di Luca Billi
Famiglia è una parola dalla storia molto antica, e particolarmente curiosa, perché si tratta di uno dei casi, non molto frequenti, in cui una parola della lingua dei vinti si è imposta in quella dei vincitori. Nel latino familia si trova infatti la radice della parola osca che indica la casa. Tra la fine del IV secolo e l’inizio del III a.C. i tre conflitti tra romani e sanniti – che parlavano appunto osco – che fino ad allora sostanzialmente si equivalevano, segnarono il definitivo predominio di Roma sull’Italia centro-meridionale; eppure qualcosa di quel popolo rimase e significativamente proprio il nome che indicava uno degli istituti più importanti e sacri per i romani, la familia appunto, che comprendeva non soltanto le persone legate al pater familias con legami di sangue, ma anche i famuli, i servi della casa, che, appunto perché legati alla casa, facevano parte a tutti gli effetti di quella famiglia.
Perché la famiglia cambia, come cambia la società. E cambiamo tutti noi che inevitabilmente in una famiglia ci siamo nati e che, non così inevitabilmente, una famiglia abbiamo provato – o proviamo – a costruirla.
Una cosa che mi disturba è che ormai famiglia sia una parola – e un concetto – di cui si sono impossessati manu militari gli altri; e pare che noi non ne possiamo parlare, se non per criticare quello che gli altri dicono o impongono. Come sapete in questi giorni gli altri hanno addirittura convocato una seduta solenne dei loro dignitari sparsi per il mondo per spiegare come dovrà essere la famiglia nei prossimi anni, cosa potranno o non potranno fare le persone che hanno una famiglia. E noi incredibilmente ci appassioniamo a temi di cui non dovremmo neppure occuparci. A me sinceramente importa poco se un divorziato possa o meno partecipare a un rito rispettabile e antico come l’eucarestia, ma che appunto riguarda solo loro. Cominciamo a dire, da laici, che le loro regole, quelle che impongono al loro fan club sono affar loro, e naturalmente di quelle persone che vogliono seguirle. Sono persone che rispetto naturalmente, e per questo non mi voglio immischiare nelle loro questioni. Noi non possiamo star qui a discuterle. Non vogliamo che loro impongano a tutti le loro regole? Giustissimo. Smettiamo però noi per primi di occuparci di qualcosa che non ci riguarda.
Laicamente proviamo a partire dall’idea che la famiglia non è qualcosa che appartiene a loro, di cuiloro hanno l’esclusiva, ma qualcosa di cui dovremmo occuparci tutti. Anche perché la famiglia non è solo quel complesso di regole sessuali a cui loro sembrano ridurla, in un’ossessione figlia forse del fatto che non lo fanno, o non lo dovrebbero fare. Certamente ci sono anche le questioni legate al sesso all’interno della famiglia, ma non sono così predominanti come sembra immaginare il cardinal Caffarra.
E la famiglia non è neppure quella che ci raccontano i pubblicitari che, per quanto un po’ più complessa e composita di quella immaginata dai vescovi – perché ammette anche le coppie omosessuali – è sempre così armoniosamente felice, visto che gli unici problemi che paiono avere quelle famiglie siano che tipo di surgelati acquistare o che contratto di telefonia sottoscrivere. La famiglia del Mulino bianco è ben più pericolosa di quella pensata dai padri sinodali.
La famiglia, o meglio, le famiglie sono invece una realtà sociale un po’ più complessa da quella immaginata da santa romana chiesa e dalla pubblicità, intanto sono luoghi del conflitto, perché non è facile stare in famiglia, a volte è addirittura impossibile ed è meglio prenderne atto. Altre volte invece il conflitto è fecondo, spesso quello tra generazioni lo è, quello tra genitori e figli serve a far crescere gli uni e gli altri, come quello all’interno delle coppie. Sinceramente fatico a immaginare una famiglia senza conflitto, poi bisogna avere l’intelligenza di volgerlo in positivo, di fermarsi prima che sia distruttivo, ma evitiamo di pensare che non ci sia.
Per fortuna le famiglie – come le società – sono cambiate e sono migliorate. Credo che una famiglia di oggi sia migliore di una famiglia di cent’anni fa, perché anche questa realtà è diventata in qualche modo più democratica, più attenta ai bisogni di tutti i suoi componenti, più capace di mettersi in relazione, dentro e fuori di essa. Poi non siamo mai contenti – noi progressisti, noi di sinistra non possiamo mai esserlo, per definizione – e vorremmo una società ancora più democratica, ancora più giusta, ancora più solidale, e di conseguenza una famiglia con le stesse caratteristiche. So bene che questi piani non sono sempre andati di pari passo: mio nonno era un sincero socialista, uno di quelli che pensava che gli uomini fossero tutti uguali, ma non era altrettanto “socialista” con sua moglie e con sua figlia. Era ipocrita? Forse, ma quelli erano i tempi, tanto che i “bravi” comunisti mal tolleravano la famiglia “non regolare” di Togliatti, che pure consideravano il Migliore, e i progressisti leggevano e apprezzavano Pasolini, anche se lo giudicavano, con una carta dose di moralismo, un busone.
Molto è stato fatto, ma non pensiamo che quel tempo sia passato. Una società cresce e migliora anche nel modo in cui crescono e migliorano le famiglie, anzi dovremmo essere consapevoli che tanto ciascuno di noi lavora per costruire la propria famiglia, di qualunque tipo sia, secondo certi valori, quanto contribuisce in questo modo a costruire una società con quelle stesse caratteristiche positive. Credo sia importante capire che la relazione con il nostro partner – chiunque esso sia e ovviamente qualunque sia il suo genere – come quella con i nostri figli influisce, nel bene e nel male, sulla società in cui quella famiglia agisce. E dobbiamo essere altrettanto consapevoli che una famiglia non è qualcosa di dato, qualcosa che troviamo, ma appunto una realtà che dobbiamo costruire. E costruire è sempre faticoso, intanto perché implica un progetto, una capacità di immaginare qualcosa che non c’è ancora e la consapevolezza che quel qualcosa sarà inevitabilmente diverso da come l’abbiamo progettato, sia perché le condizioni mutano e sia soprattutto perché la costruzione avviene, almeno in una prima fase, in due – a cui dopo possono aggiungersi altre persone – e ciascuno ha le proprie idee, le proprie aspirazioni, i propri desideri. E’ anche la parte più bella – sapete, eminenze, perfino più del sesso – vedere alla fine questa costruzione complessa, che è necessariamente diversa dai disegni di partenza. E che, come ogni costruzione, richiede pazienza e tenacia e fantasia.
Se ci pensate questo discorso riguarda anche la politica, anzi è la politica, perché è lo stesso percorso attraverso cui si costruisce una comunità, la si rende capace di aprirsi alle nuove persone che parteciperanno a quel percorso. Per questo la famiglia è qualcosa che ci riguarda tutti, non solo perché tutti ne abbiamo una – anche se qualcuno non vorrebbe averla o gli va stretta – ma perché fa parte di quella realtà più grande, a cui tutti dobbiamo partecipare. Con amore.
Fonte: nuovatlantide.org
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