di Luca Aterini
Per «ripatrimonializzare banche che non presentano problemi di solvibilità ma che non hanno superato i test di resistenza a ipotetici scenari avversi», come anche per «garantire l’accesso alla liquidità in caso di tensioni su questo fronte», il governo tirerà a breve fuori dal cilindro un fondo con risorse «fino a un massimo di 20 miliardi di euro»; ovvero, un ammontare che vale quasi quanto l’indebitamento netto finora previsto dall’intera legge di Bilancio 2017, 27,03 miliardi netti. Questi nuovi 20 miliardi di euro, nella misura in cui verranno effettivamente impiegati, saranno reperiti emettendo nuovi titoli di debito pubblico.
È questo lo scenario, maturato principalmente all’ombra della crisi che il Monte dei Paschi di Siena – il più antico istituto bancario al mondo, e attualmente la terza banca italiana –, che il Parlamento ha approvato ieri senza grandi scossoni. Sia la Camera sia il Senato hanno dato il loro assenso nell’arco di 24 ore alla relazione presentata dal governo.
Un sistema bancario stabile e ordinato è funzionale alla tenuta economica dell’intero Paese (e non solo, visto il ruolo esercitato dall’Italia nel contesto europeo), e molti economisti si mostrano convinti di come questa mossa non debba necessariamente rappresentare una perdita a lungo termine per i conti pubblici. Certo è che l’opportunismo politico e la risolutezza con cui la partita è stata prima portata per le lunghe, e infine fulmineamente blindata a livello istituzionale, stanno provocando non pochi mal di pancia in seno a un’opinione pubblica già fortemente segnata dalla sfiducia nelle classi dirigenti.
Il paracadute pubblico per le banche si mostra sempre presente, e lesto ad aprirsi. Come non accade in nessun altro caso. Oggi tutti i tentennamenti sul bilancio nazionale e sui suoi scostamenti da zero virgola, “l’impossibilità” per lo Stato di intervenire con investimenti per lenire una situazione occupazionale disastrosa, o per curare un territorio sempre più fragile sembrano lontani anni luce.
Si pensi all’investimento per introdurre una forma di reddito minimo a tutela del crescente numero di italiani poveri, pari al massimo – nel caso del ddl presentato da Sinistra ecologia e libertà – a 23,5 miliardi di euro, ritenuto eccessivamente costoso e accantonato. Oppure ai 40 miliardi di euro che servirebbero per mettere in sicurezza il Paese dal rischio idrogeologico (cifra nota dal 1970), in arrivo col contagocce. O ancora agli investimenti green – 30,5 miliardi di euro in 3 anni – individuati come necessari dalla proposta Cgil per creare 1,6 milioni di nuovi posti di lavoro tra giovani e donne, ipotesi del tutto ignorata da governo e Parlamento.
Tutte alternative di spesa ritenute dispendiose, inopportune, mentre per finanziare l’ennesimo fondo contro le crisi bancarie le valutazioni sono state ancora una volta – evidentemente – opposte. È per salvare il Paese dal baratro si dirà, d’accordo. Sarà però interessante scoprire cosa verrà chiesto in cambio alle banche, a partire dalla trasparenza. «Lo Stato da questa operazione può persino guadagnarci, come è avvenuto negli Usa – commenta il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi – È incomprensibile e colpevole che non si sia intervenuti prima. Qualcuno paghi per il ritardo. Con diversi anni di ritardo e dopo aver lasciato che negli ultimi tre mesi fuggissero 6 miliardi di depositi, lo Stato nazionalizza il Monte dei Paschi». A fronte di questo pesante intervento della mano pubblica, Rossi chiede «stipendi dei banchieri non superiori a 250milaeuro lordi, di indicare come la banca verrà risanata e di nuovo privatizzata, di conoscere i nomi delle 100 società che non restituiscono oltre 15 miliardi di prestiti». Difatti, sottolinea il presidente della Regione dove ha sede il Monte, il «conto di Mps fa raggelare, dei 23 miliardi di crediti non esigibili ben il 70%, ovvero 15 miliardi sono andati a 100 società. Vorrei sapere il nome». Siamo tutti curiosi.
Fonte: greenreport.it
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