
di Giuseppe Aragno
Sulla «Buona scuola» di Renzi e sulla legittimità della legge che
l’ha imposta al Paese che si opponeva, non si è andati molto più in là
di giudizi «tecnici» rispettabilissimi, ma centrati su aspetti
singoli del provvedimento. Valga, per tutti, quello autorevole
e ben fondato del giudice Imposimato, per il quale una sentenza
della Corte Costituzionale ha già bocciato per l’arbitrarietà dei
criteri di selezione del personale nell’amministrazione Pubblica un
esperimento di chiamata diretta da parte dei presidi voluto dalla
regione Lombardia, .
Giorni fa, tuttavia, e non è certo un caso, su «Furoriregistro», rivista on line della scuola militante che una storia ce l’ha, Enrico Maranzana ha posto il problema in termini più generali, dimostrando quale profonda ferita abbia procurato Renzi non alla scuola, ma alla legalità repubblicana. L’ha fatto con la penna lucida, caratteristica della parte migliore del mondo della formazione, e con lo «sguardo lungo» d’una rivista che non ha mai cantato nel coro.
Giorni fa, tuttavia, e non è certo un caso, su «Furoriregistro», rivista on line della scuola militante che una storia ce l’ha, Enrico Maranzana ha posto il problema in termini più generali, dimostrando quale profonda ferita abbia procurato Renzi non alla scuola, ma alla legalità repubblicana. L’ha fatto con la penna lucida, caratteristica della parte migliore del mondo della formazione, e con lo «sguardo lungo» d’una rivista che non ha mai cantato nel coro.
Come l’Esecutivo dovrebbe ben sapere, ha osservato, infatti,
Maranzana, «l’esercizio della funzione legislativa non può essere
delegato al Governo se non con determinazione di principî
e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti
definiti».
Non si tratta dell’invenzione estemporanea di un astuto avversario di Renzi; siamo di fronte all’articolo 76 della Costituzione, che superò le fondate riserve di quanti vedevano nella «delega» una menomazione del prestigio delle Camere, solo quando, dopo un’accesa discussione, si giunse a un accordo sulla formula del «tempo limitato». In altri termini, quando si decise che in tema di deleghe la Costituzione imponesse al Governo due limiti insormontabili: il rispetto dei tempi e dei criteri previsti e il principio per cui la firma del Presidente della Repubblica sulla legge che ne deriva esaurisce il valore della delega accordata.
Non si tratta dell’invenzione estemporanea di un astuto avversario di Renzi; siamo di fronte all’articolo 76 della Costituzione, che superò le fondate riserve di quanti vedevano nella «delega» una menomazione del prestigio delle Camere, solo quando, dopo un’accesa discussione, si giunse a un accordo sulla formula del «tempo limitato». In altri termini, quando si decise che in tema di deleghe la Costituzione imponesse al Governo due limiti insormontabili: il rispetto dei tempi e dei criteri previsti e il principio per cui la firma del Presidente della Repubblica sulla legge che ne deriva esaurisce il valore della delega accordata.
Così stando le cose, annota Maranzana, «la legge 107/2015 infrange
tale principio», perché dichiara esplicitamente che la sua ragione
d’essere è una legge delega: «La presente legge», scrivono infatti
gli estensori, con singolare improntitudine, «dà piena attuazione
all’autonomia delle istituzioni scolastiche di cui all’articolo 21
della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni».
Essa non si propone, però, di dar vita a un «sistema educativo di istruzione e formazione» come volle la legge 53/2003, ma ad un «sistema nazionale di istruzione e formazione».
Essa non si propone, però, di dar vita a un «sistema educativo di istruzione e formazione» come volle la legge 53/2003, ma ad un «sistema nazionale di istruzione e formazione».
Cosa si nasconda dietro lo stravolgimento dei limiti
costituzionali di ogni «legge delega» e l’inaccettabile formula
delle «successive modificazioni» non è facile dire, ma ancora più
difficile è capire quali siano i valori morali che ispirano l’azione
politica di un Governo capace d’ignorare un dato incontrovertibile:
la legge cui fa riferimento, firmata da Bassanini, non rimase
lettera morta, ma consentì a Luigi Berlinguer di ottenere la
promulgazione del Dpr 275/99 che, di conseguenza, estinse
l’efficacia della delega che il governo arbitrariamente resuscita,
restituendole una falsa legittimità.
Come abbia potuto firmare un simile sconcio, il Presidente
Mattarella è un mistero glorioso; sta di fatto, però, che il tema
della «legittimità» domina ormai la vita politica di un Paese nel
quale invano la Consulta ha dichiarato incostituzionale la legge
elettorale da cui sono nate le Camere; le stesse che oggi «riformano»
la Carta costituzionale, benché prive di una sia pur minima
legittimità etica e politica. Quelle Camere – va ricordato – i cui
componenti, nella inedita veste di «grandi elettori» che nessuno ha
eletto, ci hanno regalato un Presidente della Repubblica che,
firmando la legge sulla scuola, di tutto si è preoccupato, tranne
che della sua legittimità rispetto alla libertà d’insegnamento, ai
limiti imposti ai poteri dell’Esecutivo e alle regole che fissano
i criteri d’accesso agli impieghi nelle pubbliche
amministrazioni.
A ben vedere, perciò, la domanda che, in ultima analisi, «Fuoriregistro» pone al Paese, non riguarda la scuola, ma la legalità repubblicana: come si impone la legittima sovranità popolare all’arbitrio di un Governo sempre più illegittimo?
A ben vedere, perciò, la domanda che, in ultima analisi, «Fuoriregistro» pone al Paese, non riguarda la scuola, ma la legalità repubblicana: come si impone la legittima sovranità popolare all’arbitrio di un Governo sempre più illegittimo?
Fonte: il manifesto
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