di Giuseppe Carroccia
Roberto Gramiccia con “Elogio della fragilità” sintetizza e riepiloga una riflessione e produzione saggistica iniziata quasi vent’anni fa, intrecciandola con la narrazione degli episodi salienti, fondativi della propria esistenza. Quasi una vita intera e anche qualcosa di più, giacché l’autore nel tempo breve fragile che ci è dato di vivere ha saputo trovare lo spazio la forza per coniugare lo studio, la passione letteraria, il lavoro da medico, internista prima, poi geriatra e infine dirigente, con l’attività di critico d’arte e curatore di mostre, sempre mantenendo vivo un robusto impegno politico.
Centrale nella sua riflessione il rapporto tra arte e medicina e la difesa della Sanità Pubblica sviluppato nel “La medicina è malata” (1999), e ne “La strage degli innocenti” (2013). Il rapporto tra creatività e fragilità fisica e psicologica con i due lavori dedicati alla figura del matematico napoletano Renato Caccioppoli “La regola del disordine”(2004) e “Vita di un matematico napoletano”(2015); i lavori sugli artisti “La nuova scuola romana. I sei artisti di via degli Ausoni” (2005), “Fragili eroi. Ritratti d’artista” (2009), nonché la critica ai processi di mercificazione nell’arte moderna con “Slot art Machine”. Il grande business dell’arte contemporanea (2012), “Arte e potere. Il mondo salverà la bellezza” (2015).
Innumerevoli inoltre le iniziative e le pubblicazioni di presentazioni di mostre e cataloghi tra i quali segnaliamo l’esposizione della sua personale collezione di quadri acquistati o donati dai molti artisti amici ,e anche da alcuni suoi pazienti, una installazione per denunciare i morti sul lavoro, la mostra sulle falci e martello, addirittura un’asta per raccogliere fondi per Rifondazione Comunista di cui è stato tra l’altro responsabile per la Sanità.
Con “Elogio della Fragilità” Roberto va ai fondamentali dell’esistenza, all’inevitabile angoscia del vivere e del morire, partendo da sé. Il libro inizia infatti con la prima esperienza di fragilità di cui ha memoria: la paura dell’abbandono nel buio del lettone materno per la sbadataggine di una vicina di casa che si dimentica di lui. E prosegue raccontando con stile sobrio e asciutto i passaggi della propria formazione culturale e professionale, della personale crescita umana e politica nel combattere la paura.
Questo tema che accompagna la vita di tutti noi viene analizzato e sviscerato sotto molteplici punti di vista e relativi capitoli. Quindi la fragilità in rapporto alla vecchiaia, alla fede, all’amore, al sesso, alla politica, alla narrazione, persino alla rivoluzione. Fino ad arrivare nell’ultimo capitolo a una teoria generale della fragilità che affronta il tema spinosissimo del nostro rapporto con la morte, ma nel quale viene anche esplicitata la possibilità di fare della propria fragilità un punto di forza.
Tema che rimanda anche al rapporto tra limiti (confini) e forma, tra handicap e diversi sviluppi della personalità, ossessioni e talento, come sanno bene tutti coloro che per esperienza personale o familiare amicale o lavorativa hanno avuto a che fare con ciechi, sordi, muti. Mio zio sordomuto ad esempio aveva sviluppato una particolare capacità manuale. Anche i grandi campioni a fine carriera o dopo un infortunio grave devono fare i conti con la fragilità del proprio corpo e gestire la contraddizione tra volere e potere.
Ma prima della morte c’è la vita e le pagine che la raccontano nei capitoli esplicitamente autobiografici con i ritratti umanissimi dei genitori. Il padre artigiano di grande valore, la madre dal carattere forte, ma dolce e le esperienze nello storico quartiere periferico di Torpignattara, dove svolge l’impegno politico nella sezione del Pci. La stessa in cui venne ucciso Ciro Principessa, vicenda sulla quale Roberto ha scritto un racconto contenuto nel libro “Sangue rosso, lame nere”. Vengono poi raccontate le vicende scolastiche e universitarie e sentimentali, fino alle prime esperienze di giovane medico alle prese con il dolore e le sofferenze dei malati negli ospedali. Quest’ultimo aspetto della sua vita, quella di dottore, benché il più lungo e formativo, rimane un po’ in ombra e forse avrebbe avuto bisogno di un ulteriore capitolo.
Un capitolo è dedicato alla relazione tra malattia e creatività e in particolare tra alcuni suoi personali numi tutelari: Spinoza, Leopardi, Scipione, Gramsci e la tubercolosi. Forse lo stesso più volte citato Seneca, la cui filosofia sembra inverarsi nella imperturbabile saggezza del proletariato romano fin dai tempi del Belli, soffrì di un morbo simile. Sicuramente era fin dalla tenera infanzia asmatico). Il modo di affrontare la malattia, già oggetto nella introduzione di Prospero del racconto degli ultimi mesi di Marx, e l’invecchiamento, la fine e la trasformazione di tutte le cose, consentono all’autore di mantenere uno sguardo materialisticamente lucido, sia sulle piccole che le grandi ingiustizie che piagano il mondo. Fin dall’introduzione infatti viene esplicitato un punto di vista egualitario, che guarda in faccia e denuncia la fame e le guerre che rendono penosa la vita per la maggioranza del genere umano.
L’elemento del libro più utile politicamente in questo momento storico in cui i rapporti di forza sono così sfavorevoli e bisogna continuare a combattere in condizioni di estrema difficoltà, fragilità, in attesa di riconquistare più forza, è proprio ragionare su come usare la fragilità, la forza insita nella fragilità per rovesciare le logiche che governano il mondo. Rovesciare perché al punto in cui siamo forse non basta più vincere, ma bisogna addirittura stravincere: il socialismo contro la barbarie. Partendo dal rifiuto della guerra, specialmente nel tempo della possibile catastrofe nucleare. Prima di tutto la pace.
Benché Roberto probabilmente scrive, come quasi tutti noi, al computer, la qualità della sua scrittura è quella antica di chi scrive con la penna, come i dottori con le ricette. Nero su bianco, bianconero, il che è un doppio paradosso per uno appassionato d’arte (luce e colore) e di assoluta fede giallorossa (ombra e dolore). Il suo è un periodare sicuro e coerente, non sbilenco, a strappi come quello che state leggendo. Il periodo, sua forma preferita, ampio e ciclico, gli consente di argomentare prendendo in esame diverse ipotesi per giungere a una tesi coerente. Quindi né la proposizione di Wittgenstein, né la frase verso dei suoi autori preferiti Pavese, Fenoglio, Vittorini. Semmai Sciascia e la tradizione degli scrittori pensatori francesi.
Paradossalmente però i temi a lui cari, relazione vita morte, valore del lavoro, orrore per la guerra sono stati mirabilmente narrati con una scrittura a ondate ridondanti, assolutamente diversa dalla sua, da Stefano D’Arrigo in quell’assoluto capolavoro della nostra letteratura che è Horcinus orca, storia di pescatori tra Scilla e Cariddi. Curiosamente nella presentazione del libro Roberto ha coinvolto Elena Bellantoni che racconta la storia dell’ultima parlante di una lingua di pescatori nella Patagonia cilena, dove la pesca dell’orca marina era attività principale. E sarà un caso che il libro si apre con una frase marina “Le perle nascono da una malattia della conchiglia”?
Fonte: lacittafutura.it
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.