di Vincenzo Comito
Solo a un lettore dei giornali un po’ frettoloso il recente annuncio della casa dell’auto tedesca relativo al licenziamento di 30.000 addetti, di cui 23.000 in Germania, nonché al taglio dei costi annuali per 3,7 miliardi, può essere sembrato come collegato soltanto al recente scandalo delle emissioni. In realtà, la notizia dei licenziamenti, che viene comunque con la parallela assunzione di 9.000 nuovi addetti nei settori nuovi, va messa soprattutto in relazione alle grandi e veloci trasformazioni in atto nel mercato e nelle tecnologie del settore. I produttori tedeschi, nonostante la loro forza finanziaria e di mercato, nonché i lavoratori dello stesso e di altri paesi, rischiano di perdere parecchi colpi rispetto al nuovo che avanza implacabile.
Si profilano degli sviluppi che mettono in causa non solo le case tedesche (nonché lo stesso modello di sviluppo teutonico), ma anche quelle di tutto il mondo, mentre essi pongono in prospettiva dei punti interrogativi sui livelli generali di occupazione nel settore.
Tali minacce derivano dalla crisi delle tecnologie diesel, a sua volta da collegare, tra l’altro, al varo delle nuove norme antinquinamento dei principali paesi, dallo sviluppo dell’auto elettrica e di quella senza guidatore – processi che stanno accelerando –, dall’ingresso nel settore, in relazione all’affermarsi delle nuove tecnologie, di inediti e potenti protagonisti, statunitensi e cinesi in particolare, provenienti dall’economia numerica, da Google ad Apple, da Baidu a Tencent, infine dai mutamenti nelle preferenze dei consumatori.
L’auto senza pilota
L’auto e il camion che si guidano da se sono sostanzialmente già pronti; tra tre/quattro anni potrebbero cominciare a percorrere le strade in via normale, e non più in forma sperimentale come sta già avvenendo da qualche tempo in diversi paesi.
L’acquisto di auto private potrebbe così ridursi progressivamente, secondo le stime più accreditate, sino a una percentuale valutata tra il 60% e il 90%, dopo una punta massima di vendite complessiva che si potrebbe comunque collocare intorno al 2020 (Hook, 2016). Intanto, come afferma John Zimmer,cofondatore di una delle più importanti società della sharing economy, nelle grandi città statunitensi la proprietà privata delle auto finirà (Hook, 2016). E non solo in quelle statunitensi, bisogna aggiungere.
Intanto il costo del mantenimento di una vettura personale diventerà presto più alto di quello in cui si incorrerebbe affidandosi ad un servizio esterno, pubblico o privato che sia e comunque il suo acquisto non avrebbe più a termine molto senso.
La spinta alla riduzione del numero delle auto vendute verrà anche dall’affermazione progressiva delle nuove forme di fruizione dei veicoli, dalle attività di aziende come Uber sino allo sviluppo dei percorsi stradali in comune, nonché da alcuni mutamenti di tipo culturale già chiaramente visibili in molte città del Nord Europa.
Ma l’auto tradizionale occupa oggi nel nostro continente complessivamente decine di milioni di lavoratori, dalla produzione di componentistica alla produzione, alla manutenzione e alla guida dei mezzi, alle grandi reti di distribuzione.
L’auto elettrica
L’altra grande trasformazione in atto riguarda l’auto elettrica, novità che sembra maturare anche più rapidamente della prima e dietro la quale si vede anche, in una prospettiva un po’ più lontana, anche l’arrivo della vettura a idrogeno.
Lo scandalo Volkswagen, tra le altre cose, ha posto sostanzialmente la parola fine all’ipotesi di un diesel pulito (Gapper, 2016) ed esso ha invece, insieme all’abbattimento dei prezzi dell’elettrico e dell’ibrido, accelerato le premesse per un passaggio alle nuove tecnologie; un’analisi recente arriva alla conclusione che il diesel sostanzialmente scomparirà dal mercato dell’auto entro i prossimi dieci anni (Campbell, 2016, b).
Secondo un altro studio (Gapper, 2016) mentre cinque anni fa il 56% delle auto vendute aveva una motorizzazione diesel, nel 2030 la percentuale dovrebbe scendere al 9%.
Lo stesso scandalo, insieme allo sviluppo delle tecnologie e alla crescita dei mercati asiatici, ha anche contribuito a cambiare l’equilibrio del potere tra i più grandi mercati dei veicoli, Europa, Stati Uniti, Asia. La lezione complessiva, ridotta all’osso, è alla fine: buttati sull’elettrico e concentrati sulla Cina (Gapper, 2016).
In effetti, tra l’altro, le nuove norme europee sulle emissioni renderanno presto molto difficile per le case offrire auto diesel. Secondo una ricerca recente solo quattro costruttori sui principali dodici operanti nell’Unione Europea dovrebbero riuscire a rispettare gli stringenti obiettivi ambientali fissati da Bruxelles per il 2021 (Campbell, a).
La Cina è il paese che ha fatto più passi avanti nel cercare di limitare l’inquinamento, attraverso il blocco progressivo dei veicoli più dannosi e la spinta a favore delle auto elettriche ed ibride. Incidentalmente, ricordiamo che verso il 2025 si dovrebbero vendere su quel mercato ben 40 milioni di vetture (Campbell, 2016, a), a fronte dei 28 milioni del 2016. Comunque, già nel 2015 nel paese sono state esitate 330.000 auto con i nuovi tipi di motorizzazione e le prospettive di crescita del mercato sono molto elevate (Li Fusheng, 2016). Anche la stessa Volkswagen sta avviando una joint-venture con una casa locale per produrre auto elettriche.
Ricordiamo anche che la Norvegia ha in programma di bandire la vendita di auto con motori termici convenzionali a partire dal 2025 (Borgomeo, 2016).
Negli Stati Uniti uno degli ultimi atti che Obama sta varando è quello di fissare degli standard elevati in materia di inquinamento, che imporranno alle case, come è stato calcolato, la vendita di almeno 900.000 auto elettriche entro il 2020.
Esse sono molto semplici da progettare e da produrre, non richiedendo tutti i componenti e la sofisticazione del processo produttivo delle auto tradizionali. Si valuta che la propulsione elettrica comporti solo un sesto dei pezzi di un motore a scoppio, senza considerare l’assenza della scatola del cambio. Il suo peso nel costo finale di un veicolo è soltanto di circa il 10%. Secondo alcune stime, tra 100.000 e 250.000 posti di lavoro sono in Germania legati al motore tradizionale (Beziat, Boutelet, 2016).
La transizione si farà comunque in maniera molto progressiva, con la permanenza per diverso tempo di una fetta consistente del mercato per le vetture ibride, che richiedono anche un motore termico.
I cambiamenti prospettati aiutano ancora la Cina rispetto agli Usa e all’Europa; nel paese asiatico è infatti ancora carente la produzione di componentistica sofisticata, mentre la nuova tecnologia minaccia di nuovo e pesantemente i livelli di occupazione nel settore in Occidente.
Il problema tedesco
Probabilmente il paese più toccato dalle trasformazioni in atto appare la Germania, la cui economia è la più fortemente dipendente in assoluto dalla produzione di auto; si tratta, inoltre, di un settore ad alto valore aggiunto e che riesce a pagare salari elevati.
L’accelerazione della transizione tecnologica mette in crisi due vecchie idee, quella che la Germania sia un modello di produttività e quella che l’industria continuerà ad essere la locomotiva dell’occupazione nel paese (Editorial, 2016).
Per quanto riguarda il primo tema, la Volkswagen impiega 610.000 addetti per produrre un numero di vetture grosso modo simile a quello della Toyota, che ne occupa circa la metà, mentre i margini della sola marca Volkswagen sono quattro volte più ridotti di quelli giapponesi e anche molto inferiori a quelli delle case francesi. Il fatto era mascherato sino a ieri dai profitti più elevati ottenuti nei marchi premium (Audi, Porsche) e dalle vendite in Cina. Per raggiungere la redditività delle altre case l’azienda dovrà aumentare i suoi livelli di produttività del 25%. Questo suona le campane a morto per l’occupazione, che generava nel settore impieghi in massa (Editorial, 2016), nonché livelli elevati dei salari.
Conclusioni
Quello del settore dei veicoli su strada appare un caso molto concreto delle possibili conseguenze dello sviluppo tecnologico sul mondo del lavoro, conseguenze che sembrano molto marcate, nonché sui mutamenti nella dislocazione delle attività produttive a livello internazionale.
Sembra doverne soffrire in particolare la Germania, centro mondiale delle tecnologie dell’auto, mentre dovrebbero guadagnare delle posizioni la Cina e forse gli Stati Uniti, se le imprese del settore numerico di tale paese riusciranno ad inserirsi in maniera importante in tale campo.
Le trasformazioni in atto chiamano ovviamente in causa l’operatore pubblico, sino ad oggi piuttosto assente in molti paesi; esso dovrebbe concentrarsi sull’obiettivo di governare un processo in atto che appare di grande violenza, per assicurare in particolare un futuro dignitoso al mondo del lavoro.
Bisogna incidentalmente ricordare che la Fiat-Chrysler appare la casa dell’auto che ha fatto sino ad oggi i minori investimenti nei campi sopra citati e che in generale essa non sembra interessarsene molto. Certo Marchionne andrà via dal gruppo nel 2018 e sino a quella data non si dovrebbero registrare sviluppi drammatici nelle nuove tecnologie…
Testi citati nell’articolo
-Beziat E., Boutelet C., L’emploi au défi de l’essor des voitures électriques, Le Monde, 20-21 novembre 2016
-Borgomeo V., Veicoli ecologici e a guida autonoma, La Repubblica, 28 novembre 2016
-Campbell P., Eight carmakers on course to miss European CO2 targets, www.ft.com, 27 novembre 2016, a
-Campbell P., Diesel face global crash as electric cars shine, www.ft.com, 11 dicembre 2016, b
-Editorial, Volkswagen, la fin de l’age d’or, Le Monde, 20-21 novembre 2016
-Gapper J., China’s electric cars are chasing Volkswagen, www.ft.com, 7 novembre 2016
-Hook L., How driverless cars are set to reinvent and humanise our streets, www.ft.com, 7 dicembre 2016
-Li Fusheng, Electric car market yet to mature, www.chinadaily.com.cn, 12 dicembre 2016
Fonte: sbilanciamoci.info
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