di Giorgio Cremaschi
Le vie nazionali di rottura con il liberismo sono l’unica via credibile per mettere in discussione il sistema di disoccupazione di massa e ingiustizia sociale affermatosi con la globalizzazione finanziaria. E questo vale soprattutto in Europa, dove la costruzione reale della Unione ha fatto delle politiche di austerità un fondamento costituente della unione stessa. Questa è la tesi di uno splendido piccolo manuale di economia e storia del pensiero economico che Sergio Cesaratto ha voluto condensare nelle sue Sei lezioni di economia (Imprimatur editore, euro 17). Un saggio che affronta le principali teorie sul capitalismo, partendo da Ricardo e Marx per giungere a Keynes a Sraffa e alla teoria oggi dominante, il marginalismo neoclassico.
Un libro che in questo percorso ci fa incontrare tutti i temi e le politiche economiche che caratterizzano la crisi attuale.
Un libro che in questo percorso ci fa incontrare tutti i temi e le politiche economiche che caratterizzano la crisi attuale.
Sergio Cesaratto, con Alberto Bagnai e pochi altri, fa parte di quella pattuglia di economisti eterodossi che da tempo mettono in discussione alla loro radice le politiche di austerità. E che per questo giungono a ritenere necessaria la messa in discussione dell’euro e al limite della stessa Unione Europea. Economisti eterodossi, come lo stesso Cesaratto si autodefinisce, il che non vuol dire economisti della sinistra. Essendo molti di questi oramai parte, come le forze di centrosinistra a cui fanno riferimento, dello schieramento liberista. Economisti eterodossi sono tutti coloro che non accettano il dominio del pensiero degli economisti neoclassici e quello della politica liberista che ne è derivata. Senza dimenticare mai che il dominio di questa scuola, nata nella seconda metà dell’Ottocento per ripudiare Ricardo e tutti quegli economisti che davano troppe armi a Marx, non nasce dalla superiorità teorica, ma dalla forza del potere capitalistico che l’ha fatta propria.
Cesaratto mette in giusto ridicolo le teorie dell’equilibrio e del profitto e salario «naturali», cui tenderebbe ogni economia se non ci fossero interferenze dello stato nel libero mercato. Il mondo attuale, governato dai principi della economia ortodossa neoclassica, ne rappresenta la totale falsificazione. La realtà non è così, non è vero che tagliando lo stato sociale e i salari alla fine si raggiunga l’equilibrio, facendo ripartire produzione ed occupazione. E tuttavia le politiche liberiste, nonostante falliscano i loro stessi obiettivi, vengono continuamente riproposte, grazie anche ad un sistema di potere culturale e mediatico in cui dilaga la memoria del pesce rosso. Che si sa dura un minuto e quindi permette di ripetere come nuovo e all’infinito sempre lo stesso atto.
Ma la società dei pesci rossi non si è formata in un minuto. Il primo esperimento mondiale di politiche liberiste nel dopoguerra si è avuto nel Cile di Pinochet. In quel paese, dopo il golpe del 1973 che assassinò Allende e decine di migliaia di militanti della sinistra, si precipitarono i Chicago boys di Milton Friedman; con i loro esperimenti alla dottor Mengele, per usare le parole di Cesaratto su ciò che può accadere in alcuni paesi d’Europa. Il Cile allora come la Grecia oggi sono state le cavie di terribili esperimenti sociali.
La sperimentazione del massacro sociale in paesi cavia chiarisce che il liberismo attuale è prima di tutto ordoliberismo. Cioé è il frutto dell’incontro tra il potere economico e il potere politico, che diventa anch’esso fattore ed agente del mercato. Tutta la globalizzazione attuale non esisterebbe senza accordi, leggi, trattati, tra gli stati e negli stati. È un liberismo costituente quello che abbiamo di fronte È il potere conservatore ed elitario di Von Hayek quello che emana le leggi che distruggono le conquiste sociali e di democrazia dei popoli, quelli europei in particolare. E lo stato del capitalismo liberista è proprio l’Unione Europea.
Per Cesaratto, l’«unione politico-monetaria svuota del tutto lo Stato nazionale dei poteri monetari e fiscali, privando le classi lavoratrici del loro terreno naturale di conflitto: il proprio Stato nazionale. La democrazia si riduce così alle lotte per le libertà civili, coerentemente ritenute centrali dai radicali (il resto la fa il mercato). L’incompatibilità fra euro ed Europa sovranazionale da un lato, e democrazia dall’altro, è totale». Euro e Unione Europea non sono dunque terreni neutri, bensì sono lo strumento individuato dalle classi dominanti europee per imporre un roll back continentale a tutto il mondo del lavoro. Sconfitto e crollato il socialismo reale, la socialdemocrazia europea è stata assorbita nella ideologia e nel potere liberista, mentre le sinistre radicali non sono state in grado di produrre altro che buoni sentimenti.
Profetiche appaiono le parole di decenni fa di Bob Rowthorn, economista eterodosso e comunista britannico, riprese da Cesaratto : «La crisi che colpisce milioni di cittadini britannici è ora su di noi. Se la sinistra intende sfruttare questa situazione, essa deve adottare un programma che offra alla gente qualche speranza, e deve dunque ragionare in termini di qualcosa di più pratico della rivoluzione europea o mondiale. Coloro che attaccano una strategia nazionale per il socialismo in Gran Bretagna come destinata al fallimento e si appellano a una rivoluzione europea o mondiale possono sembrare molto rivoluzionari. Ma nei fatti la loro è la dottrina della disperazione, e per quanto molte delle loro opinioni possano ispirare una piccola avanguardia di simpatizzanti, essi non possono che ispirare demoralizzazione fra le masse di lavoratori a cui non offrono niente».
Dopo la crisi di tutte le sinistre radicali europee, vecchie e nuove, la irriformabilità e l’alterità dell’euro e della Unione Europea dovrebbero essere il punto di partenza di ogni progetto e schieramento democratico anti austerità. Euro ed Unione Europea sono oggi lo strumento della regressione sociale e democratica in Europa, sono la Santa Alleanza del ventunesimo secolo. Si possono solo combattere e rompere, non riformare. Il libro di Sergio Cesaratto ci aiuta meticolosamente a capirlo e ci impone una risposta concreta, non di galateo, alla sua conclusione politica: «senza utopismi, dobbiamo declinare il tema dell’autonomia nazionale in senso solidaristico verso gli altri popoli, per un nuovo ordine economico e politico internazionale; dobbiamo, soprattutto, porre i temi della piena occupazione e della giustizia sociale come la ragion d’essere della sinistra, dimostrando che sono obiettivi possibili».
Fonte: Il manifesto
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