di Paolo Andreozzi
Siamo in crisi, e siamo in guerra. E siamo in guerra poiché siamo in crisi.
E questo si riflette in tutto l’orizzonte ordinario della pancia mediana della piramide economica e del potere, nel tempo reale e in quello virtuale, nella materialità così simbolica del lavoro e del commercio e nell’astrattezza così concreta della libera socialità e dei rapporti umani.
E’ la pancia mediana della piramide, quella che incontriamo per strada, quella che guarda la televisione, che in televisione ci va per raccontarsi e raccontarci la nostra vita, che alimenta i social network, quella di cui facciamo parte dalla culla alla tomba, è quello l’orizzonte in cui si riflettono la crisi e la guerra: per il quale il bello volge al neutro, il neutro al brutto e il brutto all’orrido, in un coerente movimento verso il negativo.
La cima della piramide no.
Loro non sono in crisi, propriamente, né in guerra: fanno la crisi e fanno la guerra, propriamente, per perpetuare il proprio status di vertice della piramide economica.
E quanto alla base sterminata della piramide, nemmeno. Lì non c’è la guerra e non c’è la crisi, nessun movimento verso il negativo, nessun sopravanzare del brutto ai danni del bello, bensì soltanto la solita disperazione degli ultimi.
Solo che, semmai, dall’inizio della crisi e con l’avvento della guerra gli ultimi sono cresciuti in quantità rispetto a prima. Tutto qui, ma per il resto è stasi.
Ed è questa stasi, in confronto all’imbruttimento e alla negativizzazione della vita della classe media, che mi pare di poter vedere come una minima rivalsa degli ultimi.
Io, e mi vergogno tanto di tale pochezza, appena un misero giorno all’anno scendo lungo la piramide, esco dalla pancia mediana e abbraccio la base sterminata: il mio auto-assolutorio volontariato natalizio.
Ma ecco cosa vedo là, ogni anno di più e meglio: che c’è coraggio, c’è dignità, c’è forza, c’è perfino unità tra i disperati. (Magari anche grazie a chi quell’abbraccio se lo va a prendere e a cercare non certo un giorno solo come me, ma qui non rileva.)
Tra gli ultimi nessun bello volge al neutro, ma se c’è resta tale, nessun brutto all’orrido, ma si raddrizza su spalle ben umane benché casomai sgualcite.
Questo vedo. Lo vedo io, non loro che hanno ben altri problemi cui rispondere con tutta urgenza.
E quel contrappasso, rispetto al destino della mia classe disanimata, sazia la mia coscienza infelice di piccoloborghese.
Se gli ultimi fossero piccoloborghesi come me, ne ghignerebbero.
Lo faccio io per loro. Tanto io sono già in pieno torto, con tutta la Storia che mi addita.
Fonte: Esseblog
Originale: http://www.esseblog.it/2015/12/in-confronto/
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