Intervista a Livio Senigalliesi e Denis Vorobyov di Claudio Marradi
Quelli che viaggiano in direzione ostinata e contraria. Che in un’Europa terrorizzata, che alza muri e barriere di filo spinato per tenere lontane persone in fuga dalla guerra, parte incontro a loro per fare “una vita da profughi tra i profughi, per documentare e per conoscere i loro drammi e le loro storie”. Quelli sono Livio Senigalliesi e Denis Vorobyov, fotoreporter che si sono messi in gioco, anima e corpo, nel progetto INSIDE THE BALKAN ROUTE. Ventiquattro giorni di viaggio per raccontare in presa diretta – e con aggiornamenti quotidiani in un inedito esperimento di giornalismo social – l’odissea di uomini e donne che sta cambiando per sempre la storia del Vecchio continente.
Fotografo autodidatta il primo, vanta una carriera che dai primi anni Ottanta lo ha portato a documentare, in volumi e reportage per le maggiori testate nazionali e internazionali, la maggior parte dei conflitti che hanno insanguinato il mondo a partire dalla Caduta del Muro: dalla guerra del Golfo alla guerra civile nella ex Yugoslavia, dall’assedio di Sarajevo al colpo di Stato a Mosca che decretò la fine dell’Unione Sovietica, dal Medio Oriente al Caucaso, dal Kurdistan all’Africa, dal Sud est asiatico all’America Latina. La stessa passione lo ha portato a occuparsi di migranti e rifugiati, lavorando per l’ UNHCR (Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite) e per diverse ONG della cooperazione italiana. Più giovane il secondo, nato in Ucraina nella città industriale di Dnepropetrovsk, ha scoperto la fotografia a 14 anni e si è pagato gli studi in giornalismo vendendo gelati e lavando auto. E’ stato fotografo di viaggio, dal Pakistan all’Indonesia, per National Geographic, Geo e Traveller. Nel 2012 si trasferisce con la famiglia a Milano e lavora nella fotografia commerciale per NIKE. Successivamente inizia a collaborare con Medicines sans Frontieres a un progetto sui rifugiati dalla Siria e dall’Afghanistan e sulla loro integrazione nella società europea.
Fotografo autodidatta il primo, vanta una carriera che dai primi anni Ottanta lo ha portato a documentare, in volumi e reportage per le maggiori testate nazionali e internazionali, la maggior parte dei conflitti che hanno insanguinato il mondo a partire dalla Caduta del Muro: dalla guerra del Golfo alla guerra civile nella ex Yugoslavia, dall’assedio di Sarajevo al colpo di Stato a Mosca che decretò la fine dell’Unione Sovietica, dal Medio Oriente al Caucaso, dal Kurdistan all’Africa, dal Sud est asiatico all’America Latina. La stessa passione lo ha portato a occuparsi di migranti e rifugiati, lavorando per l’ UNHCR (Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite) e per diverse ONG della cooperazione italiana. Più giovane il secondo, nato in Ucraina nella città industriale di Dnepropetrovsk, ha scoperto la fotografia a 14 anni e si è pagato gli studi in giornalismo vendendo gelati e lavando auto. E’ stato fotografo di viaggio, dal Pakistan all’Indonesia, per National Geographic, Geo e Traveller. Nel 2012 si trasferisce con la famiglia a Milano e lavora nella fotografia commerciale per NIKE. Successivamente inizia a collaborare con Medicines sans Frontieres a un progetto sui rifugiati dalla Siria e dall’Afghanistan e sulla loro integrazione nella società europea.
Popoff li ha intervistati in occasione della quindicesima edizione della Giornata mondiale del rifugiato, promossa dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati – UNHCR e che cade il 20 giugno.
Due parole sul progetto INSIDE THE BALKAN ROUTE
Livio Senigalliesi – E’ stato un lungo viaggio, intrapreso con il collega Denis Vorobyov, da Lesbos a Gorizia, facendo una vita da profughi tra i profughi, per documentare e per conoscere i loro drammi e le loro storie.
Denis Vorobyov – La crisi dei rifugiati è una delle questioni più critiche che la Comunità europea deve affrontare. Un problema sociale e politico che deve essere documentato nella maniera più autentica e onesta per offrire un’informazione più completa possibile. Abbiamo cercato di presentare la storia della Balkan route in una visione personale ma che sottolineasse la durezza delle condizioni, cosa c’era dietro le immagini e come decisioni politiche possano intrappolare centinaia di migliaia di vite. Abbiamo quindi deciso di documentare la brutalità nei campi e nei luoghi lungo la Balkan route per mostrarla agli europei.
Quali erano i vostri obiettivi?
Livio Senigalliesi - Abbiamo girato un documentario che diventerà uno strumento di conoscenza e di denuncia. Abbiamo voluto dare voce a chi non ha voce né diritti. Persone che ci hanno voluto raccontare le loro storie e hanno un nome, tradizioni spesso millenarie e voglia di costruire il loro futuro. Il senso di questo viaggio è proprio quello di capire i problemi veri, scoprire i lati oscuri, ascoltare migranti come Hana, diciottenne somala: “voglio vivere come tutti gli altri giovani. Sono stanca della guerra e della violenza. A noi donne è tutto negato. Ci aspetta una vita da schiave e io mi sono ribellata”. Hana è forte e sono certo che ce la farà. Ma la strada è piena di ostacoli.
Denis Vorobyov - Il giornalismo visuale è per noi molto più che semplici immagini. Abbiamo cominciato col raccogliere ogni tipo di informazioni: audio, video, immagini e testo. Le nostre immagini illustrano le voci delle persone che abbiamo incontrato, le storie che hanno voluto condividere con noi, gli orrori di cui fanno esperienza ogni giorno e la speranza di un futuro migliore. Abbiamo voluto approfondire la questione mostrando, per quanto abbiamo potuto, le cose con i loro occhi. La nostra prima idea è stata di trovare la domanda giusta che desse loro la possibilità di esprimere ciò che avevano da dire.
Che itinerario avete seguito?
Livio Senigalliesi – Le nostre tappe hanno seguito la rotta dei migranti: Lesbos, Atene, Idomeni, Skopje, Belgrado, Subotica, Budapest, Zagabria e infine Gorizia, zona di confine tra Slovenia e Italia.
Denis Vorobyov – Abbiamo percorso più di 10 mila chilometri in treno, in barca, in aereo, in auto e a piedi lungo tutta la Balkan route dal Mar Egeo alla costa turca fino all’Ungheria e al confine italiano. E’ stato un viaggio molto difficile, lo chiamerei “la via di un milione di vite”.
Quale è stato il vostro metodo di lavoro?
Livio Senigalliesi - Ci siamo dati il tempo che serve, senza correre dietro la notizia ma approfondendo le questioni o i casi umani che non si trovano sui giornali e nei programmi televisivi. Abbiamo consumato le scarpe seconde le buone vecchie regole del giornalismo. Abbiamo scoperto cose che non avremmo mai voluto sentire: torture, rapimenti, violenze di ogni tipo sono una triste normalità tra i profughi in viaggio. Ma per scoprirlo bisogna aspettare, stare con loro, attendere che i più vulnerabili abbiano fiducia e si aprano a confidenze indicibili.
Denis Vorobyov – Prima di scattare una foto, personalmente ho bisogno di capire la situazione intorno a me e che cosa posso esprimere attraverso un’immagine. Per quanto mi riguarda mi pongo molte domande su chi siano queste persone, che cosa vogliono e quali siano i loro obiettivi per immigrare in Europa. Ma non saremo in grado di capire queste persone se non accettiamo il fatto che non sono diversi da noi. La verità è che questa gente, che ha sacrificato tutto per fuggire dal terrore della guerra, un tempo viveva in pace, proprio come noi.
Che situazione avete trovato?
Livio Senigalliesi - Nell’isola di Lesbos, dove da mesi arrivano piccole barche o gommoni carichi di migranti, operano ogni notte le cliniche mobili di MSF (Medicines sans Frontieres) e i rescue team di Sea-Watch che percorrono le acque buie che separano la costa turca dagli scogli di Lesbos in cerca di migranti bisognosi di soccorso. La risposta delle istituzioni greche è una risposta securitaria. Anziché approntare campi profughi e identificare le necessità di ciascuno di loro, si preferisce chiudere i migranti in campi di concentramento militarizzati come quello di Moria. Luoghi dai quali non sai se e quando potrai uscire. Una condizione inaccettabile, sulla quale anche MSF ha preso una netta posizione di condanna nei confronti delle autorità greche e ha denunciato gravi violazioni dei diritti umani in questi campi che non accolgono e che stroncano in modo disumano tutte le attese di questi migranti che sono diventati un problema politico e di sicurezza per l’Europa.
Denis Vorobyov – E’ stata una vera sfida per me cercare di creare qualcosa di nuovo, dato che queste situazioni sono già state documentate da migliaia di fotografi di tutto il mondo. Un anno dopo posso dire che abbiamo tutto il materiale e le idee chiare per strutturare il nostro lavoro e raccontare la nostra storia e i drammi che abbiamo incontrato. Ciò che ho visto è una grande tragedia che sta accadendo in Europa. Decine di migliaia di persone, famiglie e bambini stanno ancora lottando, in mezzo ai campi, senza cibo e acqua, sotto il costante controllo dei militari Quando ho lasciato i campi mi sono ripromesso di raccontare le storie che hanno voluto condividere, gli orrori di cui fanno esperienza ogni giorno e la loro speranza in un futuro migliore, nel nodo più autentico e onesto possibile.
Che idea complessiva vi siete fatti sul tema dei rifugiati?
Livio Senigalliesi – Penso che il problema vero sia un’Europa che non rispetta i principi sui quali è stata fondata alla fine della seconda guerra mondiale. Non si rispettano i diritti di libera circolazione né quelli di perseguitati o minori vulnerabili. Un’Europa che crolla di fronte a questa crisi umanitaria e che sa dare solo risposte securitarie. Con tutti i fondi spesi per Frontex si potevano costruire luoghi di accoglienza o creare corridoi umanitari. E invece hanno vinto le mafie, i trafficanti e la corruzione. Questa è una sconfitta per tutti i valori umani, laici e cristiani su cui si costruisce la storia dell’Europa.
Denis Vorobyov – E’ una domanda che per me rimane ancora senza risposta. Con le tecnologie di oggi ognuno ha accesso all’informazione e alla possibilità di interpretarla. Sono sorpreso nel constatare che i mass media si interessano della questione solo quando succede qualcosa di drammatico, come nel caso di disordini tra polizia e rifugiati. Anche se molti sono consapevoli di ciò che sta succedendo, in pochi conoscono gli orribili dettagli della vera situazione. Una cosa che ho capito è che la maggior parte dei problemi che affliggono il Medio Oriente hanno origine dall’antagonismo globale tra Russia e Stati Uniti.
Che cosa vi ha colpito di più?
Livio Senigalliesi - Siamo stati a Subotica con il team medico di MSF nella terra di nessuno, tra Serbia e Ungheria, dove i profughi passano settimane senza un riparo, senza cibo, senza una doccia. I loro piedi sono piagati, i bambini si ammalano per il freddo notturno. Solo MSF porta loro una coperta e assistenza medica. Ma questa situazione emergenziale non può continuare. Moriranno soffocati nel tentativo di sfondare i reticolati o in qualche campo di concentramento disperso nella campagna ungherese o croata. Hasnain – profugo afghano incontrato a Gorizia – ricorda con orrore il loro arrivo nella notte al confine sloveno: ”Abbiamo marciato per cinque mesi nei boschi per arrivare alla meta attraverso Grecia, Bulgaria, Serbia, Ungheria e Croazia. Giunti al confine sloveno abbiano trovato soldati e la Polizia di Frontex con cani molto aggressivi. Chi di noi ha cercato di attraversare di corsa il confine è stato sbranato dai cani. Noi siamo scappati e ci siamo portati a braccia i feriti fino al confine Italiano. Ora a Gorizia siamo al sicuro e abbiamo richiesto asilo politico. Nessuno ci aveva detto che i confini erano chiusi. Abbiamo speso tutti i nostri soldi per vivere ma la Balkan Route è disseminata di cadaveri. Molti, troppi di noi non ce l’hanno fatta”.
Denis Vorobyov – Migliaia di persone hanno perso la vita nel tentativo di attraversare il mar Egeo e passare il confine di un nuovo mondo. Decine di migliaia di bambini rimangono intrappolati in condizioni inumane, senza alcun diritto. In ogni fase del processo di migrazione, inclusa quella dell’espulsione, i diritti dei migranti meriterebbero un rispetto uguale a quello di ogni altro essere umano. Senza un genuino rispetto per i diritti umani non possiamo costruire una comunità globale. E ogni aspetto di questa situazione ha conseguenze tremende: le donne, per esempio, non possono fare più di una doccia al mese. Sono rimasto sorpreso dalla forza di volontà di queste persone.
Un bilancio di questa vostra avventura
Livio Senigalliesi - Per quanto mi riguarda è stata una grande esperienza umana oltre che professionale. Un fattore fondamentale in questi viaggi è la logistica, e ha funzionato tutto alla perfezione. Per uno come me che si occupa di migrazioni da 20 anni è stato un lavoro di documentazione necessaria, doverosa. Questa immane colonna di persone in cerca di pace e libertà ha messo a nudo i mali e le debolezze dell’Europa. Un’importante fattore positivo incontrato in questo lungo viaggio è dato dalla presenza di tanti giovani volontari. Sulla loro buona volontà ed i sani principi della solidarietà umana, mi auguro si costruiscano le basi di una nuova Europa più accogliente e solidale.
Denis Vorobyov – Durante le mie ricerche mi accorgevo di come la situazione si avvicinasse al punto critico, mentre migliaia di persone lottavano per sopravvivere lungo I confine europei. Sei mesi dopo avevo raccolto tutte le informazioni necessarie: foto, news, mappe e molte informazioni politiche che mi hanno aiutato a comprendere la questione. Esperienza, logistica e sensibilità emotiva sono state fattori più importanti del budget nel nostro viaggio. Anche se il denaro rimane una delle difficoltà maggiori per il fotogiornalismo e la fotografia di documentazione. Ognuno oggi può improvvisarsi giornalista con un telefono cellulare. Ma le società editoriali non finanziano progetti di lungo termine come questo, che considerano non profittevoli. Tutta la documentazione per la nostra storia si basa sul lavoro di poche persone entusiaste, che spendono il loro stesso denaro per investigare problemi come questo.
Affinità e differenze tra te e Denis, tra due generazioni diverse di fotoreporter….
Livio Senigalliesi - Io e Denis apparteniamo a due generazioni differenti di reporter ma abbiamo lavorato in perfetta sintonia.
Denis Vorobyov – Innanzi tutto vorrei ringraziare l’amico Livio, è stata un’incredibile esperienza lavorare con un bravo professionista. Probabilmente guardiamo alle stesso cose con una prospettiva differente, dovuta al fatto che apparteniamo a generazioni diverse. Ma le qualità di un buon reporter rimangono le stesse e il differente modo dii vedere le cose ci ha solo aiutato a lavorare meglio insieme.
Passano i tempi, cambiano le tecnologie ma il mestiere è sempre quello: zaino in spalla e buone calzature per raccontare quello che si vede in prima persona. Facile da dire, impegnativo da fare, si chiama giornalismo. Costa fatica e onestà intellettuale, disagi, rischi e anche un sacco di soldi. Si perché anche il lavoro di Livio e Denis, come tanta buona informazione in questi tempi di “crisi” dell’editoria, è totalmente autoprodotto e diventerà un libro e un documentario. E chi volesse dare sostegno economico, con una cifra anche piccola, allo sviluppo del progetto, che ha anche finalità didattiche, può contattare Livio Senigalliesi alla mail contatti@liviosenigalliesi.com.
Fonte: Popoffquotidiano.it
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