La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 10 dicembre 2015

La democrazia energetica (che in Italia non c’è)

di Giuseppe Civati 
Il rapporto di Germanwatch (Legambiente lo commenta qui) boccia senza appello le politiche governative sul clima, che vedono l'Italia agli ultimi posti tra i Paesi principali emettitori, mentre ci promuove per i trend positivi di sviluppo delle rinnovabili e di miglioramento dell'efficienza (eredità positiva, va detto, dell'ultima stagione prodiana e di Bersani ministro dello sviluppo).
Peraltro va sottolineato che l'aumento delle rinnovabili ha subito un colpo durissimo negli ultimi due/tre anni proprio per effetto di norme varate dai governi Monti, Letta e Renzi che hanno colpito i meccanismi di incentivazione delle energie pulite. A tutto questo va aggiunto il bassissimo profilo tenuto dall'Italia qui a Parigi, con un ministro dell'ambiente sostanzialmente assente e nessun significativo, percepibile impegno del nostro Paese sul fronte globale e intra-europeo dei negoziati.
L'Italia, certo, è undicesima nella classifica generale, grazie al traino di dinamiche positive come la riduzione delle emissioni e l'incremento delle rinnovabili (la prima dovuta molto alla crisi, la seconda al boom degli anni scorsi. Ma nella classifica che misura l'intensità e l'efficacia delle politiche nazionali sul clima siamo ultimi, cinquantunesimi su 51, perché non abbiamo fatto investimenti pubblici nella sostenibilità energetica e nell'adattamento climatico, per le norme contro gli incentivi alle rinnovabili, per il piano trivellazioni.
Da Berlusconi a Renzi c'è (almeno) un filo comune inequivocabile: il tentativo sistematico di uccidere le energie rinnovabili, cioè uno dei rari caso di successo ambientale, industriale, occupazionale nell'Italia degli ultimi dieci anni.


Fonte: ciwati.it

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