La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

lunedì 28 dicembre 2015

L’ideologo di Podemos: «Da Madrid, cambieremo l'Europa»

di Francesco Cancellato 
Può sembrare paradossale che l’ideologo del movimento più post-moderno che esiste, almeno in Europa, abbia settantasette primavere suonate. Lui, Vicenç Navarro, catalano di Gironella, sembra non sentirli. Se Pablo Iglesias è la faccia che scalda gli animi dei giovani indignados diventati prima forza politica spagnola, perlomeno stando agli ultimi sondaggi, Navarro è la mente che dà corpo e sostanza politica al loro entusiasmo.
La sua peraltro, è una storia che attraversa tutto il ‘900. Navarro, professore di politiche pubbliche, fu costretto a fuggire dalla Spagna durante il franchismo, per le sue idee politiche, ha insegnato in Svezia così come in Gran Bretagna – a Oxford, Edinburgo e alla London School of Economics – e negli Stati Uniti d’America, alla Johns Hopkins University. Nel frattempo ha collaborato con le Nazioni Unite, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, il governo cileno, quello cubano quello svedese e quello spagnolo, una volta saliti al potere i socialisti.
Il successo della riforma sanitaria che ha realizzato a Cuba - che nonostante tutto ha oggi una delle sanità migliori al mondo - ha fatto sì che Hillary Clinton, quando ancora era First Lady, lo inserisse nel gruppo di lavoro che avrebbe dovuto riformare la sanità americana.
La storia l’ha già cambiata parecchie volte, insomma. E potrebbe cambiarla ancora se le sessantotto pagine del manifesto che ha scritto insieme all’economista Juan Torres Lopez dovessero diventare, se Podemos vincesse le elezioni, il programma del prossimo esecutivo spagnolo: «In quelle pagine – spiega Navarro a Linkiesta – c’è soprattutto il bisogno di rendere di nuovo democratica la Spagna. Tra gli spagnoli, oggi, c’è una gigantesca disaffezione verso le attuali istituzioni democratiche». Le proposte di Podemos, continua Navarro, «si fondano sulla necessità di democratizzare le istituzioni politiche, economiche e finanziarie».
Non specifica espressamente, Navarro, se si sta riferendo alle istituzioni spagnole o europee, ma tra le righe delle sue risposte si legge piuttosto chiaramente un disegno politico che – come del resto la sua vita – travalica i confini iberici e arriva a Bruxelles e Francoforte, dritto al cuore della tecnocrazia continentale: «La Banca Centrale Europea – è ad essa che si riferisce, soprattutto – dovrebbe avere il compito di promuovere la piena occupazione all’interno dell’Unione, non solo quello di tenere sotto controllo l’inflazione». Anche perché, aggiunge, «ciò che ci spaventa più di ogni altra cosa è un futuro in cui la maggioranza dei giovani non ha un lavoro». 
Non specifica come, Navarro, ma perlomeno fornisce un termine di paragone: «La Bce dovrebbe fare un po’ come la Federal Reserve americana». Una risposta, quest’ultima, che sgombra il campo da parecchi equivoci che circolano su Podemos. Ad esempio, che si tratti di un partito anti-europeo. Al contrario, il movimento spagnolo fonda buona parte dell’efficacia (e pure della fattibilità delle sue proposte) sulla loro capacità di diffondersi altrove. Si pensi a uno dei più controversi e chiacchierati punti del programma di Podemos, quello secondo cui sia da ridurre, d’arbitrio, la distanza tra il salario medio spagnolo con quelli più alti, attualmente 127 volte tanto.
Anche in questo caso, Navarro è restio a dire attraverso quali vie vuole portare avanti questa politica: «Ci sono molti modi attraverso cui i salari più alti possono essere limitati e ridotti, ma non possiamo essere più specifici di così, allo stato attuale». È ovvio tuttavia, aggiunge Navarro, che «potrebbe essere tutto più facile se la nostra proposta fosse adottata a livello europeo». Lo stesso vale per la ristrutturazione del debito pubblico spagnolo. Che, per Navarro, «accadrà e sarà inevitabile», ma che potrebbe avere meno controindicazioni, anche in questo caso, se tali ristrutturazione verrà richiesta e avrà luogo contemporaneamente anche in altri paesi: «La questione non è se la ristrutturazione del debito, quanto più ordinata possibile, sia desiderabile o meno, ma in quali condizioni si verificherà».
È chiaro, insomma, come la strategia di Podemos si fondi più che sulle scelte di politica interna in senso stretto, su una ridefinizione complessiva degli obblighi continentali cui la Spagna deve sottostare. E, giocoforza, da una altrettanto ridefinizione complessiva delle regole del gioco europee. Sottotraccia, appare chiaro come l’obiettivo di Podemos sia lungo diciotto mesi e non dipenda solo dal risultato spagnolo, ma anche da cosa accadrà in Portogallo, Grecia e Irlanda, dove partiti anti-austerità e di sinistra sono in testa nei sondaggi: « Podemos è un partito con forti radici a sinistra, anche se ovviamente spera di raggiungere la maggioranza degli spagnoli – spiega Navarro -. Soprattutto, però, Podemos è parte della sinistra europea, come lo sono il Partito Socialista Portoghese, Syriza e Sinn Fein, forze con cui spiega Navarro, «c’è grande continuità di idee e politiche».
E l’Italia? No, con il Movimento Cinque Stelle non c’è lo stesso feeling: «Non siamo vicini a Beppe Grillo, per nulla, noi siamo di sinistra. Sia chiaro, nemmeno Renzi ci è simpatico». Il motivo è piuttosto intuibile: «Le riforme del lavoro come il Jobs Act sono il messaggio in codice per ridurre i salari e la protezione sociale. Questo è quello che è successo in Spagna e che sta succedendo ora in Italia».

Fonte: Linkiesta 

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