di Marco Bersani
Uno dei vincoli introdotti dal Trattato di Maastricht riguarda il divieto per i Paesi membri di ricorrere all’assistenza finanziaria dell’Unione, di altri Paesi membri o delle Banche centrali, obbligando gli Stati a rivolgersi ai mercati per il proprio fabbisogno di finanziamento.
Questo ha comportato il paradosso che, da quando, nel gennaio 2015, la Banca Centrale Europea di Mario Draghi ha adottato la politica del QE (Quantitative Easing), ovvero una massiccia iniezione di liquidità attraverso acquisti programmati di titoli finanziari negoziati sul mercato, i beneficiari di questa enorme massa di denaro a tassi di interesse vicini allo zero siano state le banche, che, con quei soldi, hanno potuto finanziare gli investimenti pubblici, in particolare degli enti locali, ma a tassi di mercato, realizzando profitti da una mera “partita di giro”.
Questa sorta di speculazione legalizzata, che dovrebbe di per sé suscitare un’indignazione generale da parte degli amministratori locali, diventa ancor più intollerabile se a praticarla è Cassa Depositi e Prestiti, che, per quanto azienda privatistica, vede il Ministero delle Finanze detenere oltre l’80% del capitale sociale.
Di fatto si tratta di un taglieggiamento dello Stato ai Comuni, che si somma alle forti riduzioni di trasferimenti agli stessi ( 9 miliardi in meno negli ultimi sette anni) e ai vincoli del patto di stabilità interno e del pareggio di bilancio ( -32% della spesa per investimenti).
Per tutte queste ragioni, va salutata con favore l’iniziativa del Comune di Brescia che ha deciso di fare causa a Cassa Depositi e Prestiti per gli elevatissimi tassi di interesse praticati su un mutuo contratto per la realizzazione della metropolitana: a fronte di valori di mercato pari al 2,5%, il Comune di Brescia ha dovuto pagare il 5,69% fino al 2016 e deve pagare, da quest’anno al 2045, il 5,27%. Non può neppure rescindere il contratto, perché, in tal caso, pagherebbe una penale tra i 65 e i 90 milioni. Di fatto, nei prossimi 28 anni, per un mutuo di 124 milioni, il Comune di Brescia pagherà 215 milioni.
La situazione del Comune di Brescia non è un caso isolato, ma riguarda la quasi totalità degli enti locali. Cassa Depositi e Prestiti si difende asserendo che i tassi applicati sono diretta conseguenza della normativa e delle condizioni fissate dal Ministero delle Finanze.
Da qualsiasi parte la si prenda, è evidente come servano almeno due provvedimenti normativi urgenti: da una parte una legge che socializzi Cassa Depositi e Prestiti, facendo uscire la parte di gestione del risparmio postale (250 miliardi) dal circuito della speculazione finanziaria per destinarlo a finanziare gli investimenti pubblici locali; dall’altra, un provvedimento normativo che fissi tassi di interesse agevolati per gli stessi.
Sono provvedimenti possibili solo se, dal basso, le comunità territoriali e gli enti locali riescono ad uscire dalla rassegnazione, rifiutandosi di assegnare la priorità al pagamento del debito e all'osservanza del pareggio di bilancio rispetto alla spesa per il welfare, la quale, garantendo diritti, servizi e beni comuni, non può mai essere inferiore al necessario, né pregiudicata da alcun vincolo finanziario.
Il Comune di Brescia ha aperto la via giudiziaria, ma occorre riaprire la strada della politica, quella dal basso e partecipata dalle comunità locali: proviamo a immaginare cosa succederebbe se 100 fra grandi città, comuni medi e piccoli sospendessero il pagamento degli interessi sui mutui contratti con Cdp fino a che il Parlamento non approvi una drastica riduzione dei tassi applicati?
Sono molte le strade per riappropriarsi di ciò che ci appartiene: occorre tuttavia aver chiaro come ciascuna di esse richieda conflitto e, di conseguenza, comunità territoriali consapevoli del proprio destino.
Fonte: www.italia.attac.org
Originale: https://www.italia.attac.org/index.php/finanza-neoliberismo/cassa-depositi-e-prestiti/10655-cdp-e-tesoro-taglieggiano-i-comuni
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