di Benedetto Vecchi
Sei parole chiave per accedere alla comprensione del reale. Non alla sua totalità, sia ben chiaro, bensì agli aspetti contraddittori, meglio ambivalenti di un mondo che appare, sostiene la retorica dominante, inintelligibile, perché segnato da una eterna transizione verso un «nuovo» sempre annunciato ma mai davvero divenuto realtà. La rivista «Alfabeta 2» non vuole quindi offrire una interpretazione totalizzante del mondo, ma si propone, appunto, di scegliere campi tematici dove convivono istanze di libertà, ma anche dispositivi — vecchi e nuovi — di oppressione. Per questo ha scelto sei verbi declinati all’infinito per fare incursioni in campi dove si mescolano, oltre alla coppia libertà e oppressione, anche la tensione tra singolare e collettivo. «Amare, Spendere, Giocare, Combattere, Usare e Creare» sono questi i lemmi scelti dalla rivista che andranno a scandire sei puntate televisive che occuperanno una parte del palinsesto serale del canale Rai 5 trasmesso sul digitale terreste (l’inizio è previsto per domenica 11 ottobre, alle 22.30). Le trasmissioni televisive saranno condotte da Andrea Cortellessa, critico letterario e uno degli agit prop di «Alfabeta 2», ma vedranno la partecipazione di gran parte della redazione della rivista, da Nanni Balestrini a Maria Teresa Carbone, Nicolas Martino che intervisteranno filosofi, scrittori, poeti, giornalisti che hanno affrontato, ognuno dal proprio osservatorio, il tema della puntata.
Uno degli elementi che emerge dai materiali — su carta, audio e girati — è che ognuno dei temi può essere scandito dagli altri. Dentro l’amore, infatti, ci si spende, si gioca, si combatte, si usa e si crea. Amare, infatti, significa spendere le proprie energie, il proprio tempo. Ma si gioca, anche, il complesso e sempre avvincente duello dove desiderio, riconoscimento, identità sono le armi indispensabili per quell’incontro con l’altro o l’altra, cioè l’unica misura della propria singolarità. Dunque si può anche combattere, oppure usare l’altro. Oppure creare una relazione, un figlio o una figlia.
E solo un esempio di come ogni termine racchiuda gli altri. L’operazione però non è solo metalinguistica. Gli autori delle puntate voglio anche registrare cosa è cambiato in ognuno dei campi individuati.
Sull’amore il punto di partenza è la crisi della coppia tradizionale, meglio dei tradizionali ruoli che vede un maschio dominante e una donna subalterna. E se Luisa Muraro può illustrare gli effetti di lunga durata dell’affermazione della libertà femminile, Massimo Recalcati non può che registrare e narrare come l’implosione della coppia alterna gioia, ma anche sofferenza. E di come l’amore sia anche una componente del rapporto tra madri e figli e padri e figlio. E se la cronaca non fosse impregnata anche di banalità, un fattore è emerso finalmente dalla clandestinità è che amore non è legato solo alla dimensione eterosessuale, bensì vede protagonisti due maschi o due donne. A parlare di tutto ciò gli scrittori e scrittrici Walter Siti, Aldo Nove, Rossana Campo, Gilda Policastro, oltre i già ricordati Luisa Muraro e Massimo Recalcati.
La puntata sullo «spendere» prende invece atto della pulsione più o meno indotta al consumo. E di come la crisi economica abbia compresso sicuramente i consumi, ma alimentato invece almeno tre vie di fuga dal progressivo impoverimento individuale e collettivo, almeno nel Nord del pianeta. Da una parte, la scelta dell’indebitamento. Per mantenere lo stesso stile di vita, uomini e donne hanno accumulato debiti, facendo delineare all’orizzonte la strana, ricattabile figura dell’«uomo indebitato». Di questo parleranno sicuramente gli economisti Andrea Fumagalli, Lelio Demichelis e la filosofa Elettra Stimilli. L’altra via di fuga sono forme antiche e modernissime di mutuo soccorso. E dalla loro diffusione che la riflessione di Toni Negri parte per affrontare che la crisi mette al centro della scena quel «comune» prodotto da uomini e donne divenuto un rovello politico visto che il potere costituito punta, in una dinamica just in time, a creare le condizioni per una sua espropriazione da parte delle imprese.
La terza puntata, quella sul «giocare», ha una matassa da dipanare molto ingarbugliata. Ci sono molti risvolti, che vanno da chi propone una concezione del lavoro come gioco a chi guarda all’industria del gioco come un settore economico che fa leva sui desideri di affermazioni, di riscatto, ma anche di fuga da un’esistenza sempre più scandita dalla precarietà.
Il lavoro come gioco è parte integrante dell’attitudine hacker in Rete. La dimensione ludica dell’essere connessi, di cooperare, di sviluppare un buon software — o una facile app — viene contrapposta al lavoro di routine, standardizzato che caratterizzava la società industriale. Il risvolto gioioso emerge anche, ad esempio, nella progettazione dei templi del gioco (i casinò) o le macchinette mangia soldi che ormai sono diventate presenza familiare anche in Italia. Chi progetta gli spazi, ma anche le interfacce grafiche delle macchinette, fa di tutto per rendere gli ambienti confortevoli, al fine di non stancare i giocatori o a distrarli. Giocare deve rimanere un’attività piacevole, anche quando si perdono soldi con la conseguente crescita dell’indebitamento individuale.
Fonte: il manifesto
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