di Dacia Maraini
Ancora una tragedia della nostra terra inquieta. Ma devo dire che la rabbia supera il dolore. La rabbia al pensiero che questo sfacelo avrebbe potuto essere evitato. Si sa che il nostro è un Paese sismico, si sa che il pericolo delle scosse ci riguarda tutti, dal sud al nord. Possibile che non si sia fatto niente per prevenire la catastrofe? Possibile che non si sia costruito con intelligenza, prevedendo i pericoli, con criteri antisismici che ci sono e sono efficacissimi?
Ho vissuto 8 anni in Giappone da bambina e ho subito diversi terremoti, anche terribili, con la terra che si spaccava sotto i piedi. Ma non è mai crollata una casa. Perfino la vecchia costruzione che costituiva il nostro campo di concentramento per italiani contrari al regime fascista è rimasta in piedi nonostante le scosse. Ricordo una volta di avere fatto in volata gli scalini che portavano al piano terra mentre una pioggia di intonaco mi cadeva sulla testa. Ma la struttura ha retto, se no non sarei qui a raccontarlo.
È che il Giappone è un Paese in cui l’interesse pubblico precede, per antica consuetudine etica, quello privato. E i controlli sono rigorosissimi e i cittadini consapevoli e diligenti. Da noi succede esattamente il contrario: l’interesse privato viene sempre prima di quello pubblico. E i costruttori di case, per risparmiare qualche soldo, hanno fabbricato senza tenere conto delle norme di sicurezza antisismiche. Spesso con la connivenza delle autorità locali. Tanto nessuno avrebbe mai controllato.
È una tale pena vedere quei corpi coperti di calce che vengono estratti dalle macerie: corpi vivi e corpi morti. Una pena ascoltare le voci di coloro che sono stati sepolti per ore e che a furia di urlare sono riusciti a farsi sentire e farsi tirare fuori. Ma gli occhi di quei bambini che hanno sentito la morte addosso non si possono dimenticare. Sono occhi attoniti, dilatati dalla paura. Una paura che li segnerà per la vita. Sepolto vivo: l’incubo di tutti i sogni più devastanti. Come i minatori che scavano sottoterra e temono sempre di rimanere chiusi in un tunnel appena scavato, asfissiati dal gas o coperti dalle macerie.
Una terra che conosce da secoli l’orrore della devastazione, della morte per asfissia, e non riesce a darsi delle regole per la costruzione delle sue città, sembra incredibile. Si preferisce rischiare la morte di centinaia di persone, lo strazio di corpi dilaniati, piuttosto che spendere qualcosa in più per mettere in sicurezza gli appartamenti, i palazzi, le scuole, gli ospedali, come abbiamo visto all’Aquila nel 2009.
Mi sono occupata del terremoto del 1915 per ragioni letterarie. Ho letto decine di testimonianze, ho visto le prime fotografie di Avezzano rasa al suolo, ho visto migliaia di corpi allineati sulla neve mentre i salvataggi arrivavano lenti, con i carri tirati dai muli. Le case di Gioia dei Marsi sono crollate tutte. Erano case senza fondamenta, case tirate su alla meglio: pietre incollate con la calce, senza criterio. In tutta la Marsica sono morti in 30 mila. I superstiti sono partiti per l’America, per l’Australia, abbandonando terreni stravolti, case bruciate, animali morti.
Oggi certamente l’assistenza è migliorata. Gli interventi si sono fatti più rapidi e precisi. E poi, come al solito, nei momenti di emergenza, il Paese risponde con generosità e umano senso della solidarietà. Ma i morti sono tanti, troppi. I feriti sbigottiti vengono portati via sotto gli occhi delle telecamere, mentre lo sguardo spazia sulle macerie che ancora sono avvolte in nuvole di polvere. Un Paese che si vuole bene può permettersi di ignorare con tanta disinvoltura un futuro prevedibile? Un Paese che ha cura di sé stesso può consentirsi di trascurare un minimo di controllo sulla stabilità delle case che vengono giù, alla prima scossa, come fossero di biscotto? La piccola e bella città di Amatrice è ridotta un cumulo di macerie. Il sindaco chiede aiuto, dice che ci sono ancora molti sepolti sotto le macerie. Ma possibile che si debba intervenire sempre dopo il disastro e mai prima?
Purtroppo, lo sappiamo, questo è il motivo ricorrente del nostro Paese. Tutti generosi e solidali nell’emergenza ma incapaci di prevenire il futuro. Ricordo un episodio fra l’eroico e il grottesco, quando il re d’Italia venne a riverire i morti di Avezzano, nel gennaio del 1915, accompagnato da un corteo di automobili, dopo qualche giorno dal disastro, e don Orione gli chiese di concedere le auto per trasportare i bambini feriti. Il re si guardò intorno e disse che senz’altro avrebbe mandato dei mezzi ma non si potevano sequestrare le auto delle autorità. Don Orione radunò i bambini terremotati e nel momento in cui il re si era allontanato per confabulare con le alte cariche del luogo, cacciò i bambini nelle auto e partì rapido con loro per Roma.
Ripeto: siamo un Paese a forte rischio sismico. Ogni anno siamo funestati da crolli, morti e feriti. Possibile che la memoria non conti proprio niente? Non contano le lezioni durissime che ci ha dato la storia? La furbizia, l’avidità di chi vuole guadagnare sui disastri, sembrano sempre avere la meglio. E ancora una volta ci dobbiamo considerare vinti dall’imprevidenza e dalla cupidigia. Ma anche dalla mancanza di ogni controllo e dall’indifferenza dei cittadini, presi dagli interessi personali e mai attenti al bene comune. Potremo mai cambiare?
Fonte: corriere.it
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