Insomma, quello stesso populismo che secondo Ernesto Laclau è un elemento determinante per l’egemonia dei processi rivoluzionari non rischia forse di ritorcersi contro la sua stessa base popolare?
Resta il fatto che se da un lato senza un netto cambio di passo le sinistre “oficialiste” rischiano di avvitarsi in una crisi senza via d’uscita, dall’altro i popoli dell’America Latina hanno segnato un cambiamento dal quale non si potrà tornare indietro e che sopravviverà alle sorti dei governanti di ora e di domani. Il punto semmai non sarà il rischio di tornare indietro nella storia, ma di affrontare un domani che risponda alle aspettative e le aspirazioni di giustizia di interi popoli. Nelle parole di Blanca Chancosa leader indigena ecuadoriana in una lettera nella quale respinge duramente le accuse di Evo Morales di connivenza con la destra reazionaria: “Caro Evo, i presidenti passano noi indigeni rimaniamo e rimarremo, nella speranza di poterci un giorno reincontrare”.[16]

Articolo pubblicato anche su Alternative per il Socialismo

[1] While we progressives in the West often apply the most rigorous scrutiny in or judgments of ruling social democratic parties in our countries, political realities in Bolivia and other Latin American countries are too often idealized, not only because of lack of information, but also because we desire beacons of hope – this may lead to false conclusions, wrong strategies and misguided solidarity campaigns among the Left”. “Bolivian authoritarianism: not just a right-wing charge” by ROAR Collective on November 3, 2014 – http://roarmag.org/2014/11/bolivia-authoritarianism-mas-elections/

[2] Polis 39 (2014) Soledad Stoessel – Giro a la izquierda en la América Latina del siglo XXI. – Revisitando los debates académicos – http://polis.revues.org/10453

[3] https://cuauhmedina.wordpress.com/2014/12/29/yotambienexijo-la-socializacion-del-socialismo-y-la-exigencia-de-recuperar-el-ser-politico/

[4] http://www.pueblosencamino.org/index.php/joomla-stuff-mainmenu-26/search-mainmenu-5/1440-poco-serio-decir-que-fuimos-enganados-maristella-svampa-responde-a-garcia-linera

[5] http://www.vientosur.info/IMG/pdf/VS122_A_Quijano_Bienvivir—.pdf

[6] Raul Zibechi, “Il Brasile che verrà”, http://comune-info.net/2015/03/il-brasile-che-verra/

[7] http://congressoemfoco.uol.com.br/noticias/entidade-divulga-manifesto-contra-a-agenda-brasil/

[8] lalineadefuego.info julio 14, 2015 “EL NEODESARROLLISMO SE AGOTÓ”: João Pedro Stedile

[9] www.opendemocracy.net /cristobal-escobar/social-movement-in-chile-and-call-for-constitutionalassembly

Cristobal Escobar

[10] http://iwallerstein.com/the-latin-american-left-moves-rightward/

[11] “La nueva gran transformaciòn” , Raúl Zibechi , 24 de Julio 2015, http://www.jornada.unam.mx/2015/07/24/opinion/017a1pol

[12] www.opendemocracy.net /fran%C3%A7ois-houtart/citizen-revolutions-in-latin-america

[13]http://marxismocritico.com/2015/08/31/la-izquierda-olvido-ser-anticapitalista/

[14] “Is this the end of the Latin American 21st century socialisms?” opendemocracy.net /democraciaabierta/jorge-le%C3%B3n-t/is-this-end-of-latin-american-21stcentury-socialisms. Jorge León T.

http://kaosenlared.net/el-fin-del-relato-progresista-en-america-latina/

[15] https://www.jacobinmag.com/2014/10/invisible-no-more/

[16] http://www.pueblosencamino.org/index.php/joomla-stuff-mainmenu-26/search-mainmenu-5/1442-blanca-chancosa-responde-a-evo-morales

Fonte: comune-info.net 

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