di Roberto Ciccarelli
La bufera Poletti ha investito il Pd e gli equilibri della maggioranza. Dopo l’annuncio di Pier Luigi Bersani sul Si al referendum Cgil per abolire i voucher (ma non al ripristino dell’articolo 18), Roberto Speranza, della minoranza dem e candidato alla segreteria del partito, ha precisato la strategia: o Poletti cambia le norme sui voucher, oppure voterà la mozione di sfiducia presentata ieri dai senatori di Sinistra italiana, del Movimento 5 Stelle, della Lega Nord e alcuni del Gruppo Misto in discussione in Senato il 10 gennaio. In un question time alla Camera, ieri Poletti ha tenuto duro: i voucher saranno cambiati solo se le nuove norme sulla tracciabilità adottate a settembre non dovessero essere sufficienti a garantirne la trasparenza dell’uso.
Non è chiaro quanto tempo durerà tale verifica, mentre i dati raccontano la realtà del «nuovo precariato» così lo ha definito il presidente dell’Inps Tito Boeri. Poletti ha tempo fino al 10 gennaio per cogliere l’assist di Speranza (e Bersani).
Non è chiaro quanto tempo durerà tale verifica, mentre i dati raccontano la realtà del «nuovo precariato» così lo ha definito il presidente dell’Inps Tito Boeri. Poletti ha tempo fino al 10 gennaio per cogliere l’assist di Speranza (e Bersani).
AL GOVERNO chiedono di adottare una proposta di legge firmata dal Pd alla Camera, relatrice Patrizia Maestri, «che intende far tornare i voucher un sistema di pagamento per i lavori davvero occasionali». In cambio l’ex presidente nazionale di Legacoop potrà restare al ministero del lavoro. E continuare a lavorare sul Jobs Act come se nulla fosse accaduto. «Dimostra che quella frase sui giovani è stato un incidente nella discussione sulla tua sfiducia individuale – ha scritto Speranza a Poletti sul blog sull’HuffingtonPost – Un ministro si può sfiduciare solo per una frase sbagliata? Alcuni pensano di sì. Forse è solo propaganda». Il problema non è solo la frase brutale contro i giovani che cercano lavoro all’estero, ma una riforma che ha precarizzato i neo-assunti e erogato 11 miliardi pubblici alle imprese con risultati discutibili, una forma di assistenzialismo statale in un tempo in cui tutti si professano «liberisti». L’idea di Speranza di sfiduciare Poletti sui voucher incorre inoltre nell’obiezione del presidente Pd Orfini: «La liberalizzazione è stata fatta da Monti, con Bersani segretario e appoggio del Pd: il governo Renzi ne ha limitato l’uso». In pratica dal Pd, ma non dal suo Pd.
LA STRATEGIA MINIMALISTA delle minoranze dem potrebbe essere respinta dai partner di governo. Per gli alfaniani di Ncd i voucher non si toccano. «È impensabile che ciò che ha qualificato l’azione di governo sia modificato sotto la minaccia del referendum della Cgil» hanno detto Maurizio Lupi e Laura Bianconi per i quali un altro Ddl di Cesare Damiano (Pd) va verso la cancellazione dei voucher. In realtà Damiano vuole tornare «al criterio di lavoro occasionale e accessorio previsto dalla legge Biagi». «Ci meraviglia che chi nel Pd ha votato Sì al Jobs Act si schieri al referendum» hanno aggiunto.
CONTRADDIZIONI che ritornano a galla dopo la disfatta di Renzi e del Pd al referendum costituzionale. Se Poletti (e Gentiloni) cederanno alle minoranze avranno un problema con gli alleati di governo. E viceversa. Poletti conta su due certezze: la prima è che non intende dimettersi. La seconda: se lo facesse il Jobs Act, pilastro del renzismo, cadrebbe. E con esso i mille giorni che avrebbero dovuto cambiare l’Italia e sono stati dissolti il 4 dicembre. Gentiloni, che «non ha nessunissima intenzione di cambiare sull’articolo 18», non può permetterselo. La linea è quella esposta dal capogruppo Pd alla Camera Rosato: «Poletti si è scusato e non si dimette».
«IL MINISTRO POLETTI ha nelle ultime settimane dato riprova di un comportamento inadeguato al suo ruolo – sostiene Sinistra Italiana – Inaccettabile è la sua dichiarazione sulla possibilità di evitare il referendum sul Jobs Act grazie allo scioglimento delle Camere e la convocazione delle elezioni politiche e gravissime sono le affermazioni sui giovani». «Poletti brilla come la stella polare del renzismo sconfitto e va mandato a casa prima che continui a produrre danni» aggiunge il vice presidente del Senato Roberto Calderoli il cui partito, la Lega Nord, ha presentato un esposto in procura e alla guardia di finanza per verificare la regolarità dei contributi all’editoria per il settimanale Sette Sere diretto da Manuel Poletti, figlio del ministro. «Un’azione giudiziaria per cavalcare l’onda della polemica» ha replicato Legacoop Romagna. Poletti jr. «è il presidente di una cooperativa di giornalisti da ben prima che suo padre diventasse ministro».
Fonte: Il manifesto
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