di Jacopo Rosatelli
La recente storia tedesca ed europea può essere fatta cominciare da una data che, ai più, non dice assolutamente nulla: l’11 marzo 1999. È il giorno in cui il ministro tedesco delle finanze, nonché segretario della Spd, Oskar Lafontaine, abbandona all’improvviso ogni incarico dopo appena sei mesi dall’insediamento del nuovo governo della coalizione «rosso-verde» guidata dal cancelliere Gerhard Schröder. Un gesto sul quale Lafontaine non offrì, per molti mesi, alcuna spiegazione.
Ciò che era accaduto fu chiaro poi: all’interno del governo si era consumata una battaglia di potere – la battaglia di potere – che aveva sciolto ogni ambiguità sull’indirizzo politico da seguire. A vincere fu il cancelliere contro il ministro, e cioè la linea che ha condotto all’attuale Europa a predominio germanico: primato dell’export tedesco, riduzione dello stato sociale, austerità. Senza dimenticare le guerre umanitarie (i bombardamenti della Serbia cominciarono meno di due settimane dopo). La «grande coalizione» che governa a Bruxelles e Berlino nacque, di fatto, già allora: Angela Merkel può ben dirsi continuatrice dell’opera del predecessore.
Una sconfitta, non una disfatta
La sconfitta del Lafontaine ministro e leader Spd ha significato la definitiva chiusura di ogni possibilità che la socialdemocrazia europea di inizio secolo assumesse, di concerto con le organizzazioni sindacali, un ruolo di contrasto all’affermazione dell’egemonia liberista internazionale. Toccò al «movimento dei movimenti», fuori e contro le socialdemocrazie, provarci: da Seattle a Porto Alegre, passando per Genova e Firenze. Un movimento che in parte cercò, e talvolta trovò, sponde nelle forze politiche istituzionali «a sinistra della socialdemocrazia». Delle quali è rimasto ben poco in Italia, non così altrove: in particolare, in Germania.
Alla vicenda della sinistra di alternativa nella Repubblica federale Alessandro Somma dedica L’altra faccia della Germania. Sinistra e democrazia economica nelle maglie del neoliberalismo (Derive Approdi, pp. 192, euro 13), un testo assai utile non solo per conoscere meglio le origini del partito Die Linke, ma anche come contrappunto alle diffuse narrazioni apologetiche del cosiddetto «modello tedesco». Una storia, quella del principale partito di opposizione nella Germania della grosse Koalition, che di fatto comincia proprio quell’11 marzo ‘99: una rottura che non significò una disfatta, ma l’inizio di un percorso politico inedito, che portò all’incontro fra i settori critici della Spd e quel partito del socialismo democratico (Pds) erede del partito-stato della Rdt, la cui presenza continuava a limitarsi alla sola Germania orientale. Un incontro tutt’altro facile e senza contraddizioni, come mostra efficacemente l’autore, ma che ha dato i suoi frutti, ponendosi quale voce di quella parte di Paese sacrificata dai governi sull’altare delle «riforme» che hanno «consolidato e sviluppato una politica di redistribuzione delle risorse dal basso verso l’alto».
Fra i meriti del libro illustrare, in modo chiaro e sintetico, il complesso di tali provvedimenti, dalle riduzioni delle aliquote fiscali all’introduzione dei Minijob, dalla drastica riduzione dell’indennità di disoccupazione al nuovo sistema di «reddito di esistenza» fondato su controllo paternalistico e disciplinamento. Ulteriore virtù del saggio sta nel mostrare come al procedere di queste «riforme» si sia intrecciata, fra il 2000 e il 2005, la resistenza dei movimenti anti-liberisti nati su impulso di strutture sindacali, attivisti altermondialisti e militanti socialdemocratici che seguirono Lafontaine: un «mosaico di sinistra» che assunse poi la forma della «Alternativa elettorale Lavoro e Giustizia sociale» (Wasg nella sigla in tedesco), la «gamba occidentale» della Linke, nata formalmente nel giugno 2007.
Un mosaico in movimento
La nuova sinistra tedesca emerge dunque da un ciclo di lotte che, pur non essendo stato in grado di bloccare l’avanzata neoliberista, ha prodotto effetti duraturi: nel sistema politico della Repubblica federale – a est e a ovest – esiste ora un partito che si autodefinisce «socialista», si propone di lottare per «superare tutti i rapporti sociali nei quali persone vengono sfruttate e private dei loro diritti» ed elabora la visione di una «democrazia economica» come alternativa al neoliberalismo. Dando voce a lavoratori e disoccupati, ma anche ai greci in lotta contro le politiche di austerità imposte da Berlino, tenendo viva la consapevolezza circa il ruolo storico che deve assumere una Germania cosciente del proprio debito con il passato. Ben più importante e vincolante dei debiti sovrani contratti dalle classi dirigenti degli stati europei periferici.
Il lavoro di Somma aspira anche a essere, esplicitamente, «un arricchimento del dibattito italiano sulla coalizione sociale» e, più in generale, sulla configurazione della (malconcia) sinistra nel nostro Paese. Conoscere meglio la Linke, le sue radici e il suo presente, la sua dialettica interna, i dibattiti e i conflitti che ne stanno alla base, non può che fare bene: si trova, ad esempio, materiale utile sul rapporto fra movimenti, sindacati, intellettuali e partiti. C’è da sperare che agli attori sulla scena della – spesso desolante – sinistra italiana «a sinistra del Pd» possa interessare fare tesoro delle esperienze di oltre confine, quella tedesca in primis. Qualche dubbio, in proposito, è legittimo.
Fonte: il manifesto
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