di Flavia Zarba
Sta per concludersi quel lungo, magico, viaggio in giro per il mondo dal nome Expo. C'è chi ne ha parlato positivamente, chi negativamente e c'è poi anche chi non ne ha parlato, e non perché non abbia voluto ma perché non ha potuto. Il riferimento è alla clausola di riservatezza che hanno firmato i dipendenti e che impedisce loro, severamente, di raccontare quanto accade all'interno, tra gli addetti ai lavori.
Si tratta di un accordo legale che, in genere, viene sottoscritto nel campo delle consulenze tecniche, degli scambi commerciali internazionali, e, più in generale, nella trattazione degli affari legali permettendo così alle aziende di tutelare e mantenere il segreto su alcuni aspetti aziendali, ad esempio "il trasferimento di tecnologia", la cui divulgazione creerebbe un innegabile danno all'azienda.
Un vincolo a tutti gli effetti per il dipendente, tecnicamente definito in inglese come "confidential disclosure agreement" che è, gergalmente, conosciuto come accordo di riservatezza.
La questione si complica se ad essere datore di lavoro è Expo perché il "contratto atipico" stipulato durante le trattative fa così rientrare anche questioni, astrattamente di interesse pubblico, nella nuvola del "segreto aziendale".
La questione si complica se ad essere datore di lavoro è Expo perché il "contratto atipico" stipulato durante le trattative fa così rientrare anche questioni, astrattamente di interesse pubblico, nella nuvola del "segreto aziendale".
Ne consegue un'estrema, se non totale, difficoltà di parlarne da dentro e da fuori a cui vengono spesso associati innumerevoli controlli della questura ai giornalisti indipendenti che vogliono entrare con il rischio di inibire qualche Press pass.
A lamentare le condizioni dettate da Expo sono in tanti, tra questi l'avvocato Carlo Guglielmi del forum "Dirittilavoro" che, a sostegno della denuncia presentata, nell'aprile scorso, alla Direzione Territoriale del Lavoro di Milano contro l'illegalità del lavoro all'Expo dichiarava che "non si contestano le iniziative di vero volontariato all'Expo ma il fatto che migliaia di ragazzi siano stati assunti da un ente a fine di lucro per assolvere a normali mansioni di assistenza fieristica. Invece di essere pagati riceveranno un buono pasto. Questi ragazzi regaleranno il loro lavoro a una società per azioni che ha venduto 10 milioni di biglietti ed è sponsorizzata da McDonald's, Fca o Coca Cola".
La questione più profonda che si cela dunque dietro il "segreto" è infatti a monte, negli accordi con Cgil, Cisl e Uil che hanno dovuto acconsentire alle esigenze di Expo mediante il protocollo del 23 luglio 2013 che ha previsto l'assunzione di centinaia di lavoratori pagati €300 tramite il programma del Comune di Milano per disoccupati trentenni a cui si aggiungono altre diverse migliaia di lavoratori "volontari" pagati con un tablet e un buono pasto giornaliero di 5 euro.
Senza aprire il tema "volontariato" basterebbe forse citare la legge quadro n. 266/91, che prevede che il lavoro gratuito possa essere reso solo all'interno di una "organizzazione di volontariato" e solo per "finalità di carattere sociale, civile e culturale" che non pare essere il caso di Expo, società per azioni con un bilancio di centinaia di milioni di euro... ma questa è un'altra storia.
Nessuno dei lavoratori si è infatti lamentato rivolgendosi al forum "Dirittilavoro" il cui referente è l'avv. Guglielmi e forse, al termine di questo lungo viaggio, come per tutti gli altri deve nascere una seria riflessione, anche autocritica. Forse il lavoro gratuito è stato metabolizzato dalle giovani generazioni come un destino inevitabile? Forse a fine ottobre tanti ragazzi scriveranno nei propri curriculum di aver lavorato gratuitamente all'Expo e saranno spediti in giro alle aziende per cercare un posto di lavoro? O forse, "segretamente", questa è la retribuzione che gli è stata "promessa"?
Fonte: Huffington post
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