di Brian Tokar
Dagli anni ’60 la teoria e la prassi dell’ecologia sociale hanno contribuito a guidare sforzi di articolare una prospettiva ecologica, radicale, antisistema con l’obiettivo di trasformare il rapporto della società con la parte non umana della natura. Per molti decenni ecologisti sociali hanno articolato una fondamentale critica ecologica del capitalismo e dello stato e proposto una visione alternativa di comunità umane emancipate organizzate in modo confederale nel perseguimento di un rapporto più armonioso con il più generale mondo della natura.
L’ecologia sociale ha contribuito ha plasmare la Nuova Sinistra e i movimenti antinucleari degli anni ’60 e ’70, l’emergere della politica Verde in molti paesi, il movimento contro la globalizzazione dei tardi anni ’90 e del primo decennio del 2000 e, più recentemente, la lotta per l’autonomia democratica delle comunità curde in Turchia e in Siria, assieme alla rinascita di nuovi movimenti municipali in tutto il mondo, da Barcelona en Comù a Cooperation Jackson in Mississippi.
La visione filosofica dell’ecologia sociale è stata articolata inizialmente da Murray Bookchin tra i primi anni ’60 e gli inizi del nuovo millennio ed è stata ulteriormente elaborata da suoi colleghi e da molti altri. E’ una sintesi unica di critica sociale, indagine storica e antropologica, filosofia dialettica e strategia politica. L’ecologia sociale può essere considerata come un dispiegarsi di diversi strati distinti di comprensione e visione che copre tutte queste dimensioni e altro. Inizia con il riconoscimento del fatto che i problemi ambientali sono fondamentalmente sociali nella loro natura e sono radicati nelle eredità storiche di dominio e gerarchia sociale.
Capitalismo e cambiamento climatico
Bookchin è stato tra i primi pensatori dell’occidente a identificare l’imperativo della crescita del sistema capitalista come una minaccia fondamentale all’integrità degli ecosistemi viventi e ha costantemente sostenuto che gli interessi sociali ed ecologici sono fondamentalmente inseparabili, contestando gli approcci strettamente strumentali proposti da molti ambientalisti per affrontare vari problemi. Per gli attivisti del clima oggi, questo incoraggia la comprensione che un approccio significativo alla crisi climatica richiedere una visione sistemica della centrale dell’uso dei combustibili fossili per l’emersione e la continua resilienza del capitalismo. In effetti il capitalismo come lo conosciamo è virtualmente inconcepibile senza la crescita esponenziale dell’uso dell’energia – e la diffusa sostituzione del lavoro umano con l’energia – che carbone, petrolio e gas hanno consentito. Come ha spiegato il gruppo di britannico di ricerca Corner House ha spiegato in un documento del 2014:
L’intero sistema contemporaneo della realizzazione dei profitti dal lavoro è dipeso in misura assoluta dal carbonio fossile a basso prezzo [e pertanto] non c’è alcun sostituto economico o politicamente perseguibile ai combustibili fossili nella tripla combinazione di combustibili fossili – motori termici – lavoro umano mercificato che sostiene i tassi attuali di accumulazione del capitale.
La prospettiva dell’ecologia sociale ci consente così di capire che i combustibili fossili sono stati a lungo cruciale nel mito capitalista della crescita perpetua. Hanno mosso concentrazioni sempre crescenti di capitali in molti settori economici e promosso sia l’irreggimentazione sia la crescente precarietà del lavoro umano in tutto il mondo. In Fossil Capital Andreas Malm spiega in dettaglio come i primi industriali britannici scelsero di passare dall’abbondante energia idrica ai motori a vapore alimentati a carbone per gestire le loro fabbriche, nonostante gli aumenti dei costi e l’affidabilità incerta. La capacità di controllare la manodopera fu centrale nella loro decisione, poiché i poveri urbani si dimostravano molto più disponibili alla disciplina della fabbrica rispetto ai residenti rurali dalla mentalità più indipendente che da molto vivevano lungo i fiumi a rapido scorrimento della Gran Bretagna. Un secolo dopo grandi nuove scoperte di petrolio in Medio Oriente e altrove avrebbero mosso aumenti in precedenza inimmaginabili della produttività del lavoro umano e fatto rivivere il mito capitalista dell’espansione economica illimitata.
Per affrontare l’intera dimensione della crisi climatica e conservare un pianeta abitabile per le future generazioni dobbiamo abbattere quel mito una volta per tutte. Oggi la supremazia politica degli interessi legati ai combustibili fossili supera di gran lunga la portata dei loro contributi elettorali o i loro profitti a breve termine. Ha origine nel loro continuo ruolo centrale nel promuovere lo stesso sistema che hanno contribuito a creare. Dobbiamo ribaltare l’economia sia dei combustibili fossili sia della crescita e ciò richiederà un ripensamento fondamentale di molti dei presupposti chiave delle società contemporanee. L’ecologia sociale mette a disposizione un quadro per questo.
La filosofia dell’ecologia sociale
Fortunatamente sotto questo aspetto gli obiettivi dell’ecologia sociali hanno continuato a evolversi oltre il livello della critica. Negli anni ’70 Bookchin si è dato a un’estesa ricerca sull’evoluzione del rapporto tra le società umane e la natura non umana. I suoi scritti hanno contestato la comune idea occidentale che gli umani cercano intrinsecamente di dominare il mondo naturale, concludendo invece che il dominio della natura è un mito radicato nei rapporti di dominio tra le persone emersi dal crollo delle antiche società tribali in Europa e in Medio Oriente.
L’ecologia sociale sottolinea principi sociali ugualitari che molte culture indigene – sia passate che presenti – hanno avuto in comune e le ha elevate a linee guida di un rinnovato ordine sociale: concetti quali interdipendenza, reciprocità, unità nella diversità e un’etica di complementarietà, cioè il bilanciamento dei ruoli tra vari settori sociali compensando attivamente le differenze tra individui. Nella sua opera maggiore, Ecologia della libertà, Bookchin ha trattato in dettaglio i conflitti in svolgimento tra questi principi guida e quelli delle società gerarchiche crescentemente stratificate e come ciò abbia modellato le contrapposte eredità di dominio e libertà di gran parte della storia umana.
Oltre a ciò l’indagine filosofica dell’ecologia sociale esamina l’emergere della coscienza umana dai processi dell’evoluzione naturale. Risalendo alle radici del pensiero dialettico, da Aristotele a Hegel, Bookchin ha presentato un approccio unico all’eco-filosofia, sottolineando le potenzialità che giacciono latenti all’interno dell’evoluzione dei fenomeni sia naturali sia sociali, celebrando al contempo l’unicità della creatività e dell’autoriflessione umane. L’ecologia sociale rifugge dalla comune visione della natura come meramente un regno della necessità, percependo invece la natura come alla ricerca, in un certo senso, di attualizzare attraverso l’evoluzione una potenzialità sottostante di coscienza, creatività e libertà.
Per Bookchin una prospettiva dialettica della storia umana ci obbliga a rigettare ciò che meramente è e a seguire le potenzialità intrinseche nell’evoluzione verso una visione ampliata di ciò potrebbe essere, e alla fine di ciò che dovrebbe essere. Anche se la realizzazione di una società libera ed ecologica è lungi dall’essere inevitabile – e può apparire ancor meno probabile di fronte all’incombente caos climatico – è forse l’esito più razionale di quattro miliardi di anni di evoluzione naturale.
La strategia politica dell’ecologia sociale
Queste indagini storiche e filosofiche a loro volta offrono un sostegno alla strategia politica rivoluzionaria dell’ecologia sociale che è stata dibattuta in precedenza su ROAR Magazine da diversi colleghi ecologisti sociali. Questa strategia è generalmente descritta come municipalismo libertario o confederale, o più semplicemente come comunalismo, traendo origine dall’eredità della Comune di Parigi del 1871.
Come i comunardi, Bookchin ha argomentato a favore di città, paesi e quartieri liberati amministrati da assemblee popolari pubbliche. Egli riteneva che la confederazione di tali municipalità liberate potesse superare i limiti dell’azione locale, consentendo a città, paesi e quartieri di sostenere un contropotere democratico alle istituzioni politiche centralizzate dello stato, al tempo stesso superando il provincialismo, promuovendo l’interdipendenza e attuando un vasto programma liberatorio. Inoltre egli ha sostenuto che l’opprimente anonimato del mercato capitalista possa essere sostituito da un’economia morale nella quale i rapporti sia economici sia politici sono guidati da un’etica di mutualità e reciprocità.
Gli ecologisti sociali ritengono che laddove le istituzioni del capitalismo e dello stato esacerbano la stratificazione sociale e sfruttano le divisioni tra le persone, strutture alternative radicate nella democrazia diretta possono favorire l’espressione di un interesse sociale generale a un rinnovamento sociale ed ecologico. “E’ nella municipalità”, ha scritto Bookchin in Urbanization Without Cities [Urbanizzazione senza città], “che le persone possono ricostituire sé stesse da monadi isolate in un corpo politico creativo e creare una vita esistenzialmente vitale … civica che ha sia forma istituzionale sia contenuto civico”.
Persone ispirate da questa visione hanno introdotto strutture di democrazia diretta mediante assemblee popolari in numerosi movimenti sociali negli Stati Uniti, in Europa e altrove, da campagne di azione popolare diretta contro l’energia nucleare nei tardi anni ’70 ai più recenti movimenti di globalizzazione alternativa e di Occupy Wall Street. La dimensione prefigurativa di questi movimenti – anticipando e attuando i vari elementi di una società liberata – ha incoraggiato partecipanti a contestare lo status quo promuovendo nel contempo visioni trasformative del futuro. Il capitolo conclusivo del mio recente libro Toward Climate Justice [Verso una giustizia climatica] (New Compass 2014) descrive in un certo dettaglio queste influenze, con un’attenzione al movimento contro il nucleare, la politica verde, l’ecofemminismo e altre correnti significative del passato e del presente.
Contributi a movimenti contemporanei
Oggi gli ecologisti sociali sono attivamente coinvolti nel movimento globale per la giustizia climatica che unisce correnti convergenti di una varietà di fonti, più particolarmente movimenti popolari indigeni e altri basati sul territorio del Sud globale, promotori della giustizia ambientale di comunità di colore nel Nord globale, e continue correnti dei movimenti per la giustizia globale e la globalizzazione alternativa di un decennio fa. Meritano di essere tenuti in considerazione in un certo maggior dettaglio alcuni dei distinti contributi dell’ecologia sociale di questo movimento per la giustizia climatica dalla vasta base.
Innanzitutto l’ecologia sociale offre una prospettiva ecologica senza compromessi che contesta le strutture di potere radicate del capitalismo e dello stato-nazione. Un movimento che non affronti le cause alla base di questa distruzione ambientale e di questa crisi climatica può, al meglio, affrontare solo superficialmente tali problemi. Gli attivisti della giustizia climatica comprendono in generale che, ad esempio, soluzioni false sul clima quali i mercati del carbonio, la geo-ingegneria e la promozione del gas naturale ottenuto mediante fratturazione idraulica come “combustibile ponte” sulla via delle energie rinnovabili servono principalmente l’imperativo del sistema di continuare a crescere. Affrontare appieno le cause del cambiamento climatico richiede che gli attori del movimento avanzino richieste trasformative di vasta portata che i sistemi economici e politici dominanti possono dimostrarsi incapaci di soddisfare.
Secondo: l’ecologia sociale offre lenti per comprendere meglio le origini e l’emersione storica del radicalismo ecologico, dai movimenti nascenti nei tardi anni ’50 e primi anni ’60 fino al presente. L’ecologia sociale ha avuto un ruolo centrale nel contrastare gli intrinseci pregiudizi anti-ecologici di gran parte del marxismo-leninismo del ventesimo secolo e serve così da importante complemento agli attuali sforzi di rivendicazione dell’eredità ecologica di Marx. Mentre la comprensione degli scritti ecologici a lungo ignorati di Marx, promossa da autori come John Bellamy Foster e Kohei Saito, è centrale per l’emersione della tradizione della sinistra ecologica, lo stesso vale per i dibatti politici e le intuizioni teoretiche che si sono sviluppate lungo molti decenni decisivi quando la sinistra marxista era energicamente disinteressata alle questioni ambientali.
Terzo: l’ecologia sociale offre il trattamento più esauriente delle origini del dominio sociale umano e del suo rapporto storico con l’abuso degli ecosistemi viventi della Terra. L’ecologia sociale evidenzia le origini della distruzione ecologica in rapporti sociali di dominio, diversamente dalle idee convenzionali che suggeriscono che gli impulsi a dominare la natura non umana sono un prodotto della necessità storica. Affrontare in modo significativo la crisi climatica richiederà di rovesciare numerose manifestazioni della lunga eredità storica di dominio e un movimento intersettoriale diretto a contestare la gerarchia sociale in generale.
Quarto: l’ecologia sociale offre una base storica e strategica completa per realizzare la promessa della democrazia diretta. Gli ecologisti sociali hanno lavorato per portare la prassi della democrazia diretta nei movimenti popolari sin dagli anni ’70 e gli scritti di Bookchin offrono un contesto storico e teorico essenziale per questo continuo dibattito. L’ecologia sociale offre una prospettiva strategica complessiva che guarda oltre il ruolo delle assemblee popolari come forma di espressione e indignazione pubblica guardando a un’autogestione, confederazione e sfida rivoluzionaria alle istituzioni statiste radicate.
Infine, l’ecologia sociale afferma l’inseparabilità dell’efficace attività politica di opposizione da una visione ricostruttiva di un futuro ecologico. Bookchin considerava incompleti gli scritti dissidenti più popolare poiché si concentravano sulla critica e l’analisi senza proporre una coerente strada da percorrere. Al tempo stesso ecologisti sociali si sono espressi contro l’accomodamento di molte istituzioni alternative – tra cui numerosi collettivi e cooperative radicali – a un opprimente status quo capitalista.
La convergenza di filoni di attività di opposizione e ricostruttive è un passo cruciale verso un movimento politico che possa definitivamente concorrere per rivendicare potere politico. Ciò è realizzato nell’ambito del movimento internazionale sul clima attraverso la creazione di nuovi spazi politici che incarnano i principi di “blockadia” e “alternatiba”. Il primo termine, reso popolare da Naomi Klein, è stato inizialmente coniato dagli attivisti del Blocco delle Sabbie Bituminose in Texas che si erano impegnati in un’estesa serie di iniziative nonviolente per bloccare la costruzione dell’oleodotto Keystone XL. Il secondo è una parola basca francese adottata come tema di un giro in bicicletta che ha abbracciato la Francia nell’estate del 2015 e ha evidenziato dozzine di progetti locali di creazione di alternative. La promozione dell’ecologia sociale ai fini della partecipazione umana creativa al mondo naturale ci aiuta a capire come possiamo trasformare radicalmente le nostre comunità guarendo e ripristinando contemporaneamente ecosistemi vitali mediante una varietà di metodi sofisticati a base ecologica.
Inerzia globale, risposte municipali
Dopo la celebrata ma alla fin fine deludente conclusione della conferenza dell’ONU del 2015 sul clima a Parigi molti attivisti del clima hanno abbracciato un ritorno al locale. Anche se l’Accordo di Parigi è diffusamente elogiato dalle élite globali – e gli attivisti hanno giustamente condannato l’annunciato ritiro dell’amministrazione Trump – l’accordo ha un difetto fondamentale che in larga misura preclude la possibilità che realizzi una significativa mitigazione del clima. Questo risale agli interventi di Barack Obama e Hillary Clinton alla conferenza di Copenaghen del 2009 che spostò la concentrazione della diplomazia climatica dalle riduzioni legalmente vincolanti delle emissioni dei Protocolli di Kyoto del 1997 a un sistema di impegni volontari, o “Contributi nazionalmente determinati”, che oggi costituisce la base del quadro di Parigi. L’attuazione e il rispetto dell’accordo sono limitati a quello che il testo di Parigi descrive come un comitato internazionale “basato su esperti” che è strutturato per essere “trasparente, non accusatorio e non punitivo”.
Ovviamente anche il regime di Kyoto mancava di meccanismi significativi di imposizione e paesi quali Canada e Australia hanno cronicamente superato i tetti alle emissioni previsti da Kyoto. Il Protocollo di Kyoto ha anche avviato una serie di “meccanismi flessibili” per implementare la riduzione delle emissioni, portando alla proliferazione globale dei mercati del carbonio, piani dubbi di compensazione e altre misure di ispirazione capitalista di cui hanno beneficiato in larga misura interessi finanziari senza benefici significativi per il clima. Mentre l’originale Convenzione ONU sul Clima del 1992 incorporava vari principi mirati ad affrontare le disuguaglianze tra nazioni, diplomazia climatica successiva è spesso apparsa una demoralizzante corsa al ribasso.
Ci sono comunque dei segnali di speranza. In reazione all’annunciato ritiro statunitense dal quadro di Parigi un’alleanza di più di 200 città e contee statunitensi ha annunciato l’intenzione di mantenere i cauti ma tuttavia significativi impegni che l’amministrazione Obama aveva presentato a Parigi. Internazionalmente più di 2.500 città, da Oslo a Sidney, hanno sottoposto alle Nazioni Unite piani per ridurre le loro emissioni di gas serra, a volte contro gli impegni molto più cauti dei loro governi nazionali. Due consultas popolari locali in Colombia si sono mosse a rigettare lo sfruttamento minerario e petrolifero nei loro territori, in un caso affiliando la loro città al movimento italiano “Slow Cities”, una prosecuzione del famoso movimento Slow Food che ha contribuito a elevare lo status sociale e culturale di produttori locali di cibo in Italia e in molti altri paesi. Una dichiarazione di principi di Slow Cities suggerisce che “lavorando in direzione della sostenibilità, difendendo l’ambiente e riducendo la nostra eccessiva impronta ecologica” le comunità di stanno “impegnando … a riscoprire il sapere tradizionale e a ricavare il massimo dalle nostre risorse mediante riciclo e riuso, applicando le nuove tecnologie”.
La capacità di tali movimenti municipali di costruire sostegno e pressione per più vasti cambiamenti istituzionali è centrale per la loro importanza politica in un tempo nel quale il progresso sociale e ambientale è in stallo in molti paesi. Iniziative avviate dal basso possono avere anche maggior potere di permanenza di quelle imposte dall’alto. Hanno probabilità molto maggiori di essere strutturate e responsabili democraticamente nei confronti delle persone che sono più colpite. Contribuiscono a costruire rapporti tra vicini e a rafforzare la capacità di autonomia. Ci consentono di vedere che le istituzioni che oggi dominano le nostre vite sono molto meno essenziali per il nostro sostentamento quotidiano di quando siamo spesso indotti a credere. E, cosa forse più importante, tali iniziative municipali posso contrastare misure regressive attuate dall’alto nonché politiche nazionali che favoriscono le imprese dei combustibili fossili e gli interessi finanziari loro alleati.
Per la maggior parte, recenti iniziative municipali negli Stati Uniti e oltre sono evolute in una direzione progressista. Più di 160 città e contee statunitensi si sono dichiarate “rifugi” in contrasto con l’elevata imposizione da parte dell’amministrazione Trump di leggi statunitensi sull’immigrazione, uno sviluppo molto importante alla luce dei futuri trasferimenti che deriveranno dal cambiamento climatico. Tali battaglie politiche e legali in corso sui diritti delle municipalità contro gli stati si rivolgono al potenziale radicale di misure socialmente ed ecologicamente progressiste emergenti dal basso.
Attivisti sociali e della giustizia ambientale negli Stati Uniti stanno anche contestando la tendenza delle vittorie elettorali della destra conducendo e vincendo audaci campagne per una varietà di posizioni municipali. Forse più degna di nota è la riuscita campagna del 2017 di Chokwe Antar Lumumba, che è stato eletto sindaco di Jackson, Mississippi, nel cuore del Profondo Sud, con un programma concentrato sui diritti umani, la democrazia locale e un rinnovamento economico ed ecologico incentrato sui quartieri. Lumumba si era candidato come voce di un movimento noto come Cooperation Jackson, che trae ispirazione dalla tradizione dei neri americani e del Sud globale, comprese le lotte di resistenza degli africani schiavizzati prima e dopo la Guerra Civile statunitense, il movimento zapatista nel Messico meridionale e recenti rivolte popolare in tutto il mondo.
Cooperation Jackson ha proposto numerose idee che hanno un eco forte nei principi dell’ecologia sociale, tra cui assemblee di quartieri emancipati, economia cooperativa e strategia politica di potere duale. Altri che lavorano per opporsi allo status quo e per costruire potere locale stanno organizzando assemblee di quartiere direttamente democratiche da New York City alla costa nord-occidentale del Pacifico, e sviluppando una nuova rete nazionale per promuovere ulteriormente strategie, come ha raccontato in modo importante Eleanor Finley nel suo saggio su “The New Municipal Movements” [I nuovi movimenti municipali] nel numero 6 di ROAR Magazine.
Visioni del futuro
Se iniziative locali come queste potranno contribuire a inaugurare un movimento municipalista coerente e unificato in solidarietà con le iniziative delle “città ribelli” in tutto il mondo, è qualcosa che resta da vedere. Un simile movimento sarà necessario perché le iniziative locali si estendano e alla fine catalizzino le trasformazioni su scala mondiale che sono necessarie per far fronte all’imminente minaccia ai sistemi climatici della Terra.
In effetti le proiezioni della scienza del clima evidenziano in continuazione la difficoltà di trasformare le nostre società ed economie abbastanza in fretta da prevenire una discesa in una catastrofe climatica planetaria. Ma la scienza afferma anche che le azioni che intraprendiamo oggi possono fare la differenza tra un regime climatico futuro dirompente e difficile e uno che precipita rapidamente in estremi apocalittici. Anche se dobbiamo essere completamente realistici riguardo alle conseguenze potenzialmente devastanti di continue crisi climatiche, un movimento genuinamente trasformativo deve essere radicato in una visione che guardi avanti a una migliorata qualità della vita per la maggior parte degli abitanti del mondo in un futuro liberato dalla dipendenza dai combustibili fossili.
Misure parziali sono lungi dall’essere sufficienti e approcci allo sviluppo delle energie rinnovabili che si limitino a replicare forme capitaliste probabilmente si riveleranno un vicolo cieco. Comunque l’impatto cumulativo degli sforzi municipali di contrastare interessi radicati e realizzare alternative vivibili – combinate con visioni, organizzazione e strategie rivoluzionarie in direzione di una società radicalmente trasformata – potrebbe forse essere sufficiente a evitare un futuro distopico di deprivazioni e autoritarismo.
Iniziative municipaliste democraticamente confederate restano la nostra miglior speranza di riplasmare il destino dell’umanità su questo pianeta. Forse la minaccia del caos climatico, sommata alla nostra profonda conoscenza del potenziale per un futuro più umano ed ecologicamente armonioso, può in effetti ispirare le profonde trasformazioni che sono necessarie perché l’umanità e la Terra continuino a fiorire.
Brian Tokar è attivista e autore, lettore di Studi Ambientali all’Università del Vermont e membro del consiglio dell’Institute for Sociale Ecology e di 350Vermont. Il suo libro più recente è ‘Toward Climate Justice: Perspectives on the Climate Crisis and Social Change’ (New Compass Press, 2014).
Fonte: http://znetitaly.altervista.org
Originale: http://znetitaly.altervista.org/art/24050
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