di Peppe De Cristofaro
La fine delle ideologie, la politica post-ideologica. È questo il ritornello che con ritmo sempre più incalzante sentiamo ripetere da molti politici e giornalisti, nella convinzione che questo sia il senso ultimo della modernità, dell'essere contemporanei, in sintonia con il presente e con l'elettorato. E con la conseguenza, quasi fisiologica, che il superamento delle ideologie sia il passepartout per rendere digeribile e onorevole qualsiasi scelta e decisione, anche la più improponibile.
Si può discutere a lungo, ovviamente, sul valore che oggi può avere una parola come "Sinistra", ma poi al di là dei nomi le differenze ritornano evidenti nelle decisioni che ciascuno prende e le distanze restano intatte fra chi vuole, ad esempio, una politica estera improntata all'interventismo o al pacifismo, fra chi vorrebbe più tasse sulle rendite e chi preferisce colpire all'infinito il mondo del lavoro, fra chi vede nell'immigrazione una risorsa e chi li vuole "tutti a casa", fra chi confonde il Parlamento con un mercato e chi come Pietro Ingrao ha visto nella coerenza e nella trasparenza dei comportamenti il presupposto imprescindibile di dignità civica e politica.
È per queste ragioni che non mi rassegno all'immagine dell'abbraccio fra Denis Verdini e i suoi sodali ex berlusconiani e cosentiniani, con il Partito democratico. E non voglio tacere, malgrado (in termini strettamente elettorali) il mio partito potrebbe ricavare dei vantaggi da questo cortocircuito trasformista. Non so quanti italiani si definiscano ancora oggi di Sinistra, ma sono convinto che siano ancora in tanti a credere nelle differenze (e nella distanza) tra una Destra e una Sinistra. E se molti hanno avuto interesse a rinnegare i valori della Sinistra, cambiando la natura del partito che di quel mondo era prima espressione, molte altre persone sono ancora lì, con le proprie convinzioni e una storia personale che si rinnova ogni giorno nelle scelte che ognuno di noi prende.
Il Partito democratico e il premier Renzi hanno tutto il diritto di riformare l'assetto istituzionale coinvolgendo tutte le forze presenti in Parlamento. Ma ciò non sta avvenendo, visto che si sta procedendo con votazioni a colpi di maggioranza, senza tener conto delle proposte delle opposizioni. Scegliendo, invece, di individuare come unico ed esclusivo interlocutore colui che fino a ieri era il braccio destro di Silvio Berlusconi.
Da una parte c'è la democrazia, dall'altro un consociativismo che rischia unicamente di allargare ulteriormente quella fascia di cittadini che - sfiduciati, avviliti e disorientati - sceglie semplicemente di non votare.
E per chi è stato comunista, democratico, ulivista, riformista, il punto di approdo nella fine delle ideologie rischia di diventare una disponibilità priva di pudore e un'indistinta sete di potere.
Fonte: Huffington post
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