di Alessandro Dal Lago
In un vecchio film di guerra, alcuni soldati in trincea discutono di pace. Il modo migliore per ottenerla — dice uno — è , in caso di controversie tra gli stati, obbligare re e capi di governo a salire con i guantoni sul ring e suonarsele di santa ragione finché uno non vince.
La battuta mi è tornata in mente quando ho letto del piano segreto, elaborato dai ministri degli interni dell’Unione europea, per il rimpatrio di 400.000 migranti «economici».
Giusto per dare un’idea a questi pensosi statisti di che cosa significhi migrare oggi si potrebbe, che so, portarli (a cominciare dall’ineffabile onorevole Alfano) in qualche paese del centro Africa e poi, con un po’ di dollari o Euro raccolti tra altri ministri e sotto-segretari, trasportarli in autobus in Libia, imbarcarli su un gommone , farli rischiare il naufragio e arrivare fradici e affamati a Lampedusa, rinchiuderli nel Cie e, dopo una detenzione di durata indefinita, riportarli al punto di partenza. E chiedere loro: la pensate come prima? Avete ancora voglia di distinguere tra profughi e migranti economici? Non sarebbe il caso di rivedere questa distinzione ipocrita, utile solo per manipolare opinioni pubbliche paranoiche e destrorse? In un sogno o in un film, in caso di risposta sbagliata si potrebbe ricominciare con loro daccapo…
Quando Angela Merkel e il vice-cancelliere tedesco Gabriel hanno dichiarato, nello scorso agosto, di aprire le porte della Germania a 5 milioni di profughi, hanno realizzato un buon numero di obiettivi: rispondere a un’opinione pubblica tedesca complessivamente non insensibile agli Asylanten presenti e futuri, nonostante la rumorosa presenza del partito xenofobo Pegida e dei neo-nazisti, isolare le frange di estrema destra e, di fatto, assumere la guida politico-morale di un’Europa fragile, litigiosa e incerta sul da farsi in campo internazionale. Ovviamente, considerazioni demografiche e finanziarie, in un paese in cui non nascono più bambini, devono avere avuto il loro peso, ma sta di fatto che l’odiosa Germania della crisi greca è diventata la nobile Germania d’agosto, non offuscata nemmeno dalla crisi della Volkswagen.
Ma tutto questo ha come contrappeso la distinzione tra profughi (vittime di guerra ecc.) e migranti economici, i quali affronterebbero deserti e mari, per non parlare di prigioni ungheresi e manganelli di mezza Europa, così, per sport o sete d’avventura, e non per sopravvivere o vivere meglio.
Una distinzione insensata, che non riesce a mascherare l’assoluta mancanza di una strategia europea nei rapporti con gli altri mondi e con le persone che per qualsiasi ragione ne provengono. Una distinzione che serve a tacitare le strumentalizzazioni lepeniste, leghiste e di Grillo (che sul suo blog ha pubblicato tempo fa un encomio di Orbán). In termini puramente quantitativi, 3 milioni di migranti «economici» in dieci anni non cambierebbero in nulla l’assetto demografico di una Ue che conta oggi 500 milioni di abitanti distribuiti su 4 milioni di chilometri quadrati.
Ma bisognerebbe cambiare metodo, emarginare sul serio gli Orban, i Salvini e Le Pen, impedire le stragi in mare, che continuano imperterrite alla faccia di Frontex, immaginare un’integrazione sociale decente per gli stranieri e disporre di una vera politica internazionale comune – invece che manganellare i migranti a Ventimiglia e Calais, moltiplicare i Cie e litigare in modo miserabile alle frontiere.
Ed ecco perché i ministri degli Interni, riuniti da qualche parte a stilare piani segreti di espulsione lasciano filtrare cifre prive di qualsiasi senso (400.000, 300.000, nessuno, tutti?).
Per coprire la loro mancanza di idee, che non siano lo sfruttamento della forza lavoro straniera e le preoccupazioni per le prossime elezioni. Nel frattempo, la ministra Pinotti e Matteo Renzi, che su queste materie non hanno mai nulla da dire, fanno scaldare i motori dei Tornado.
Fonte: il manifesto
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