di Tonino D’Orazio
Ovvero del falso giornalismo e della manovalanza intellettuale. L’onestà ed il rigore dell’informazione è esattamente l’opposto di quel che leggiamo sulle colonne dei giornali sussidiati, o ascoltiamo da reti mediatiche occupate da interessi personali di potere o padronali, a trasmetterci falsi rendiconti e a tentare di imporci una visione unica delle cose. Spesso è una visione costruita che ha poco a che vedere con la realtà, che in definitiva si libera e appare sempre con l’evidenza.
Già semplicemente ammettere che la realtà permette visioni diverse diventa un ragionamento libertario e liberatorio. Diventa difficile reagire se non si hanno strumenti culturali e di decodificazione da opporre alle visioni uniche proposteci con volgare e ripetitiva insistenza. Se queste poi avvengono a reti unificate o da super agenzie internazionali che dettano la linea e la sostanza di cui si deve parlare allora può essere, se intellettualmente corretti, anche facile riconoscere un pensiero e una regia unici e uniformi. Facilmente rintracciabili quando vi confluiscono tutti, da destra a sedicente sinistra, sulle questioni diventate prioritarie, economiche e finanziarie, “del mercato”, in modo identico.
Il tutto viene celato sotto il termine “attualità”. Termine che tende ad indicare un continuum del presente in atto. La scelta del luogo e del tempo non ci appartiene. Appartiene alla regia e ai suoi interessi. Non è una regia democratica, ma di gruppi privati che svolgono informazione, in generale con i nostri soldi, vuoi di canone, vuoi di lauti sussidi, vuoi di pubblicità e fortemente legati al potere politico che aiutano a mettere in piedi e dal quale vengono “ricompensati”.
Tutti coloro che in questi anni si sono adoperati per favorire un cambiamento contro la Costituzione sembrano avere difficoltà a comprendere come abbiano potuto perdere la spallata finale, malgrado avessero tirato fortemente la corda. Infatti tutti i commenti dopo il referendum, e continuano ancora, sono orientati ad una sottile forma di vendetta. La linea dettata, dopo aver spaccato il paese per sei mesi,è quella che non ci siano né vinti né vincitori. Non è più la pesante sconfitta che deve interessare, ma le ripercussioni “negative” di questo voto, le piaghe d’Egitto. Il “dramma” della crisi del governo, (già terminato con “rose che fioriranno”), il destino gossip di Renzi, la delusione (anche il silenzio) dei poteri forti che hanno pontificato per mesi. Bisogna far dimenticare al più presto la sconfitta referendaria e la stessa questione referendaria per continuare le politiche bocciate. La cordata vecchia e nuova si ripresenta. Persino il partito che ha perso sonoramente tenta di presentarsi come se nulla fosse accaduto. Alla digestione ci pensano i soliti giornalisti. Vecchio adagio: “cambiare per non cambiare niente”. Nuovo governo quindi dai ranghi della mediocrità di quello precedente, dove solo il capo contava, in un rinnovato guazzabuglio di casacche.
“Nuovo presidente del Consiglio” che ha passato gran parte del suo tempo a Bruxelles, a difendere l’austerità, a giustificare ulteriori sanzioni alla Russia a danno del libero mercato del suo paese, a sostenere e giustificare una più massiccia partecipazione italiana, in armi e uomini, nella Nato, struttura che ha esaurito il “suo ruolo sociale” da anni e rimane in Europa uno spaventoso teatrino da operetta. Strana storia economica quella che, senza governo, i paesi crescono meglio e di più (Belgio, Spagna e adesso, ma per poco, l’Italia). Anzi le Borse, come per Londra del Brexit, di Wall Street per Trump o di Milano per la caduta del mediocre Renzi, sembrano essersi liberate e ripartite al rialzo.
Ma i problemi drammatici del paese, che hanno sicuramente contribuito alla vittoria del NO (vedi la prima occasione di voto del Sud o del voto giovanile) sono tutti in piedi e talmente incancreniti che non daranno scampo alla “nuova compagine” governativa. Un presidente del consiglio dipendente da un ex, sempre segretario del partito di “maggioranza” incostituzionale in possesso dei voti necessari e anche per questo amico di varie frange centriste inaffidabili se non corrotte, sarà semplicemente una controfigura di Renzi o un “prigioniero politico”. Purtroppo il meccanismo attuale è questo e il “nuovo governo”, sponsorizzato di nuovo dal canuto e deleterio Napolitano, entrerà in un tritacarne pre-elettorale infinito, malgrado i rinnovati “giornalisti” di video e di carta, non più credibili, se mai lo fossero stati. Perché la manomissione totalitaria impostata da Renzi sulle reti Rai continuerà allegramente anche se la maggioranza degli italiani sembra essersene accorta. Inoltre l’austerità dei poveri, oltre che continuare, dovrà essere accelerata e strutturata al massimo prima delle prossime elezioni.
Per qualsiasi intellettuale il problema della cultura “fabbricata”, cioè quella consumistica dedicata alle masse, (spesso denominata berlusconiana), necessita di essere rivista tentando di “rialzare” la qualità sia culturale che dell’informazione. Pur con tutte le difficoltà, compreso il dibattito su quale sia qualitativo o meno, (dove la cultura borghese ha sempre preso il sopravvento), malgrado le benefiche contraddizioni e sicuramente i necessari conflitti, solo una forte caratteristica democratica e pubblica, cioè a più voci, può definire e offrire un “prodotto” a tutti, evitando fra l’altro, per quanto possibile, il paradigma dell’elitismo.
In realtà criticare è facile, ed è estremamente difficile per un movimento di opposizione sia di autodefinirsi che di rivendicare una visione del mondo alternativa e di costruire le proprie referenze culturali al di fuori della cultura dominante, però bisogna ammettere che gli intellettuali progressisti non sono riusciti ad individuare, nemmeno ad elaborare, una strategia, o interventi di ricambio, di fronte alla cultura standardizzata e consumistica. Certamente non glielo avrebbero fatto attuare facilmente, però il dilagare del pensiero unico ha sedotto molti di loro e abbassato la combattività necessaria. In questa categoria si collocano oggi molti di quelli che si chiamano “giornalisti”, diventati tutti troppo facilmente “scrittori” e “produttori” di cultura. Giornalisti docili e informazione mediocre.
Un giornalismo di collaborazione, di riproduzione (dei potenti sui dominati), di commenti più che di informazione, senza logica di responsabilità generale. La disgregazione della qualità del mondo del lavoro e dei suoi diritti ad opera dei datoriali e padronali ha colpito anche loro, privatizzandoli e precarizzandoli, nella loro funzione di informazione plurale. La mediocrità e il servilismo hanno fatto il resto. Non è sufficiente salvarne uno per salvare tutti o la “libertà di stampa”, come ci propone ogni tanto l’idealità dell’ordine dei giornalisti. Ordine rinchiuso in una casta, un ceto sociale di potere, che ha perso lettori e credito precipitando il dibattito pubblico in una povertà e una banalità senza ritorno.
Certamente il giornalismo, quasi totalmente, riflette l’ideologia dominante del momento, e non bisogna aspettarsi che capovolga l’attuale ordine stabilito della vittoria dei ricchi sui poveri, né che lo voglia, ma prima o poi dovrà rendere conto al movimento reale della società. Movimento sicuramente apparso, (phainomai, fenomeno), in questa tornata referendaria. Come ultimamente in tutte quelle occidentali.
Devo aggiungere però, per giustizia, che vi sono anche giornalisti “di terreno”, che rischiano la propria vita per informare “dal vivo”, sia in zone disastrate che in zone di guerra o di territori ad alta densità di delinquenza. Ma questi, se non li cercate, difficilmente occupano grandi spazi “nell’informazione” e spesso vengono celebrati “ad honorem” nei cimiteri del mondo intero. Dietro il loro dito si nasconde la truppa. Perché la verità, non quella costruita, non è amata dai potenti e esula dalle loro regole antidemocratiche.
Fonte: cambiailmondo.org
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