di Vincenzo Comito
Ormai è certo che la ricapitalizzazione privata di Mps, ricercata con accanimento e con molto dispiego di forze da politici e «tecnici», nazionali ed internazionali, è fallita e che lo Stato interverrà sino a 20 miliardi di euro per salvare anche le due banche venete e le quattro banche regionali di cui si è tanto parlato. Il tutto richiederà al massimo una quindicina di miliardi e quindi c’è anche lo spazio per affrontare eventuali altri casi. Resta da superare l’ostacolo di Bruxelles (e, non tanto dietro le quinte, di Berlino); si immagina che Schauble e il suo fido scudiero Dijsselbloem faranno la faccia feroce, come è il loro solito (hanno già cominciato), in particolare quando si tratta di paesi «mediterranei», prima di dare il via libera.
Le contropartite potrebbero essere anche pesanti.
Si pensi solamente con quanta brutalità la coppia citata ha nei giorni scorsi trattato la Grecia e la sua crisi, bloccando gli aiuti promessi dall’Europa, solo perché il paese ellenico aveva osato distribuire pochi spiccioli ai più diseredati (i pensionati).
E gli italiani, in quella occasione, si sono ben guardati dal muovere un solo dito.
La vicenda di questi giorni ci ricorda ancora una volta, come ha sottolineato Andrea Baranes su sbilanciamoci.info, che per salvare le banche si trovano facilmente e subito anche venti miliardi – e, se necessario, noi pensiamo che se ne troveranno anche molti di più -, scavalcando tutti i piani di austerità e le regole di Maastricht; non si trova invece, contemporaneamente, qualche centinaio di milioni di euro per migliorare la sorte di qualche derelitto, né il denaro per restituire all’Università qualcuno dei molti miliardi che sono stati tagliati ormai qualche anno fa.
Essa mostra inoltre che la storia che ci raccontavano sul fatto che l’esistenza del Senato rallentava il processo decisionale di produzione delle leggi era una frottola; la norma salva-banche è stata approvata dal Parlamento in una sola giornata, come a suo tempo il cosiddetto job act era stato varato in meno di tre settimane.
Le vicende delle banche ci ricordano anche che, come sottolineava già a suo tempo Leonardo Sciascia, la linea della palma è da molto tempo salita nel nostro paese sino a latitudini elevate e così, per molti anni, il malaffare e l’omertà hanno regnato quasi sovrane senza che nessuno, proprio nessuno, nel Veneto, regno degli ex-democristiani, ma anche a Siena e dintorni, dominio degli ex-Pci, nonché a Roma, dove ci sono tutti, si accorgesse apparentemente di niente.
Ora, come al solito, pagheremo noi; il rapporto del debito sul Pil crescerà ancora una volta, cancellando una delle tante promesse del governo di Matteo Renzi, mentre anche il peso degli interessi passivi lieviterà.
Quali spese sociali verranno per conseguenza tagliate questa volta? Si aumenteranno i ticket sanitari? Si bloccherà il contratto degli statali? Si toglierà la carta igienica alle scuole che ce l’hanno ancora?
Dunque il Governo entra nel capitale di un bel numero di istituti, ma si può affermare che dalle parti di Roma certamente le coeur n’y est pas, come dicono i nostri cugini transalpini.
Ai tempi dell’imperatore d’Oriente Giustiniano era stata coniata l’espressione «nomina sunt consequentia rerum» (si usava anche la variante nomina sunt substantia rerum), i nomi delle cose fanno riferimento alla loro sostanza. Va a questo proposito sottolineato che nel caso dei 20 miliardi quasi nessuno usa la parola nazionalizzazione, mentre tutti si rifugiano in termini più umili, quali ingresso dei soldi pubblici nel capitale, salvataggio delle banche in difficoltà, aumento di capitale precauzionale.
Non si tratta di una scelta casuale di parole. Nella sostanza, si vuole sottolineare che l’intervento pubblico è un semplice accidente della storia, che nessuno voleva.
E poi in giro ci sono orecchie sensibili, certi professori della Bocconi, poi gente come Verdini, il ministro dfel lavoro Giuliano Poletti, il ministro dello Sviluppo economico Calenda, che non bisogna far piangere usando appunto la parola nazionalizzazioni, che fa subito pensare ai gulag sovietici e alla Stasi; siamo in un libero mercato.
E, in effetti, nessuno di quelli al governo in questo momento sta pensando di usare l’occasione per un intervento di fondo nel mondo del credito, con una strategia attiva volta a cambiare musica e ad utilizzare le banche in cui si entra per aiutare a varare una nuova politica economica.
Si pensi soltanto al tema della trasformazione in senso ecologico del nostro sistema industriale. Le banche, in Italia come in tutto l’Occidente, esitano a finanziare questo grande progetto.
E così è la Cina che da sola interviene con circa la metà del totale degli investimenti mondiali nel settore.
Si tratterà alla fine dell’ennesima occasione persa e il governo, presumibilmente, cercherà di evitare al massimo un intervento attivo nel sistema, salvo che, ovviamente, al momento delle nomine dei vertici degli istituti; esse dovrebbero essere forse gestite, come al solito, dal fido Lotti. Sperando che nel frattempo egli non venga coinvolto in qualche procedimento.
Fonte: Il manifesto
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