di Franco Astengo
La comunità internazionale si trova davvero di fronte all’interrogativo “principe” dello scegliere tra la pace e la guerra?
Sarà la guerra il punto di saldatura della fase contraddistinta dalla competizione globalizzata e dal riemergere del contrasto tra potenze dopo il periodo post-blocchi caratterizzato dalla presenza (e dall’arroganza bellica) di un solo “gendarme del mondo”?
Un “gendarme” che dopo aver appiccato il fuoco in aree strategiche soprattutto per l’approvvigionamento di energia per un modello economico super-vorace e in via di trasformazione nel senso della crescita dei meccanismi di finanziarizzazione ha completamente fallito la linea della “esportazione della democrazia” attraverso i carri armati.
Da quel momento sono cresciuti gli squilibri, esaltata la risposta terroristica trasformatasi addirittura in ricerca di spazio vitale per l’espressione politica dei fondamentalismi, rinnovate ambizioni coloniali da parte di medie potenze.
Nel frattempo si è esaurita la spinta dei paesi emergenti raccolti nei BRICS, si è avviata una pesante ristrutturazione del modello capitalistico cinese, sono riemerse le ambizioni imperiali della Russia, l’Europa si è ridotta sempre più ad un ruolo subalterno di “nano politico”.
Siamo arrivati al punto in cui appare evidente una ricostruzione (di nuovo conio) del bipolarismo tra le due potenze imperiali arrivate a diretto confronto in Ucraina e con le manovre NATO svoltesi fronteggiando analoghe operazioni della marina russa sul fronte del Baltico.
Adesso la vicenda siriana pone fianco a fianco, sul piano operativo, i bombardieri russi e quelli americani che agiscono però con fini diversi se non opposti come dimostrano le statistiche riguardanti i bersagli colpiti, in una guerra il cui esito in questo momento è quello di mettere in fuga centinaia di migliaia di persone (c’è chi ne prevede tre milioni) dal teatro siriano verso un’Europa impreparata e impaurita.
Naturalmente i punti più caldi dello scacchiere medio orientale e nord africano restano del tutto irrisolti: dall’Iraq alla tragedia palestinese fino agli stati delle fallite “primavere arabe”.
Un quadro di grande complessità e di difficile interpretazione che rimanda all’interrogativo di partenza: è possibile una guerra globale e con quali schieramenti in campo?
La possibilità di una guerra di vasta portata, in verità, ci sono tutte anche perché sembra proprio smarrita, sia a livello di governi sia di forze politiche un’idea di “filosofia della pace”.
Un segnale molto negativo ci viene dall’Italia: laddove riemergono, da parte del governo, spinte nazionaliste – belliciste ben sostenute e orchestrate anche da una parte della stampa che dimostra (si veda l’articolo di Venturini apparso sul Corriere della Sera del 7 Ottobre) una sicumera interventista messa in mostra con la scusa dell’osservanza dei patti sottoscritti (torna, a questo punto, per una sinistra degna di tal nome il tema della NATO ma l’economia di questo discorso ci porterebbe nell’occasione troppo lontano).
Il “Corriere della Sera”, l’antico epigono delle “radiose giornate di Maggio” del 1915, tanto per fare un esempio storico a dimostrazione che quando l’Italia si muove sull’onda di ambizioni interventiste sono guai per tutti.
Chiusa la parentesi riguardante l’Italia è il caso di tornare all’assenza di una filosofia della pace da ritrovare nelle opzioni politiche delle forze che tradizionalmente dovrebbe muoversi in una determinata ottica, coltivando la prospettiva del rifiuto della guerra.
La possibilità a disposizione di questo intervento è soltanto quella di indicare il pericolo immanente giudicandolo reale.
Dal punto di vista del contributo possibile a una ripresa – appunto – della “filosofia della pace” non si è in grado di far di meglio che ritrovare una citazione “classica”, allo scopo di far intendere come in passato fosse stato affrontato ai massimi livelli e sia pure in una dimensione utopica proprio il tema della pace.
Si riporta allora di seguito, per concludere un brano di Immanuel Kant tratto da “Per la Pace perpetua” (edizione del 2006, a cura di Nicolao Merker, editori Riuniti, Roma).
Il brano riporta il primo articolo definitivo per la pace perpetua, la costituzione civile dello stato dovrà essere repubblicana perché, argomenta Kant, solo una costituzione fondata sui principi della libertà dei suoi membri, sulla dipendenza da un’unica legge comune e sull’eguaglianza di tutti può dirsi fondata sulla fonte stessa del diritto, cioè il contratto originario tra cittadini da cui deriva ogni legislazione.
La lettura di questo passaggio kantiano, suscita oggi un altro interrogativo di fondo: è ancora possibile basarsi su di un “contratto” oppure la regressione morale e giuridica in atto ci sta riportando di colpo allo stadio del “homo homini lupus” senza che sia possibile costruire il Leviatano capace di regolare gli istinti che pure vediamo in opera ai nostri giorni in forma sempre più incontrollata e del quale siamo succubi e dipendenti?
Il capoverso finale, poi, è assolutamente illuminante al riguardo dell’attualità, sia per quel che riguarda l’Europa (il sovrano non fa parte dello Stato), sia l’Italia (difesa della democrazia repubblicana, dalla quale si sta uscendo per favorire la formazione di un irresponsabile potere personale di tipo autoritario, non bilanciato dal parlamento che sarà eletto da una legge liberticida, attraverso la quale una minoranza si assicurerà un potere assoluto e non contrastato).
La china verso la quale si sta indirizzando la “questione democratica” in Italia è stata confermata anche dalla votazione sull’articolo 17 della legge di modifica della elettività, composizione, competenze del Senato. Articolo che riguarda la dichiarazione di guerra da parte del Parlamento che potrà essere possibile, grazie ad un accordo trasversale tra PD e Forza Italia soltanto con la maggioranza assoluta dei presenti e non dei componenti l’assemblea (quindi potenzialmente una minoranza potrebbe dichiarare guerra: un esempio concreto del clima che si sta vivendo su questo delicatissimo argomento).
Tutto questo può avere un esito tragico: la guerra !!
Questo comunque il testo in questione:
“ Lo stato di pace tra uomini assieme conviventi non è affatto uno stato di natura (status naturalis) il quale è piuttosto uno stato di guerra nel senso che, se anche non si ha sempre uno scoppio delle ostilità, è però continua la minaccia ch’esse abbiano a prodursi.
Lo stato di pace deve essere istituito, poiché la mancanza di ostilità non significa ancora sicurezza, e se questa non è garantita da un vicino ad un altro (il che può avvenire soltanto in uno stato legale) questi può trattare come nemico quello a cui tale garanzia abbia richiesto invano.
Primo articolo definitivo per la pace perpetua:
La costituzione civile di ogni Stato deve essere repubblicana.
La costituzione fondata:
1) Sui principi della libertà dei membri di una società (in quanto uomini);
2) Sui principi della dipendenza di tutti da un’unica comune legislazione (in quanto sudditi)
3) Sulla legge dell’eguaglianza di tutti (in quanto cittadini)
E’ la costituzione repubblicana unica costituzione che derivi dall’idea del contratto originario su cui ogni legislazione giuridicamente valida di un popolo deve fondarsi.
Questa costituzione è quindi in sé stessa, per ciò che riguarda il diritto, quella che sta originariamente a fondamento di tutte le specie di costituzioni civili, e v’è solo da domandarsi se essa sia anche l’unica che può condurre alla pace perpetua.
La costituzione repubblicana ora, oltre alla schiettezza della sua origine derivantele dall’essere scaturita dalla pura fonte dell’idea del diritto, presenta anche la prospettiva al fine desiderato, ossia la pace perpetua.
La ragione ne è la seguente: se (come in questa costituzione non può essere altrimenti) è richiesto l’assenso dei cittadini per decidere la guerra debba o non debba venir fatta, nulla è più naturale del fatto che, dovendo decidere di far ricadere su se stessi tutte le calamità della guerra (cioè combattere personalmente, pagarne in proprio le spese, riparare a forza di stenti le rovine che la guerra lascia dietro di sé e da ultimo, per colmo dei mali, assumersi un carico di debiti che renderà dura la pace stessa e a causa di successive sempre nuove guerre non potrà estinguersi) essi rifletteranno a lungo prima di iniziare un così cattivo gioco mentre in una costituzione in cui il suddito non è cittadino e che pertanto non è repubblicana, la guerra è la cosa più facile del mondo perché il sovrano non è membro dello Stato ma ne è il proprietario, nulla ha da rimettere a causa della guerra, dei suoi banchetti, delle sue cacce, delle sue case da diporto, delle sue feste di corte, ecc., può quindi decidere la guerra alla stregua di una specie di partita di piacere, per cause insignificanti, e per salvare le apparenze tranquillamente lasciare al corpo diplomatico, pronto a ciò in ogni tempo, il compito di giustificarla.
Fonte: Contropiano
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